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La rassegna di dottrina e giurisprudenza del Corso nazionale di formazione specialistica dell'avvocato penalista organizzato dall'Unione delle Camere penali italiane in collaborazione con il Centro per la formazione e l'aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense.
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DECRETO-LEGGE 23 maggio 2008, n. 92
Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta
la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte
ad apprestare un quadro normativo piu' efficiente per contrastare
fenomeni di illegalita' diffusa collegati all'immigrazione illegale e
alla criminalita' organizzata, nonche' norme dirette a tutelare la
sicurezza della circolazione stradale in relazione all'incremento degli
incidenti stradali e delle relative vittime;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 maggio 2008;
Sulla
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro
dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri
delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e
per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1.
Modifiche al codice penale
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 235 e' sostituito dal seguente:
«Art.
235 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il
giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal
territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro
dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla
legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo
superiore ai due anni.
Il trasgressore dell'ordine di espulsione od
allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da
uno a quattro anni»;
b) l'articolo 312 e' sostituito dal seguente:
«Art.
312 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il
giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal
territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro
dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla
legge, quando lo straniero o il cittadino di Stato dell'Unione europea
sia condannato ad una pena restrittiva della liberta' personale per
taluno dei delitti preveduti da questo titolo.
Il trasgressore
dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e'
punito con la reclusione da uno a quattro anni.»;
c) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al secondo comma, la parola: «cinque» e' sostituita dalla seguente: «sei»;
2) dopo il secondo comma, e' inserito il seguente:
«Si
applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto e'
commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi
dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.»;
3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;
d) al terzo comma dell'articolo 590, e' aggiunto il seguente periodo:
«Nei
casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto
e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi
dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto
sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le
lesioni gravi e' della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per
le lesioni gravissime e' della reclusione da un anno e sei mesi a
quattro anni.»;
e) dopo l'articolo 590 e' inserito il seguente:
«Art.
590-bis (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di
cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo
590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da
quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano
sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze
aggravanti.»;
f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 e' inserito il seguente:
«11-bis. Se il fatto e' commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale.».
Art. 2.
Modifiche al codice di procedura penale
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 260, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:
«3-bis.
L'autorita' giudiziaria procede, altresi', anche su richiesta
dell'organo accertatore alla distruzione delle merci di cui sono
comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la
commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero
quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la
sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito
di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente
la violazione dei predetti divieti. L'autorita' giudiziaria dispone il
prelievo di uno o piu' campioni con l'osservanza delle formalita' di
cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.
3-ter.
Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia
giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione
del sequestro, puo' procedere alla distruzione delle merci contraffatte
sequestrate, previa comunicazione all'autorita' giudiziaria. La
distruzione puo' avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva
diversa decisione dell'autorita' giudiziaria. E' fatta salva la
facolta' di conservazione di campioni da utilizzare a fini
giudiziari.»;
b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole:
«nell'articolo
51, comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione
ai procedimenti di prevenzione»;
c) il comma 4 dell'articolo 449 e' sostituito dal seguente:
«4.
Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza e' gia' stato
convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in
udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto, salvo che cio'
pregiudichi gravemente le indagini.»;
d) al comma 5
dell'articolo 449, il primo periodo e' sostituito dal seguente:
«Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo,
salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della
persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.»;
e)
al comma 1 dell'articolo 450, le parole: «Se ritiene di procedere
a giudizio direttissimo,» sono sostituite dalle seguenti:
«Quando procede a giudizio direttissimo,»;
f)
al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero
puo' chiedere», sono sostituite dalla seguente: «salvo che
cio' pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero
chiede»;
g) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis.
Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai
termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta
giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale
la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia
cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.
1-ter.
La richiesta di cui al comma 1-bis e' formulata dopo la definizione del
procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei
termini per la proposizione della richiesta di riesame.»;
h) all'articolo 455, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:
«1-bis.
Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la
richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare e' stata
revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza.»;
i) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;
l) all'articolo 602, il comma 2 e' abrogato;
m)
all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono
inserite le seguenti: «nonche' di cui agli articoli 423-bis,
600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale,».
Art. 3.
Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
1.
All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274, dopo le parole: «derivi una malattia di durata
superiore a venti giorni» sono inserite le seguenti: «,
nonche' ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo
comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di
ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni,
ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o
psicotrope,».
Art. 4.
Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni
1.
All'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, lettera b), le parole: «l'arresto fino a tre mesi»
sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto fino a sei mesi»;
b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi»
sono
sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un
anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la
sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta
delle parti, anche se e' stata applicata la sospensione condizionale
della pena, e' sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e'
stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice
penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al
reato. Il veicolo sottoposto a sequestro puo' essere affidato in
custodia al trasgressore. La stessa procedura si applica anche nel caso
di cui al comma 2-bis.»;
c) dopo il comma 2-quater e' inserito il seguente:
«2-quinquies.
Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il
veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, puo'
essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall'interessato o fino
alla piu' vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o
al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese
per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del
trasgressore.»;
d) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente:
«Salvo
che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto
dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e' punito con
le pene di cui al comma 2, lettera c)»;
e) al comma 7, terzo
periodo, le parole: «Dalle violazioni conseguono» sono
sostituite dalle seguenti: «La condanna per il reato di cui al
periodo che precede comporta»;
f) al comma 7, quinto periodo,
le parole: «Quando lo stesso soggetto compie piu' violazioni nel
corso di un biennio,», sono sostituite dalle seguenti: «Se
il fatto e' commesso da soggetto gia' condannato nei due anni
precedenti per il medesimo reato,».
2. Al comma 1 dell'articolo 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)
le parole: «e' punito con l'ammenda da euro 1000 a euro 4000 e
l'arresto fino a tre mesi», sono sostituite dalle seguenti:
«e' punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto
da tre mesi ad un anno»;
b) alla fine e' aggiunto il seguente
periodo: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma
2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonche' quelle di cui al comma
2-quinquies del medesimo articolo 186.».
3. All'articolo 189
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 6,
le parole: «da tre mesi a tre anni» sono sostituite dalle
seguenti: «da sei mesi a tre anni»;
b) al comma 7, le
parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle
seguenti: «da un anno a tre anni».
4. All'articolo 222,
comma 2, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto
di cui al terzo periodo e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza
alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da
soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il
giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca
della patente.».
Art. 5.
Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
1.
All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive
modificazioni, dopo il comma 5 e' inserito il seguente:
«5-bis.
Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque cede a titolo
oneroso un immobile di cui abbia la disponibilita' ad un cittadino
straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato e'
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con
provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo
che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e
destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla
vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al
potenziamento delle attivita' di prevenzione e repressione dei reati in
tema di immigrazione clandestina.».
Art. 6.
Modifica
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza
statale
1. L'articolo 54 del testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, e' sostituito dal seguente:
«Art. 54
(Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale). - 1.
Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:
a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;
b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;
c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.
2.
Il sindaco, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre
ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze
di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento
impartite dal Ministro dell'interno - Autorita' nazionale di pubblica
sicurezza.
3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende,
altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e
agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di
leva militare e di statistica.
4. Il sindaco, quale ufficiale del
Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali
dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita'
pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente
comma sono tempestivamente comunicati al prefetto anche ai fini della
predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
5.
Qualora i provvedimenti di cui ai commi 1 e 4 possano comportare
conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni
contigui o limitrofi, il prefetto indice un'apposita conferenza alla
quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della
provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati
dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.
6. In casi di
emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o
acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si
verifichino particolari necessita' dell'utenza o per motivi di
sicurezza urbana, il sindaco puo' modificare gli orari degli esercizi
commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche',
d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle
amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli
uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti
di cui al comma 4.
7. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4
e' rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine
impartito, il sindaco puo' provvedere d'ufficio a spese degli
interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui
siano incorsi.
8. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.
9.
Nell'ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto
puo' disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei
compiti affidati, nonche' per l'acquisizione di dati e notizie
interessanti altri servizi di carattere generale.
10. Nelle materie
previste dai commi 1 e 3, nonche' dall'articolo 14, il sindaco, previa
comunicazione al prefetto, puo' delegare l'esercizio delle funzioni ivi
indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano
costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco puo'
conferire la delega a un consigliere comunale per l'esercizio delle
funzioni nei quartieri e nelle frazioni.
11. Nelle fattispecie di
cui ai commi 1, 3 e 4, anche nel caso di inerzia del sindaco o del suo
delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il
prefetto puo' intervenire con proprio provvedimento.
12. Il Ministro
dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle
funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.».
Art. 7.
Collaborazione della polizia municipale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio
1.
I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1
dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, determinano i
rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale
della polizia municipale e gli organi di Polizia dello Stato. Per le
stesse finalita', con decreto da adottare entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, il Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e
delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da
osservare per assicurare, nel caso di interventi in flagranza di reato,
l'immediata denuncia agli organi di Polizia dello Stato per il
prosieguo dell'attivita' investigativa.
Art. 8.
Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno
1.
All'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante»
sono
sostituite dalle seguenti: «schedario dei veicoli rubati o
rinvenuti e allo schedario dei documenti d'identita' rubati o smarriti
operanti»;
b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente:
«1-bis.
Il personale di cui al comma 1 puo' essere, altresi', abilitato
all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei
dati di cui al comma 1 acquisiti autonomamente.».
Art. 9.
Centri di identificazione ed espulsione
1.
Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero:
«centro di permanenza temporanea ed assistenza» sono
sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di
regolamento, dalle seguenti:
«centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione delle medesime strutture.
Art. 10.
Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575
1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modifiche:
a) l'articolo 2 e' sostituito dal seguente:
«Art.
2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono
essere proposte dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore
della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove
dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione
investigativa antimafia, anche se non vi e' stato il preventivo avviso,
le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di
dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.
2.
Quando non vi e' stato il preventivo avviso e la persona risulti
definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la
notificazione della proposta il questore puo' imporre all'interessato
sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui
all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;
si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.»;
b)
all'articolo 2-bis, comma 1, dopo le parole: «Il procuratore
della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale»;
c) all'articolo 2-ter, sono apportate le seguenti modifiche:
1)
al secondo comma, dopo le parole: «A richiesta del procuratore
della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale,»;
2) al sesto comma, dopo le
parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica»
sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica
presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati
previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura
penale,»;
3) al settimo comma, dopo le parole: «su
proposta del procuratore della Repubblica» sono inserite le
seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale
del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo
51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;
d) all'articolo 3-bis sono apportate le seguenti modifiche:
1)
al settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore
della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale,»;
e) all'articolo 3-quater sono apportate le seguenti modifiche:
1)
al comma 1, dopo le parole: «il Procuratore della
Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il Procuratore
della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in
relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice
di procedura penale»;
2) al comma 5, dopo le parole: «il
procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «,
il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale»;
f) all'articolo
10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del
procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti «,
del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale».
Art. 11.
Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152
1.
All'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, e'
aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In deroga a quanto
previsto dall'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, nei casi
previsti dal presente comma competente a richiedere le misure di
prevenzione e' anche il Procuratore della Repubblica presso il
tribunale nel cui circondario dimora la persona.».
Art. 12.
Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12
1. Dopo l'articolo 110-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e' inserito il seguente:
«Art.
110-ter (Applicazione di magistrati in materia di misure di
prevenzione). - 1. Il Procuratore nazionale antimafia puo' disporre,
nell'ambito dei poteri attribuiti in materia di misure di prevenzione e
previa intesa con il competente procuratore distrettuale,
l'applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale
antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli
procedimenti di prevenzione. Si applica, in quanto compatibile,
l'articolo 110-bis.
2. Se ne fa richiesta il procuratore
distrettuale, il Procuratore generale presso la Corte d'appello puo',
per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero
per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un
magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice
competente.».
Art. 13.
Entrata in vigore
1.
Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e
sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il
presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella
Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E'
fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi' 23 maggio 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Maroni, Ministro dell'interno
Alfano, Ministro della giustizia
Matteoli, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Cassazione – Sezione sesta – sentenza 22 maggio - 26 maggio 2008, n. 21005
Presidente Agrò – Relatore Conti
Pm Selvaggi – conforme
Fatto
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma disponeva la consegna di A..S. all'autorità giudiziaria della Repubblica di Romania (Tribunale di prima istanza di Craiova), che aveva emesso nei suoi confronti, in data 14 febbraio 2008, un mandato di arresto europeo (MAE) fondato sulla sentenza definitiva di condanna alla pena di anni due di reclusione del 21 dicembre 2006 del medesimo Tribunale di Craiova per il reato di furto aggravato continuato in danno di esercizi commerciali (previsto e punito dagli artt. 208, 209, 41 e 99 c.p. rumeno), commesso tra il 10 settembre e l'8 ottobre 2003, cui aveva fatto seguito un ordine di carcerazione in data 5 marzo 2007.
La S. , a seguito di segnalazione Interpol, veniva tratta in arresto in data 12 febbraio 2008 da personale della Casa circondariale femminile di Roma-Rebibbia, ove la stessa era ristretta per altra causa. L'arresto veniva convalidato in data 13 febbraio 2008 dal Presidente della Corte di appello di Roma, che contestualmente applicava alla predetta la custodia cautelare in carcere, ravvisandosi il pericolo di fuga.
Con la citata sentenza, la Corte territoriale riteneva sussistenti tutti i presupposti previsti dalla legge n. 69 del 2005 per la consegna, atteso, in particolare, che i fatti descritti nel MAE corrispondevano alla fattispecie di furto aggravato continuato prevista dall'ordinamento italiano (ex artt.. 625 e 81 cpv. c.p.), e che la pena detentiva inflitta era non inferiore a quattro mesi (art. 7 comma 4 della legge).
Si osservava inoltre che risultava rispettata la disposizione dell'art. 18 comma 1, lett. i), della predetta legge, circa la necessità che l'ordinamento dello Stato di emissione preveda per i minorenni l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere, dato in base all'art. 99 cod. peno rumeno l'imputato avente una età compresa tra i 14 e i 18 anni può essere ritenuto penalmente responsabile solo se provata la sua "capacità di discernimento", accertamento che nella specie doveva presumersi essere avvenuto.
Ricorre per cassazione la S. , che denuncia di persona, con un unico motivo, la violazione degli artt. 1 e 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69.
La ricorrente premette: che i fatti di furto ascrittile erano stati commessi quando essa aveva appena compiuto i quattordici anni; che era stata costretta a fare ciò dal padre; e che il processo si era svolto in sua contumacia, essendosi trasferita in Italia nel dicembre del 2008.
Osserva poi in diritto che in base all'art. 18 della legge n. 69 del 2005 è inibita la consegna del minorenne qualora nell'ordinamento dello Stato di emissione non sia previsto l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere.
Nella specie, data la procedura contumaciale, tale accertamento non era stato affatto espletato, sicché l'affermazione della Corte di appello secondo cui esso doveva ritenersi essere avvenuto, semplicemente perché l'art. 99 cod. pen. rumeno collega la responsabilità penale del minore alla sua “capacità di discernimento", appare evidentemente apodittica.
Infatti, non solo essa non aveva avuto modo di partecipare al processo, ma questo era stato condotto da un Tribunale ordinario, inidoneo a svolgere indagini sulla personalità e maturità di minori, né era stata espletata alcuna perizia o acquisito alcun altro mezzo di prova idoneo all'accertamento della sua maturità psichica.
Tutto ciò concretava una lesione dei principi affermati in tema di diritti fondamentali e di giusto processo dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, espressamente richiamati dall'art. 1 della legge n. 69 del 2005.
Infine, nessuna garanzia era stata chiesta all'autorità rumena circa la sua possibilità di ottenere un nuovo processo una volta consegnata.
Nell'imminenza dell'odierna udienza, il difensore d'ufficio, avv. Vincenzo Cilia, ha depositato memoria difensiva, con la quale si ribadiscono. le doglianze contenute nel ricorso
Diritto
Il ricorso è fondato.
Dalla sentenza contumaciale in data 21 dicembre 2006 del Tribunale di Craiova, posta a fondamento del MAE, e dagli altri atti trasmessi dall'autorità giudiziaria rumena, non emerge che nei confronti della S….., poco più che quattordicenne al momento dei fatti, sia stata svolta alcuna indagine, anche nella fase precedente al dibattimento, ai fini della imputabilità della minore.
Tale carenza di accertamento, determinando la mancanza di imputabilità un caso di rifiuto alla consegna, a norma dell'art. 18 comma 1, lett. i), della legge 22 aprile 2005, n. 69, avrebbe dovuto essere rilevata dalla Corte di appello, che avrebbe peraltro potuto richiedere le necessarie informazioni all'autorità giudiziaria rumena, posto che la norma richiamata, con l'espressione “effettuati i necessari accertamenti", appare chiaramente rivolgersi all'iniziativa dell'autorità giudiziaria italiana; la quale, se difficilmente può svolgere direttamente, ora per allora, una simile indagine, specie quando i fatti commessi dal minore risalgano a molto tempo addietro, può e deve certamente basarsi sui dati rappresentati al riguardo dall'autorità giudiziaria dello Stato di emissione.
Nella sentenza impugnata ci si limita invece all'apodittica affermazione per cui l'accertamento circa la "capacità di discernimento" della minore (imposto dall'art. 99 del cod. pen. rumeno nei procedimenti a carico di imputati compresi nella fascia di età tra i quattordici e i sedici anni), nella specie "doveva presumersi essere avvenuto"; senza, come detto, che da alcun atto trasmesso dall'autorità rumena ciò possa essere desunto.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, costituendo il punto circa l'imputabilità della minore S. al momento dei fatti un presupposto imprescindibile ai fini dell'accoglimento della domanda di consegna, stante il richiamato disposto dell'art. 18 comma 1, lett. i), l. n. 69 del 2005.
Non può essere tuttavia disposto il rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Roma, perché deve ritenersi che la procedura in esame, quando coinvolga un minore all'epoca dei fatti, appartenga alla competenza funzionale della sezione per i minorenni della corte di appello.
Infatti, la richiamata previsione dell'art. 18 comma 1, lett. i), l. n. 69 del 2005, relativa ai "necessari accertamenti" che devono essere svolti riguardo alla imputabilità del minore, implica inderogabilmente la competenza del giudice specializzato in materia, secondo i principi espressi, tra l'altro, dalla sentenza della Corte cost. n. 222 del 1983, che ha posto in risalto l'esigenza che gli accertamenti sulla complessa dimensione minorile debbano sempre essere rimessi alla valutazione di un giudice specializzato (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), che abbia strumenti tecnici e capacità professionali per vagliare adeguatamente la personalità del minore.
Più in generale, deve ritenersi che la speciale competenza del giudice specializzato minorile sia imposta, anche nella materia dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere (compresa la procedura di estradizione passiva), dalla previsione dell'art. 58 ord. giud., che demanda alla sezione per i minorenni della corte di appello (composta, oltre che dai magistrati togati, da due esperti laici) "tutte le funzioni previste dal codice di procedura penale a carico di imputati minorenni"; dovendosi considerare irrilevante, ai fini dell'ambito di applicazione di questa generale previsione, che, per una scelta di mera allocazione della disciplina normativa, la materia relativa al MAE sia stata contenuta in una legge ad hoc e non nell'ambito del codice di rito penale.
Ciò del resto è stato ritenuto, sia pure implicitamente, dalla sentenza della VI sez. di questa Corte, 2 marzo 2006, Leka, che ha pronunciato su un ricorso avverso una sentenza della sezione per i minorenni di una corte di appello in tema di MAE, e, esplicitamente, quanto alla materia estradizionale, da Sez. I, 25 febbraio 1983, Sciacca.
Non può invece essere condivisa l'affermazione contenuta nella sentenza della VI sez., 7 ottobre 2005, Baran (avallata, sotto il profilo interpretativo, da Sez. VI, 14 maggio 2007, Vasiliu Gheorghe, che pure ha sollevato sul punto questione di legittimità costituzionale), la quale, decidendo su un ricorso avverso una sentenza di una corte di appello in composizione ordinaria favorevole alla estradizione, ha affermato che "la materia estradizionale si connota tradizionalmente per caratteri tecnico-giuridici che non riguardano minimamente le esperienze professionali proprie (...) della componente laica dell'organo collegiale specializzato".
Al contrario, anche in materia estradizionale (oltre che, più specificamente, di MAE), trattandosi di minori, l'autorità giudiziaria italiana ha il dovere di svolgere accertamenti sulla esistenza di istituti dell'ordinamento dello stato richiedente che assicurino una specifica tutela della condizione dell'imputato minorenne, anche sotto il profilo della valutazione della sua imputabilità (v. per tutte Sez. VI, 19 gennaio 2004, Spika, che richiama, oltre a fonti sovrannazionali, Corte cost., sento n. 120 del 1987).
Di conseguenza, un'analisi siffatta deve essere necessariamente svolta da un giudice specializzato nella materia minorile, giacché sia l'adeguatezza delle previsioni normative sia il rispetto di esse da parte dell'autorità giudiziaria estera implicano tali particolari competenze.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Presidente della Corte di appello di Roma, che assumerà le opportune iniziative, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 69 del 2005, investendo la sezione per i minorenni della medesima Corte.
Essendo, poi, la presente procedura viziata ab origine dalla investitura della Corte di appello di Roma in composizione ordinaria, nel cui ambito sono stati adottati i provvedimenti i materia di libertà personale, deve essere disposta l'immediata scarcerazione della S. , se non detenuta per altra causa.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui agli artt. 626 c.p.p. e 22 comma 5 della legge 22 aprile 2005, n. 69.
P.Q.M.
INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI – DECRETI AUTORIZZATIVI EMESSI IN DIVERSO PROCEDIMENTO PENALE E PER FATTISPECIE DELITTUOSE DIFFERENTI E DIVERSE DA QUELLE IN ESAME – DIVERSITA’ DEL FATTO-REATO – INUTILIZZABILITA’Tribunale del Riesame di Napoli, XII sez., Pres. Teresa Areniello, Est. Massimo Perrotti, ord. 4-14/4/2008, proc. n° 2635/2008 R.I.M.Caut.La Difesa, con i motivi di gravame, ha sollevato preliminare eccezione di inutilizzabilità (artt. 270 e 271 c.p.p.) delle conversazioni intercettate nel corso di altro procedimento in riferimento a decreto GIP emesso per fattispecie di reato diversa.
Orbene, ritiene il Tribunale che se è vero che, ai fini dell’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, non si può restare ancorati ad una nozione di “diverso procedimento” meramente formalistica che di fatto comporti l’assimilazione dell’espressione usata dal legislatore con la nozione di “stesso reato” o che tenga esclusivamente conto dell’identità del numero di iscrizione nel registro della notitia criminis e dell’adozione o meno di provvedimenti di separazione, va per altro verso considerato che l’interpretazione della citata locuzione non potrà essere a tal punto elastica da consentire di “abbracciare” fatti di reato privi di qualsiasi connessione oggettivamente rilevante che non sia un nesso di mera occasionalità. La nozione di “diversità”, dunque, va riferita al contenuto della medesima notizia di reato, vale a dire al fatto-reato in relazione al quale sono in corso le indagini necessarie per l’esercizio dell’azione penale. Ed infatti, l’utilizzo da parte del Legislatore dell’espressione “procedimento” è sintomatica della volontà di indicare una fase dell’iter processuale complessivo, cioè quella delle indagini preliminari, deputata alle investigazioni del pubblico ministero. In tale fase non vi è ancora un titolo di reato ben individuato, ma una vicenda, ancora caratterizzata da fluidità, su cui si stanno concentrando le attività conoscitive dell’inquirente. Se emerge, dunque, in un determinato momento di questo segmento procedimentale, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una fattispecie di reato, è possibile richiedere al giudice ed ottenere un’autorizzazione all’espletamento delle intercettazioni. Ma è sempre con riferimento al “fatto-reato”, sia pure qualificato in modo embrionale ed ipotetico ed ovviamente suscettibile di approfondimenti, che si richiede al GIP di poter esperire il mezzo di ricerca della prova: tutto deve restare circoscritto alla complessiva vicenda oggetto di autorizzazione all’intercettazione, che potrà anche, data la fluidità a cui sopra si è fatto cenno, essere diversamente qualificata all’esito delle indagini, ma pur sempre essere la medesima vicenda. Quando, invece, la fattispecie di reato oggetto di indagini per il cui accertamento era originariamente stato consentito il sacrificio del diritto alla segretezza delle comunicazioni si rileva del tutto eterogenea rispetto a quella emergente dal contenuto delle conversazioni intercettate, le stesse saranno inutilizzabili dal punto di vista probatorio nel diverso procedimento che ne è scaturito, ben potendo, comunque, gli elementi raccolti essere utilizzati quale mera notizia di illecito penale valida per l’inizio di tale procedimento e per l’espletamento di accertamenti volti ad acquisire diversi elementi di prova.
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
SENTENZA N. 143
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso con ordinanza del 27 novembre 2006 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di C.C.H.E., iscritta al n. 380 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto in fatto
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare, nelle forme del giudizio abbreviato, il processo penale nei confronti di una persona nata in Cile, la quale – a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale – era stata catturata in Spagna, in esecuzione di mandato d’arresto europeo, il 15 giugno 2005 e consegnata in Italia il 15 luglio 2005.
Il rimettente riferisce, altresì, che – con istanza pervenuta il 30 agosto 2006 – l’imputato aveva dedotto l’intervenuta decorrenza del termine massimo «di fase» della custodia cautelare previsto dall’art. 303, comma 1, lettera a), numero 3), cod. proc. pen. (termine pari ad un anno, in rapporto ai reati contestati); individuando il relativo dies a quo nella data di cattura dell’istante in Spagna.
Il giudice a quo rileva, tuttavia, come l’ipotesi in questione non sia regolata dall’art. 722 del codice di rito. Quest’ultima norma disciplina gli effetti della custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, stabilendo – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – che detta custodia è computata non soltanto agli effetti della durata complessiva, stabilita dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen.; ma anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dai commi 1, 2 e 3 dello stesso articolo.
Il caso in esame dovrebbe ritenersi regolato, per contro, in via esclusiva dall’art. 33 della legge n. 69 del 2005, il quale stabilisce che «il periodo di custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo è computato ai sensi e per effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale». Tale disposizione si configurerebbe, difatti, come norma speciale rispetto all’art. 722 cod. proc. pen., recando una disciplina completa del computo della custodia cautelare all’estero: una disciplina in parte sovrapponibile a quella della citata disposizione codicistica, nel testo anteriore alla sentenza n. 253 del 2004; e in parte più ampia di essa, laddove richiama anche l’art. 657 cod. proc. pen., in tema di computo della custodia cautelare in fase di esecuzione. Si tratterebbe, di conseguenza, di una norma non suscettibile di «integrazioni esogene» ad opera del medesimo art. 722 cod. proc. pen.
Né, d’altra parte, sarebbe sostenibile – ai fini di una eventuale interpretazione “correttiva” – che la previsione normativa censurata sia frutto di una mera «dimenticanza», da parte del legislatore, di quanto statuito da questa Corte, non molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2005, tramite il ricordato intervento sull’art. 722 cod. proc. pen. La norma nazionale apparirebbe collegata, difatti, al disposto dell’art. 26, paragrafo 1, della decisione quadro 2005/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 – alla cui attuazione la legge de qua è preordinata – nella parte in cui fa riferimento al «periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato di arresto europeo». Tale formula, sul piano letterale, evocherebbe precipuamente l’istituto interno della durata massima «complessiva» della custodia cautelare, di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. Di conseguenza, non potrebbe essere condivisa l’opinione secondo cui la stessa decisione quadro autorizzerebbe – con l’ampia previsione dianzi riprodotta – una lettura estensiva della corrispondente disciplina nazionale, tale da consentire il computo della custodia cautelare all’estero anche agli effetti dei termini di fase.
In quest’ottica, tuttavia, la norma impugnata verrebbe a porsi – secondo il rimettente – in insanabile contrasto con l’art. 3 Cost.
Per un verso, infatti, la disciplina dell’art. 722 cod. proc. pen. – quale risultante per effetto della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – ben potrebbe fungere da tertium comparationis: e ciò al fine di sostenere che l’art. 33 della legge n. 69 del 2005 non sia conforme al parametro costituzionale evocato, nella parte in cui non prevede la possibilità di valorizzare la custodia all’estero anche ai fini del computo dei termini di fase, come ora sancisce, invece, l’art. 722 cod. proc. pen. rispetto all’estradizione dall’estero.
Per un altro verso poi, ed in ogni caso, le ragioni poste a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma del codice di rito – ragioni legate all’«equivalenza tra detenzione cautelare all’estero […] e custodia cautelare in Italia», che il rimettente dichiara di far proprie, riproducendo integralmente la motivazione della sentenza n. 253 del 2004 – varrebbero anche rispetto alla norma censurata: non potendosi ritenere che «l’origine comunitaria» della previsione sia sufficiente a giustificare un diverso trattamento.
La questione risulterebbe, da ultimo, senz’altro rilevante nel giudizio a quo, giacché – ove si dovesse tenere conto anche del periodo di custodia cautelare sofferto in Spagna – l’imputato, tuttora in vinculis, andrebbe liberato a fronte dell’avvenuta scadenza, alla data del 14 giugno 2006, del termine massimo di durata della custodia valevole in rapporto alla fase del procedimento anteriore a quella in corso (un anno).
Considerato in diritto
1. – Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare, subita all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe l’art. 3 Cost.: sia perché detterebbe una disciplina ingiustificatamente differenziata, in parte qua, rispetto a quella stabilita dall’art. 722 cod. proc. pen. – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – con riguardo al computo della custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato; sia, e comunque, per le medesime ragioni poste a base della declaratoria di illegittimità costituzionale della citata disposizione codicistica.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Con la sentenza n. 253 del 2004 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’art. 722 cod. proc. pen. – come sostituito dall’art. 10 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 – nella parte in cui stabiliva che la custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, fosse computata ai soli effetti della durata complessiva stabilita dall’art. 303, comma 4, del medesimo codice (fermo restando quanto previsto dall’art. 304, comma 4, poi divenuto comma 6); e non anche agli effetti della durata dei termini di fase, previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3.
Questa Corte ha rilevato come il citato art. 722 cod. proc. pen. determinasse, per tal verso, una evidente disparità di trattamento dell’imputato detenuto all’estero in attesa di estradizione, rispetto all’imputato in custodia cautelare in Italia. A giustificare tale disparità di trattamento non potevano considerarsi sufficienti né la considerazione – addotta nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 – «che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilità dello Stato italiano»; né la considerazione – prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, a sostegno della tesi della ragionevolezza della discriminazione – che, nel caso in parola, la durata della detenzione non risulta ricollegabile all’inerzia dell’autorità giudiziaria nazionale, ma deriva da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all’estero.
2.2. – La norma oggi censurata − l’art. 33 della legge n. 69 del 2005 (emanata per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) – prevede che il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computato ai soli effetti degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 cod. proc. pen. Si esclude così, al pari dell’art. 722 cod. proc. pen., nel testo scrutinato dalla Corte − con univocità testuale che non autorizza soluzioni interpretative diverse − la rilevanza di detto periodo di custodia agli effetti della durata massima dei cosiddetti termini di fase.
La ratio decidendi della citata sentenza n. 253 del 2004 vale a fortiori nell’ipotesi in esame.
Se l’equivalenza tra custodia all’estero e custodia cautelare in Italia è stata affermata con riferimento all’estradizione, essa, a maggior ragione, deve operare in relazione ad uno strumento − quale il mandato d’arresto europeo − che poggia sul principio dell’immediato e reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale. Tale istituto, infatti – a differenza dell’estradizione – non postula alcun rapporto intergovernativo, ma si fonda su rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri, con l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate. Ciò rende ancor meno tollerabile, sul piano costituzionale, uno squilibrio delle garanzie in tema di durata della carcerazione preventiva correlato al luogo – interno o esterno, rispetto ai confini nazionali – nel quale la carcerazione stessa è patita. Posto, infatti, che il titolo dell’arresto e della conseguente custodia, nel caso di specie, è unitario; e che il procedimento di consegna non si articola in funzione di un rapporto tra Stati, ma tra autorità giudiziarie: ne deriva che anche la durata della custodia cautelare deve sottostare ad una disciplina del pari unitaria; così da attrarre i “tempi della consegna” all’interno dei “tempi del processo”.
In sostanza, la condizione del destinatario del provvedimento restrittivo, a seguito di mandato d’arresto europeo, non può risultare – quanto a garanzie in ordine alla durata massima della privazione della libertà personale – deteriore né rispetto a quella dell’indagato destinatario di una misura cautelare in Italia, né, tanto meno, rispetto a quella dell’estradando: non essendo dato rinvenire alcuna ragione giustificativa di un diverso e meno favorevole trattamento del soggetto in questione.
L’art. 33 della legge n. 69 del 2005 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen.
per questi motivi
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio 2008.
F.to:
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