giovedì 17 aprile 2008

Corte Suprema di Cassazione, seconda sezione,ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite : nozione di profitto.

Corte Suprema di Cassazione

Sezione II Penale

Ordinanza n. 4018/2008


(ud. 23 gennaio 2008)

(dep. del 24 gennaio 2008)


Motivi della decisione

Con decreto del 26.6.2007, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti delle società I. S.p.A., F. S.p.A., F. C. S.p.A. e F. I. S.p.A., componenti dell'Associazione Temporanea di Imprese, aggiudicataria dei contratti per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani per
le province della Campania, ai sensi degli artt. 19 e 53 D.Lgs. 231/2001, quale profitto di reato, delle seguenti somme: - Euro 53.000.000,00 pari a quanto anticipato dal Commissariato per la
costruzione degli impianti delle province campane diverse da quella di Napoli; - Euro 301.641.238,98 relativo alla tariffa di smaltimento regolarmente incassata (ovvero la diversa somma effettivamente incassata a tale titolo da determinarsi in sede di esecuzione del
provvedimento); - Euro 141.701.456,56 portati dai documenti rappresentativi di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti dei Comuni (ovvero la diversa somma da determinarsi in sede di esecuzione del provvedimento); - Euro 99.092.457,23 relativo a spese sostenute, per lo smaltimento di R.S.U. e delle frazioni a valle della lavorazione degli impianti di CDR, dal Commissariato, ma contrattualmente a carico delle società affidatane (ovvero la diversa somma effettivamente incassata a tale titolo da determinarsi in sede di esecuzione del provvedimento); - Euro 51.645.689,90 pari al mancato deposito cauzionale; - quanto percepito a titolo di aggio per l'attività di riscossione svolta per conto del Commissariato e dei Comuni nell'importo da determinarsi in sede di esecuzione; - Euro 103.404.000,00 pari al valore delle opere realizzate nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra sino al 31.12.2005.

Contestualmente il G.I.P. del Tribunale di Napoli applicò alle menzionate società la misura interdittiva di cui all'art. 9 comma 2 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'illecito di cui all'art. 24
dello steso D.Lgs. con riferimento al reato di cui agli artt. 81, 110, 640 commi 1 e 2 n. 1 cod. pen.

Avverso il provvedimento di sequestro F. S.pA., F. C. S.p.A., F. I. S.p.A. e I. S.p.A., proposero istanze di riesame, ma il Tribunale di Napoli, Sezione VIII penale, con ordinanza del 24.7.2007, le respinse.

Ricorrono per cassazione i difensori e procuratori delle menzionate società.

I difensori e procuratori di F. S.pA e F. C. S.p.A., con un unico atto, richiamando anche quanto dedotto dai difensori di F. I. e I., deducono:

1. violazione della legge sostanziale e processuale (per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen.) in relazione alla nozione di profitto di cui agli arti 19 e 53 D.Lgs. 231/2001 in quanto il Tribunale del riesame avrebbe disatteso la pronunzia di questa Corte, Sez. VI, n. 32627 del 23.6.2006 dep.

2.10.2006, la quale aveva affermato che il profitto confiscabile nell'ipotesi di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 "può corrispondere all'utile netto ricavato” dalla società, senza peraltro motivare il diverso orientamento; secondo i ricorrenti la fondatezza dell'interpretazione offerta nella citata sentenza deriva anzitutto dal tenore letterale dell'art. 19 D.Lgs. 231/2001; inoltre l'inserimento nel concetto di profitto di crediti non ancora riscossi e le spese non sostenute si porrebbe in contrasto con l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale per profitto si deve intendere "l'utile ottenuto in seguito alla commissione del reato" (Cass. Sez. Un. Sent. n. 41936 del 25.10.2005); non potrebbero essere utilizzati i canoni interpretativi del profitto riferiti all'ambito della responsabilità individuale per la palese diversità dei principi ispiratori della responsabilità degli enti, nonché per la dicotomia tra prezzo e profitto che supererebbe il disposto di cui all'art. 240 cod. pen. che si riferisce al prodotto o al profitto del reato; poiché nel caso in esame non vi sarebbe stato alcun utile non vi sarebbe alcun profitto da confiscare; nel D.Lgs. 231/2001 il profitto rappresenterebbe un tertium genus rispetto ai concetti di interesse e vantaggio, utilizzato non solo per definire l'oggetto della confisca, ma anche come aggravante tale da terminare (se rilevante) l'applicazione di sanzioni interdittive, come aggravante della sanzione pecuniaria per gli illeciti dipendenti da alcuni reati e come parametro per la commisurazione della sanzione pecuniaria, distinguendolo dal danno arrecato dalla condotta illecita posta in essere;

2. violazione di legge in relazione al sequestro di poste attive che non costituiscono conseguenza immediata del reato presupposto in quanto (a prescindere dalla configurabilità del reato presupposto di truffa, stante l'assenza di inganno conseguente all'ipotizzata collusione fra organi controllanti e controllati) uno dei contratti sarebbe stato perfezionato in epoca anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001; inoltre se si ritiene che il risultato della condotta delittuosa sia consistito nell'aggiudicazione e nel mantenimento dei contratti di appalto, la diretta conseguenza del reato presupposto sarebbe solo la conclusione e prosecuzione dell'affare, mentre i diversi ricavi derivati dal rapporto contrattuale sarebbero
conseguenza indiretta del reato presupposto, sicché la valutazione del vantaggio avrebbe dovuto essere condotta con riferimento al lucro conseguibile attraverso l'esecuzione dei contratti; in ogni caso lamancata restituzione di somme ed il mancato pagamento di debiti non
sarebbero conseguenza del reato presupposto e la prima potrebbe al più integrare il delitto di appropriazione indebita e non di truffa;

3. violazione di legge per la mancata indicazione dei beni da sottoporre a sequestro, limitandosi il decreto di sequestro a ad una parziale quantificazione dei beni in parte da individuare in
fase esecutiva e l'ordinanza impugnata ha taciuto su tale doglianza svolta nell'istanza di riesame. Il difensore e procuratore di F. I., dopo aver premesso una ricostruzione dei fatti (negando che l'emergenza rifiuti a Napoli sia conseguenza dell'attività del concessionario) e
contestato la configurabilità del reato presupposto, deduce:

1. violazione della legge sostanziale e processuale (per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen.) in relazione alla nozione di profitto di cui agli arti 19 e 53 D.Lgs. 231/2001 in quanto il Tribunale del riesame avrebbe inteso la nozione di profitto nel senso di ricavo anziché nel senso di utile netto (vale a dire il ricavo dedotti i costi sostenuti) disattendendo la sentenza di questa Corte, Sez. VI, n. 32627 del 23.6.2006 dep. 2.10.2006, la quale aveva affermato che il profitto confiscabile nell'ipotesi di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 “può corrispondere all'utile netto ricavato” dalla società, orientamento seguito anche dalla giurisprudenza di merito; non potrebbero essere utilizzati i canoni interpretativi del profitto riferiti all'ambito della responsabilità individuale per la palese diversità dei principi ispiratori della responsabilità degli enti, anche in considerazione che nella responsabilità degli enti ci si trova in presenza di attività (quale quella d'impresa) in sé lecita e riconosciuta dall'ordinamento e non di attività strutturalmente illecite; poiché in tale contesto il reato assumerebbe carattere episodico, allo stesso dovrebbe conseguire una reazione proporzionata che permetta la conservazione di una realtà economica comunque utile e che riverbera su soggetti estranei; infatti l'art. 16 comma 3 D.Lgs. 231/2001 distinguerebbe tra ipotesi di criminalità d'impresa e quelle di impresa criminale (quando l'ente o una sua struttura organizzativa è stabilmente utilizzata allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di determinati reati); nel caso in esame l'attività delle società non potrebbe essere considerata intrinsecamente illecita, anche perché la stessa è proseguita, per disposizione del D.L. 30 novembre 2005, n. 245, convertito con legge 27 gennaio 2006, n. 21, sotto la direzione del Commissario delegato, sicché non solo dopo tale decreto legge è
certamente lecita, ma, essendo coincidente a quella svolta in precedenza, ne conseguirebbe la liceità anche di quella precedente;
inoltre poiché le contestazioni riguardano le modalità di esecuzione del contratto e non l'aggiudicazione della gara ne conseguirebbe l'impossibilità di qualificare come strutturalmente illecita l'attività; a ciò si aggiungono considerazioni di carattere sistematico che militerebbero a favore della tesi per la quale il profitto di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 coincide con l'utile netto: anzitutto il profitto rappresenterebbe un tertium genus rispetto ai concetti di interesse e vantaggio, utilizzato non solo per definire l'oggetto della confisca, ma anche come aggravante tale da terminare (se rilevante) l'applicazione di sanzioni interdittive, come aggravante della sanzione pecuniaria per gli illeciti dipendenti da alcuni reati e come parametro per la commisurazione della sanzione pecuniaria, distinguendolo dal danno arrecato dalla condotta illecita posta in essere, sicché non potrebbe essere inteso nel senso di ricavo globale, ma quale guadagno o risultato economico positivo conseguito dall'ente; nel D.Lgs. 231/2001 la confisca avrebbe natura sanzionatoria, essendo compresa fra le "sanzioni amministrative" e tale natura è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. II sent. n. 9829 del 16.2.2006); se di sanzione si tratta è necessaria una lettura costituzionalmente orientata con rispetto del principio di legalità con i corollari di determinatezza, tassatività e precisione, oltre che di
proporzionalità così da evitare eccessi sanzionatori; l'ablazione del profitto, prevista anche per l'ipotesi di assenza di colpevolezza dell'ente (nella quale la confisca manterrebbe al natura di misura di sicurezza), imporrebbe un'interpretazione restrittiva del termine profitto, così come la previsione di confisca nell'ipotesi di "patteggiamento";
tale lettura conseguirebbe altresì alla considerazione che la parte di ricavo già spesa non sarebbe suscettibile di utilizzo o reinvestimento in attività pericolose;
delimitato il concetto di profitto alla conseguenza economica immediata ricavata dal fatto di reato, le somme sequestrate non potrebbero essere considerate profitto di reato: la somma di Euro 53.000.000,00 anticipata dal Commissariato deve essere decurtata del controvalore dei
lavori e delle prestazioni eseguite pari a Euro 36.000.000,00, la somma di Euro 301.641.238,98 o quella diversa incassata dovrebbe essere limitata alla parte in cui la tariffa ecceda le spese di smaltimento ed in ogni caso dovrebbe essere esclusa l'Iva già versata all'erario, altrettanto per la somma di Euro 141.701.456,56 portati dai documenti rappresentativi di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti dei Comuni (ovvero la diversa somma da determinarsi in sede di esecuzione del provvedimento) dovrebbe essere decurtata dei costi sostenuti e dell'Iva, escluso comunque quanto incassato e trattenuto dal Commissariato (pari ad Euro 33.743.101,32 all'epoca del riesame), la somma di Euro 99.092.457,23 relativo a spese sostenute, per lo smaltimento di R.S.U. e delle frazioni a valle della lavorazione degli impianti di CDR, dal Commissariato, ma contrattualmente a carico delle
società affidatarie non è voce di profitto ma di danno e comunque errata nell'ammontare in quanto fa riferimento anche al credito vantato da E. anche per attività antecedente a quella dell'affidataria, la somma di Euro 51.645.689,90 pari al mancato deposito cauzionale non
rientra nella nozione di profitto ma consegue alla sostituzione della cauzione con fideiussione consentita dalle norme, la somma percepita a titolo di aggio per l'attività di riscossione svolta per conto del Commissariato e dei Comuni sarebbe indeterminata, la somma di Euro 103.404.000,00 pari al valore delle opere realizzate nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra sino al 31.12.2005 attiene a costi relativi ad attività lecita; il sequestro inoltre avrebbe colpito le società indistintamente e senza accertamento dei benefici da ciascuna di esse asseritamene realizzati;

2. violazione della legge sostanziale e processuale (per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen.) in relazione alla sussistenza dei presupposti previsti per l'applicazione della confisca per equivalente che consisterebbero nella necessità di quantificazione certa del profitto derivante da reato (costituito da beni la cui esistenza sia certa), nella dimostrata attuale impossibilità di rinvenire o apprendere i beni costituenti profitto di reato (nel caso di specie sarebbe stato apprensibile il termovalorizzatore di Acerra ed invece è stato sequestratoli valore equivalente) e nella individuazione di beni di valore equivalente anche solo attraverso una mera comparazione di massima fra il valore dei beni confiscabili e di quelli sequestrati riconducibili all'ente e non a terzi; l'ordinanza impugnata non avrebbe affrontato nessuno degli aspetti indicati benché dedotti nella richiesta di riesame.

Il difensore e procuratore di I. S.p.A. deduce:

I. violazione dell'art. 53 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'art. 19 dello stesso D.Lgs. per erronea interpretazione della nozione di profitto in quanto il provvedimento cautelare e l'ordinanza impugnata sarebbero fondati su due errori: da un lato il profitto di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 è stato identificato nella nozione di ricavo, dall'altro è stato inteso quale dato eventuale ed incerto, costituito da debiti da saldare, presunti risparmi di spesa e da spese effettuate senza alcun ritorno; citando la sentenza 23 giugno 2006 della VI Sezione penale di questa Corte, il ricorrente afferma che il profitto di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 sarebbe il profitto in senso stretto, coincidente con l'utile netto; tale interpretazione deriverebbe dall'interpretazione letterale del menzionato articolo 19 e dalla dicotomia tra prezzo e profitto di reato in contrapposizione a quella di cui all'art. 240 cod. pen. tra prodotto e profitto di reato,
mancherebbe altresì (nel citato art. 19) qualunque riferimento ai beni utilizzati per commettere il reato; il profitto nel citato art. 19 sarebbe quello realizzato dall'ente come concretizzazione post factum dell'interesse imprenditoriale, tanto che se nessun vantaggio economico fosse derivato dalla realizzazione del reato presupposto non sussisterebbe alcun profitto; a tale soluzione si dovrebbe pervenire anche alla luce dell'interpretazione sistematica degli artt. 19, 6
comma 5, 15 comma 4 e 17 D.Lgs. 231/2001 poiché il profitto viene confiscato anche in assenza di responsabilità dell'ente, così come del profitto conseguente alla prosecuzione dell'attività in caso di nomina di un commissario giudiziale incaricato di proseguire nella gestione societaria ed in tale caso sarebbe irragionevole la confisca del ricavo senza la deduzione dei costi; solo intendendo il profitto quale guadagno netto ha senso la confisca dello stesso anche in un rito
premiale quale il patteggiamento; la confisca nel caso del D.Lgs. 231/2001 avrebbe natura anche di sanzione (essendo cosi definita dall'art. 9 sicché si imporrebbe la ragionevolezza del suo parametro commisurativo nel rispetto del principio di proporzione di cui all'art.
27 Costituzione; l'attività economica dell'ente, volta all'esecuzione degli obblighi contrattuali ed allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani sarebbe lecita e nel sistema del D.Lgs. 231/2001 il reato presupposto deve essere inquadrato nell'ambito di una più ampia attività imprenditoriale lecita svolta da un soggetto diverso rispetto alla persona fisica che ha commesso il reato e le due attività devono essere distinte; nella specie l'attività delle società impegnate
nell'esecuzione del contratto di appalto è proseguita sotto la direzione e la responsabilità del commissario delegato ai sensi del D.L. 30 novembre 2005, n. 245 convertito con L. 27 gennaio 2006, n. 21;
il profitto del reato deve essere un dato certo e solo l'impossibilità di apprensione dello stesso giustificherebbe la confisca per equivalente;

II. violazione degli artt. 19 e 53 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'art. 640 comma 2 cod. pen. ed all'art. 2 D.Lgs. 231/2001 in quanto sarebbero state sequestrate voci attive che non costituirebbero conseguenza immediata del reato presupposto e violazione della legge processuale (per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen.); conseguenza immediata del reato sarebbero soltanto i rapporti contrattuali; peraltro alcune delle condotte sarebbe antecedenti l'entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001;

III. violazione degli artt. 1 comma 2, 19 comma 2 e 53 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'art. 640 comma 2 cod. pen. ed all'art. 2 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'emissione di un provvedimento di sequestro indiscriminatamente rivolte nei confronti di tutte le società del gruppo ed in particolare nei confronti di Impregilo quale società controllante che non ha tratto alcun elemento patrimoniale attivo dal reato contestato e violazione della legge processuale (per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen.); la misura cautelare disposta nei confronti di società controllante non potrebbe essere disposta anche nei confronti della
controllante;

IV. violazione degli artt. 19 e 54 D.Lgs. 231/2001 per mancata indicazione dei beni sottoposti a sequestro limitandosi alla mera quantificazione degli stessi;

V. violazione dell'art. 53 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'omesso e/o erroneo esercizio del potere discrezionale concesso al giudice nel disporre il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. citato, giacché se la confisca è obbligatoria tale non è il sequestro; la mancata precisazione delle esigenze cautelari determinerebbe una confisca anticipata;

VI. violazione dell'art. 46 comma 4 D.Lgs. 231/2001 in relazione all'applicazione congiunta di più misure cautelari, interdittive e cautelari reali che sarebbe vietata dalla norma predetta. Con successiva memoria il difensore di I. S.p.A. ha sviluppato ulteriori argomenti a sostegno dei motivi di ricorso.

Il principale fra i motivi di ricorso riguarda la nozione di profitto di cui all'art. 19 D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che, si sostiene, dovrebbe essere inteso quale utile netto che l'ente ricava dalla avvenuta commissione del reato.

In particolare tutti i ricorrenti richiamano la sentenza n. 32627 del 23 giugno 2006 (depositata il 2 ottobre 2006) della VI Sezione penale di questa Corte.

Nella motivazione di tale sentenza si legge: “Il profitto menzionato dall'art 13 cit. non corrisponde alla nozione di profitto cui si riferiscono le disposizioni in materia di confisca, quali, ad esempio, D.Lgs. n. 231 del 2001, ari. 19, art 15, comma 4, art 17, comma 1, lett. c). Queste ultime disposizioni, sebbene in maniera diversa, si preoccupano di assicurare allo Stato quanto illecitamente conseguito dalla società attraverso la commissione degli illeciti e oggetto del provvedimento ablativo non può che essere il profitto inteso in senso stretto, cioè come immediata conseguenza economica dell'azione criminosa, che può corrispondere all'utile netto ricavato”

Questo Collegio non trova convincente la finale affermazione contenuta in tale brano, secondo la quale il "profitto del reato" indicato dall'art. 19 D.Lgs. 231/2001 "può corrispondere all'utile netto ricavato", laddove si debba intendere che il profitto del reato dovrebbe essere inteso quale ricavo del reato, dedotti i costi dell'attività volta alla commissione del reato stesso. Si deve premettere che, secondo l'orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 9149 del 3.7.1996 dep. 17.10.1996 rv 205707) “In tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato”.

È poi opportuno ricordare che le cose che sono il profitto del reato, delle quali, a norma dell'art. 240 del codice penale, può essere ordinata la confisca, sono state identificate nel
ricavo del reato senza possibilità di dedurre i costi.

Così, ad esempio, in tema di cessione di sostanze stupefacenti è profitto del reato la somma ricavata dalla vendita della droga (Cass. Sez. VI sent. n. 6131 del 10.3.1994 dep. 25.5.1994 rv
199714); allo stesso modo, in tema di lottizzazione abusiva, le somme ricavate dalla vendita dei terreni lottizzati abusivamente costituiscono il profitto del reato (Cass. Sez. III sent. n. 1630 del
15.10.1984 dep. 6.11.1984 rv166552).

In entrambe le ipotesi non sono ammessi in deduzione, rispetto alla somma da confiscare, i costi sostenuti.

Ad esempio, in materia di stupefacenti non vale a diminuire il profitto derivato dalla vendita, cioè il ricavo, quanto speso per acquistare la droga poi rivenduta. Oppure, in ipotesi di ricettazione di beni rubati non può essere dedotto dal profitto di reato quanto pagato da costui agli autori del furto.

Nei ricorsi, sebbene sembri esservi consapevolezza di tale aspetto, si afferma che l'ipotesi di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/2001 sarebbe diversa da quella ex art. 240 cod. pen., in quanto, mentre nel secondo caso si versa in attività intrinsecamente illecita, nel primo si sarebbe in presenza di attività di impresa di per sé lecita, che solo episodicamente assumerebbe connotazioni illecite.

L'argomento, ad avviso del Collegio, sembra fondarsi su un equivoco.

L'art. 19 D.Lgs. 231/2001 prevede la confisca obbligatoria del "prezzo o del profitto del reato", non dell'attività di impresa lecita. Proprio perché ciò che deve essere confiscato è il "profitto del reato", non vi è alcuna ragione che giustifichi l'adozione di una nozione di profitto di reato diversa da quella di cui all'art. 240 cod. pen., che lo faccia coincidere con il solo utile netto.

Infatti, adottando l'interpretazione proposta nei ricorsi (ed apparentemente condivisa dalla 6a Sezione di questa Corte nella richiamata pronunzia) si consentirebbe la deduzione dal ricavo del reato dei costi sostenuti per commetterlo, i quali ben potrebbero non aver nulla a che vedere con l'attività lecita dell'impresa.

Va ricordato che l'attività delittuosa sarà pur sempre posta in essere da persone fisiche le quali, anziché agire (soltanto) in nome e per conto proprio, agiscono anche in nome e per conto ovvero nell'interesse dell'ente, ma tale attività di perpetrazione del reato sarà, proprio in quanto tale, pur sempre intrinsecamente illecita.

Non vi è perciò, a parere di questo Collegio, alcuna apprezzabile differenza nell'attività delittuosa, sia che della stessa risponda solo la persona fisica che l'ha realizzata, sia che ne
risponda anche l'ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

A sostegno dell'argomento svolto é sufficiente pensare, richiamando gli esempi sopra indicati, che l'attività di cessione di sostanze stupefacenti potrebbe essere realizzata da organi o dipendenti di una società per azioni che operi nell'industria chimica o farmaceutica ovvero che la ricettazione sia riferita, anziché ad una persona fisica ad una società a responsabilità limitata. Non si comprende allora per quale ragione, in queste ultime ipotesi, i costi relativi alla perpetrazione del reato dovrebbero diventare deducibili, mentre non lo sarebbero se l'attività delittuosa, del pari a base lecita e solo episodicamente illecita, fosse realizzata da un
imprenditore persona fisica.

Appare inficiata dallo stesso equivoco anche l'affermazione contenuta nei ricorsi, secondo la quale l'attività delle società impegnate nell'esecuzione del contratto di appalto sarebbe per definizione lecita in quanto è proseguita sotto la direzione e la responsabilità del commissario delegato ai sensi del D.L. 30 novembre 2005, n. 245 convenuto con L. 27 gennaio 2006, n. 21 (e poiché sarebbe identica a quella antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 245/2005 ne conseguirebbe la liceità anche di quella precedente).

L'attività che il D.L. 30 novembre 2005, n. 245 convertito con L. 27 gennaio 2006, n. 21 prevede debba essere svolta sotto la direzione e la responsabilità del commissario delegato è certamente di per sé lecita, ma è attività diversa ed ulteriore da quella di perpetrazione del reato ed i due aspetti devono essere tenuti distinti.

Lo stesso si deve dire per le ipotesi di cui all'art. 15 comma 4 D.Lgs. 231/2001, di attività proseguita sotto la direzione di un commissario giudiziale. Tale disposizione prevede non certo la confisca del profitto del reato, bensì la confisca del "profitto derivante dalla prosecuzione dell'attività", concetto del tutto diverso da quello di profitto di reato, in relazione al quale può
essere giustificata l'interpretazione secondo la quale tale profitto sia determinabile in base ai ricavi dedotti i costi. Ciò in quanto si tratta di attività lecita e non di attività finalizzata alla perpetrazione del reato. Irrilevante sembra infine la considerazione secondo la quale si fa luogo a confisca del profitto di reato anche nei confronti dell'ente non sanzionabile, giacché lo scopo della norma è di consentire comunque il recupero del profitto del reato quando sia stato realizzato in capo all'ente, anziché alla persona fisica.

Se si accetta la tesi secondo la quale il profitto di reato ex art. 19 D.Lgs. 231/2001 coincide con l'utile netto del reato, si perviene all'azzeramento di rischi economici conseguenti alla perpetrazione di illeciti penali, dal momento che in ipotesi di confisca l'ente si limiterà a non guadagnare nulla (salve le sanzioni ed il risarcimento dei danni).

Tale soluzione, sembra vanificare l'innovazione normativa operata dal D.Lgs. 231/2001, dal momento che anche prima di tale D.Lgs. gli enti, di regola, erano civilmente obbligati per la pena pecuniaria e responsabili civili dei danni conseguenti a reato. Diversa ed ulteriore questione è, come si è detto, quella relativa alla concreta distinzione tra ciò che è profitto di reato (e che deriva da attività illecita i cui costi non sono, ad avviso di questo Collegio, deducibili) e quanto deriva invece dalla attività lecita svolta dall'impresa.

Peraltro tale problema potrà essere affrontata solo dopo aver deciso come debba essere interpretata la nozione di profitto di reato di cui all'art. 19 D.Lgs. n. 231/2001 e cioè se debba intendersi quale utile netto del reato ovvero quale ricavo.

Poiché trattasi di una questione di diritto che, anche in conseguenza della pronunzia emessa della 6A Sezione di questa Corte, sopra citata, può dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale, appare quindi opportuno, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen. rimettere i ricorsi alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte rimette i ricorsi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione

Dal sito della Cassazione : Sentenza n. 15157 del 5 febbraio 2008 - depositata il 10 aprile 2008




SENTENZA N. 15157 UD.05/02/2008 - DEPOSITO DEL 10/04/2008

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PERSONA GIURIDICA - RESPONSABILITA' DA REATO - COMMISSARIAMENTO DELL'ENTE - COMPENSO DEL COMMISSARIO
La Corte ha stabilito che l'acconto sul compenso al commissario giudiziale nominato ai sensi dell'art. 45, comma terzo, d. lgs. n. 231 del 2001 non può essere posto a carico dell'ente commissariato, se non dopo la sua eventuale definitiva condanna. Nel frattempo il relativo esborso costituisce una spesa che deve essere anticipata dall'erario ai sensi dell'art. 4 d.P.R. n. 115 del 2002, norma applicabile anche nel procedimento per l'accertamento della responsabilità amministrativa da reato degli enti.
Testo Completo: Sentenza n. 15157 del 5 febbraio 2008 - depositata il 10 aprile 2008

(Sezione Quarta Penale, Presidente L. Marini, Relatore P. Piccialli)
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PROFILI PRATICI DELLA QUESTIONE SULLA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITA' DEGLI ENTI

PROFILI PRATICI DELLA QUESTIONE
SULLA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITA' DEGLI ENTI
Riv. it. dir. e proc. pen. 2006, 1, 151
Giuseppe Amarelli
Ricercatore di Diritto penale nell'Università degli Studi di Napoli Federico II


Sommario:
1. Introduzione. _ 2. La diffusa sottovalutazione del problema della natura giuridica della responsabilità delle persone giuridiche. _ 3. La rilevanza pratica della questione. _ 4. Gli argomenti a sostegno della natura amministrativa della responsabilità degli enti. Critica. _ 5. Gli argomenti a sostegno della natura penale della responsabilità degli enti. _ 6. L'implicita presa di posizione a favore della soluzione `penalisitica' in una recente pronuncia della Suprema Corte. _ 7. Conclusioni.

1. Introduzione._ Dopo un lungo periodo di lento rodaggio la ormai non troppo recente
`Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di responsabilità giuridica, introdotta dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (1) e già più volte integrata nel corso di questi primissimi anni di vigenza da una serie di interventi legislativi che ne hanno progressivamente ampliato la c.d. `parte speciale'(2), ha finalmente cominciato a trovare una sempre crescente applicazione dinanzi alle corti sia di merito, sia di legittimità (3).

Da oggetto di discussioni meramente astratte e dottrinarie la materia della responsabilità degli enti è così divenuta oggetto (anche) del `diritto vivente' plasmato dalla giurisprudenza. E, come sovente accade, tale passaggio dalla `potenza' all'`atto' si è rivelato fondamentale per consentire una corretta individuazione dei reali profili problematici implicati dal novum legislativo.

Grazie a queste prime sentenze, infatti, risulta oggi possibile iniziare ad osservare _ per dirla con la celebre metafora di Radbruch(4) _ quale direzione, una volta entrata nel mare aperto del diritto in action, questa normativa stia assumendo e, conseguentemente, risulta possibile provare a stilare un sommario bilancio dell'impatto con la prassi di una serie di questioni dogmatiche che sinora avevano assunto il sapore di mere dispute accademiche:
prima tra tutte quella inerente alla natura giuridica di tale responsabilità.

Proprio alcune decisioni giurisprudenziali, prendendo posizione su tale argomento, probabilmente in modo inconsapevole, hanno finito con il sottolineare il ruolo chiave rivestito dalla risoluzione del quesito sulla natura giuridica della responsabilità degli enti nei procedimenti di interpretazione ed applicazione dell'innovativa disciplina normativa contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2001.

Alla luce di ciò può apparire, allora, quanto mai fecondo affrontare nuovamente, e su basi più ampie, il tema della natura giuridica della responsabilità delle persone giuridiche. La possibilità di integrare una analisi normativa-astratta condotta sul solo dato testuale del decreto legislativo, con una dinamica-interpretativa svolta su alcune pertinenti pronunce giurisprudenziali, sembra, invero, poter garantire un maggior grado di attendibilità e di certezza agli eventuali esiti di una simile indagine.
Prima, però, di addentrarci nella disamina della questione muovendo sui due predetti piani di lavoro, si ritiene utile ricostruire, seppur in via estremamente sintetica, i toni progressivamente attutiti che aveva assunto il dibattito in argomento.

2. La diffusa sottovalutazione del problema della natura giuridica della responsabilità delle persone giuridiche. _ Prima dei recenti interventi giurisprudenziali, quella sulla natura giuridica sembrava oramai destinata ad essere considerata una diatriba astratta, infeconda di implicazioni rilevanti nella prassi, la cui risoluzione poteva essere utile unicamente a far apprezzare sul piano simbolico l'entità innovatrice della riforma appena varata, vale a dire, a
far comprendere se essa rappresentasse o meno la più importante e profonda modifica realizzata nel nostro sistema sanzionatorio nell'ultimo secolo(5).

Detto altrimenti: l'effettiva portata rivoluzionaria e di rottura rispetto al passato del d.lgs. n. 231/2001 finiva per risultare drasticamente attenuata se, attenendosi alla lettera apparentemente inequivocabile del titolo del testo normativo e della rubrica del capo I e delle sezioni I e II di tale capo (oltre che degli artt. 2, 3 comma 1°, 72 e 82 comma 2°), si riteneva che il legislatore non avesse introdotto una vera e propriaresponsabilità penale degli enti collettivi, bensì unaresponsabilità meramente amministrativa(6).

Diversamente, ove ad una più approfondita lettura della disciplina, sia sostanziale che processuale, si riscontrava che si trattasse di una responsabilità penale vera e propria, si doveva costatare che con questa riforma era stato dichiaratamente abbattuto uno dei più solidi ``miti giuridici''(7) del diritto penale moderno: il `costoso'societas delinquere non potest(8).

A sminuire ulteriormente l'importanza della questione aveva poi contribuito il sedimentarsi, nell'opinione della maggioranza dei commentatori, della convinzione circa la assoluta irrilevanza della principale implicazione giuridica che essa sembrava comportare: l'asseritaincompatibilità di una autentica responsabilità penale degli enti con i due principi sanciti dal primo e dal terzo comma dell'art. 27 Cost. letti in chiave di complementarietà teleologica, secondo il noto insegnamento della sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale.

La dottrina, difatti, dopo aver considerato per decenni, all'unanimità, tali principi costituzionali ostacoli insormontabili alla introduzione di una simile forma di responsabilità, in seguito al varo della riforma ha radicalmente mutato opinione, passando a sostenere, senza un'adeguata confutazione critica delle proprie precedenti e granitiche convinzioni, la piena compatibilità con essi di una eventuale responsabilità penale degli enti collettivi(9).

Muovendo dalla premessa della pacifica ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico anche di una autentica responsabilità penale degli enti, tutti gli sforzi diretti a verificare se l'etichetta amministrativa apposta ad essa dal legislatore fosse o meno veritiera, o non nascondesse invece un intermedio tertium genus di responsabilità (10), o una vera e propria responsabilità penale, sono stati di riflesso declassati al rango minore delle querelle puramente formali ed accademiche. Sicchè, il dibattito sulla natura giuridica di questa responsabilità, una volta svuotato di ogni aspetto problematico, è inevitabilmente finito con l'essere relegato nella volta celeste delle discussioni giuridiche sterili ed astratte.

A restituire centralità a tale trascurato dilemma, come si è già accennato in precedenza, sono state, paradossalmente, proprio quelle prime applicazioni giurisprudenziali del decreto che avrebbero, invece, dovuto sancirne la assoluta irrilevanza pratica.

3. La rilevanza pratica della questione. _ Ma procediamo con ordine e, prima di tentare di fornire una risposta al quesito sul genus della responsabilità che tenga conto del reale `stato
delle cose' (che tenga conto, cioè, di come la giurisprudenza stia interpretando la normativa), proviamo a sfatare la convinzione che esso rappresenti un problema del tutto superfluo, mettendo, di contro, in evidenza le notevoli conseguenze che discendono dalla sua soluzione e che inducono a ritenere non eludibile un chiarimento sul punto.

In primo luogo, dalla risposta fornita alla domanda sulla natura giuridica della responsabilità
degli enti deriva la possibilità di riconoscere o meno valore vincolante nella relativa normativa ai principi dimostrativi dettati dalla Costituzione per il diritto penale(11), primi tra tutti: il principio di legalità in tutte le sue molteplici accezioni di riserva di legge, precisione, determinatezza(12), tassatività, divieto di analogia e irretroattività, sancito dall'art. 25, 2° comma Cost., il principio di colpevolezza, il principio della presunzione di non colpevolezza ed il principio della finalità (tendenzialmente) rieducativa delle pene, statuiti, rispettivamente, dai commi 1, 2 e 3, dell'art. 27 Cost.

Analogamente, solo condividendo la tesi della responsabilità penale degli enti si possono invocare relativamente alla nuova normativa i principi affermati dalla Costituzione per il processo penale: soltanto così, ad esempio, appare giustiziabile costituzionalmente il principio di obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 della nostra Carta fondamentale nei confronti dell'art. 58 del d.lgs. 231 del 2001, che affida al pubblico ministero, senza controllo del giudice, la scelta sulla archiviazione del procedimento a carico dell'ente. Presupposto per eccepire un preteso contrasto di tale disposizione con l'art. 112 Cost. è la convinzione che essa attribuisca al pubblico ministero il potere discrezionale di archiviare dei procedimenti aventi ad oggetto deiveri e propri reati, dal momento che unicamente ai fini della loro cognizione è ritenuto costituzionalmente obbligatorio l'esercizio dell'azione penale(13).

Ciò significa, in via più in generale, che in un sistema a Costituzione rigida come il nostro,solo ammettendo che si tratti di un'autentica responsabilità penale, tutti questi principi diventano giustiziabili da parte della Corte costituzionale al fine di vagliare la legittimità costituzionale delle singole disposizioni normative che compongono il d.lgs. n. 231 del 2001(14).

Diversamente, secondo un orientamento univoco e consolidato della giurisprudenza della Corte costituzionale, i principi penalistici di rango costituzionale non potrebbero essere invocati nei confronti di fonti normative di rango ordinario statuenti meri illeciti (e sanzioni) amministrativi.
I giudici del Palazzo della Consulta, dopo essersi limitati in passato ad ammettere solo implicitamente tale incompatibilità (C. Cost. sent. 9 giugno 1961, n. 29), a partire dagli anni Ottanta, hanno in più occasioni ribadito l'estraneità dei principi costituzionali di marca penalistica alla materia penale-amministriva(15).

A titolo puramente esemplificativo si ricordino le seguenti decisioni:
  • la sentenza del 14 marzo 1984, n. 68, in cui la Corte ha affermato espressamente che "il principio di irretroattività stabilito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, riguarderebbe solo le norme penali e non tutte le norme punitive in generale"(16);
  • l'ordinanza 19 novembre 1987, n. 420, con la quale la Corte asserito che "l'intero testo dell'art. 27 della Costituzione si applica soltanto alla responsabilità penale; il principio della irretroattività della legge è costituzionalizzato solo con riguardo alla materia penale"(17);
  • l'ordinanza di poco successiva, 10 dicembre 1987, n. 502, nella quale i giudici della Consulta hanno sottolineato nuovamente che "il principio della personalità della pena opera esclusivamente nei confronti delle pene vere e proprie e non ha alcuna attinenza con le sanzioni di altra natura";
  • l'ordinanza 14 aprile 1994, n. 159, in cui la Corte ha ulteriormente rimarcato che i principi sanciti negli articoli 25, 2 comma e 27, 1 e 3 comma Cost. valgono esclusivamente per le sanzioni penali e sono estranei, quindi, rispetto all'illecito punitivo amministrativo a causa della sua "spiccata specificità ed autonomia rispetto al sistema sanzionatorio penale"(18);
  • l'ordinanza 9 febbraio, 2001, n. 33, con cui è stata dichiarata infondata "la censura mossa dal rimettente alla disposizione impugnata per violazione dell'art. 27 Cost., in quanto tale norma si riferisce alle ``pene'' ed è perciò inapplicabile alle sanzioni amministrative"(19);
  • l'ordinanza 5 luglio 2002, n. 319, nella quale la Corte (confermando le precedenti pronunce 3 maggio 2002, n. 150, 23 luglio 2001, n. 282 e 24 luglio 1995, n. 356(20)) ha riaffermato la efficacia non vincolante del principio di irretroattività della legge penale relativamente alla modifica della disciplina di illeciti amministrativi(21); ed infine, la recente ordinanza 15 luglio 2004, n. 226, relativa alla natura del provvedimento di espulsione dello straniero che debba scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, con cui la Corte ha per l'ennesima volta ribadito la estraneità dei principi di cui agli articoli 25 e 27 Cost. in materia di sanzioni amministrative(22).

Non sembra, allora, residuare alcuna possibilità per poter affermare il contrario, per riconoscere, cioè , in forza dell'analogo carattere afflittivo che connota le sanzioni penali-amministrative , la pertinenza di tali principi guida costituzionali anche alle norme che disciplinano illeciti meramente amministrativi(23).

A nulla vale obiettare che i primi articoli del d.lgs. n. 231 del 2001, sulla falsa riga degli artt. 1 e ss. della l. n. 689/1981, enunciano con formule sostanzialmente analoghe principi pressochè identici a quelli dettati dalla Costituzione e dal codice penale per il diritto penale, quali il principio di legalità e quello di irretroattività(24).

Come ha rilevato puntualmente parte della dottrina "l'affermazione del principio di legalità contenuta in una legge ordinaria (come l'art. 1 l. n. 689/1981 o l'art. 2 d.lgs. n. 231/2001) ha un valore indicativo per il legislatore futuro ed anche per l'interprete, ma è vincolante solo per quest'ultimo e non per il primo.

"Soltanto una norma di rango costituzionale può metterci al riparo dalle trasgressioni del legislatore futuro"(25).

Peraltro, anche al di fuori dei problemi connessi all'eventuale vaglio di legittimità costituzionale della disciplina ordinaria contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2001, asserire che si tratti di una responsabilità penale consentirebbe di risolvere un'altra delle questioni che di recente sono state sottoposte all'attenzione della giurisprudenza: quella della ammissibilità o meno della costituzione di parte civile nel processo contro un ente collettivo.

Come ha sapientemente rilevato Carlo Federico Grosso in una recente nota a sentenza, muovendo da questa premessa si offrirebbe un solido appiglio di carattere sistematico alla risposta favorevole alla costituzione di parte civile in questo peculiare processo penale, confutando l'orientamento opposto seguito da due pronunce dei tribunali di merito fondate su "succinte argomentazioni (...) tutt'altro che decisive"(26).

A ciò si aggiunga che la diversa qualificazione di tali illeciti come amministrativi produce conseguenze di non secondario momento anche sul piano della cooperazione giurisdizionale(27), "per non parlare della giurisdizione della Corte europea dei diritti dell'uomo che, dalla qualificazione delle norme come penali piuttosto che civili, dovrebbe desumere l'ancoraggio a differenti parametri normativi e la conseguente applicabilità o meno di talune garanzie (si pensi soltanto al diritto di informazione sui motivi dell'accusa, al diritto al tempo necessario per preparare una difesa; alla presunzione di innocenza, alla garanzia processuale del contraddittorio ed a quella sostanziale della legalità ed irretroattività dei reati e delle pene; al ne bis in idem, ecc.: tutte garanzie operanti soltanto per la responsabilità penale)"(28).

Nè, tanto meno, risulta sufficiente per aggirare l'ostacolo della non vincolatività e giustiziabilità in questa materia dei principi costituzionali penalistici, condividere l'orientamento di quella parte della dottrina che attribuisce alla responsabilità degli enti, in luogo di una autentica natura amministrativa, la natura ibrida ed anfibia di tertium genus(29).
A tal proposito, si deve rilevare che se la Corte nelle pronunce in precedenza richiamate ha fermamente negato la estensibilità dei citati principi costituzionali in materia amministrativa, difficilmente potrebbe ammetterla in relazione a questotertium genus.

La ratio comune di quelle decisioni, invero, è stata rappresentata non tanto da una valutazione delle peculiarità del diritto penale-amministrativo rispetto al diritto penale in senso stretto, quanto dalla convinzione che i principi costituzionali di marca penalistica siano validi esclusivamente per il diritto penale e non anche per altre branche dell'ordinamento giuridico ad esso affini. In tal senso appare chiarissima proprio una delle sentenze poc'anzi richiamate, la n. 502 del 1987, nella quale i giudici del Palazzo della Consulta hanno espressamente affermato, con riguardo al principio della personalità della pena, che esso "opera esclusivamente nei confronti delle pene vere e proprie e non ha alcuna attinenza con le sanzioni di altra natura".

4. Gli argomenti a sostegno della natura amministrativa della responsabilità degli enti.
Critica. _ Se, quindi, la discussione non è così astratta ed inutile come poteva sembrare in apparenza, risulta a questo punto opportuno, per non dire necessario, cercare di stabilire quale sia la effettiva natura giuridica di detta responsabilità.
A tale scopo occorre procedere, come si è anticipato nelle battute iniziali del presente lavoro,in primis, ad una indagine approfondita della disciplina sostanziale e processuale contenuta nel decreto capace di andare oltre l'orizzonte delle definizioni formali, al fine di dimostrare come già a livello astratto-normativo emerga in maniera limpida la inautenticità del dato nominale `responsabilità amministrativa' adottato nel titolo del testo di legge e nella rubrica di alcune sue sezioni e capi(30).
Lo studio critico della giurisprudenza deve rappresentare il secondo, complementare, gradino dell'indagine, la cartina di tornasole per suffragare (o eventualmente confutare) la veridicità della tesi che ritiene si tratti di una vera e propria responsabilità penale e non di una mera responsabilità amministrativa, o di un ibrido ed intermedio tertium genus.
Prendendo, dunque, le mosse da tale approccio metodologico che nega l'irrilevanza della diatriba e che cerca di andare oltre il dato formale dell'etichetta legislativa, non sembra pienamente condivisibile il diverso orientamento di quella parte autorevole della dottrina che giudica la disputa sulla natura giuridica della responsabilità degli enti come una discussione superflua che rischia di "scambiare per problemi ``dogmatici'', di sostanza, problemi di mera costruzione del linguaggio della scienza giuridica"(31).

Allo stesso modo, non sembra possibile risolvere la questione affermando con altra parte autorevole della dottrina che la natura giuridica delle sanzioni dipende unicamente dal "nome con il quale le chiama la legge" e che, quindi, se il legislatore nel caso di specie ha parlato di sanzioni amministrative tale ? la loro natura giuridica(32).

Per quanto concerne la prima osservazione, è vero che il problema in parola è apparentemente un problema di natura meramente nominale e di costruzione del linguaggio, ma trovandoci in un settore, quale è quello delle scienze giuridiche e, più precisamente, in quello della creazione di norme `penali incriminatrici', il problema del linguaggio è tutt'altro che secondario(33): ("l'utopia regolativa"(34) della certezza del diritto e delle garanzie dipende principalmente dal linguaggio, dalla ``forma''(35), come conferma, ad esempio, la questione della invocabilità o meno in materia dei principi costituzionali di tipo penalistico già affrontata in precedenza(36). Senza tener conto che in quegli ambiti del diritto di pura creazione legislativa, qual' è per antonomasia quello delle persone giuridiche, il linguaggio ha anche un forte valore `sostanziale', `fondativo', nel senso che vale a fissare attraverso un enunciato normativo un criterio utile ad interpretare la realtà in maniera diversa dalla sua essenza naturalistica.
Il secondo rilievo sembra essere, invece,prima facie, assolutamente ineccepibile, dal momento che è indubitabile la astratta validità della regola in forza della quale è il nome della sanzione a determinare la natura della stessa e, quindi, della responsabilità. Di norma, infatti, il nomen iuris costituisce l'unico elemento da cui desumere la natura delle sanzioni, nonchè la natura di un determinato comportamento illecito e, soprattutto, il tipo di disciplina sostanziale e processuale per esso valida.
Basti pensare soltanto al caso della sanzione pecuniaria, la cui natura giuridica dipende esclusivamente dal nomen iuris adottato dal legislatore: a seconda che essa si chiami multa, ammenda, sanzione amministrativa, risarcimento del danno, si parla, rispettivamente, di sanzione penale, amministrativa o civilistica; da ciò discende a sua volta che l'illecito a cui tale sanzione è correlata rappresenta, rispettivamente, un delitto, una contravvenzione, un illecito amministrativo o un illecito civile e che si seguirà per il suo accertamento e per la commisurazione ed esecuzione della correlata sanzione un diverso e peculiare regime giuridico.

Non si vuole, quindi, contestare la validità di tale regola induttiva, ma si vuole eccepire che la disciplina contenuta nel decreto legislativo in questione integra una palese deroga adessa. Ove mai si seguisse il suddetto criterio nominalistico anche nel caso di specie, dovremmo dedurre che gli illeciti delle persone giuridiche sono illeciti amministrativi per il cui accertamento processuale, e per la cui commisurazione ed esecuzione della risposta sanzionatoria si seguono regole, principi e garanzie analoghe a quelle dettate per le violazioni amministrative. Appare, altresì, evidente (come si dimostrerà tra breve) che quasi nessuna delle disposizioni del decreto legislativo n. 231/01 statuisce regole di estrazione amministrativa.
L'invito a "prendere sul serio, in quanto espressione della volontà del legislatore"(37), la scelta dell'etichetta amministrativa per questo modello di responsabilità degli enti non può allora essere accolta.
Al contrario, come osserva de Vero, l'interprete non deve ritenersi condizionato dalla presa di posizione ``autentica'' assunta dal legislatore(38), poichè il testo normativo considerato nella sua interezza è sintomatico di ben altra realtà e, precisamente, di un sistema sanzionatorio rispondente a regole sostanziali e processuali che di amministrativo presentano ben poco.

Ciò non vuole dire che attraverso gli strumenti dell'interpretazione si vuol modificare praeter legem il significato ed il valore dei segni linguistici prescelti dal legislatore stravolgendone la loro portata semantica. Bensì, che il `senso possibile' dell'intero corpus normativo, a causa di uno stridente contrasto tra etichette formali e disciplina sostanziale, deve essere ricercato integrando il procedimento ermeneutico dell'interpretazione letterale, con quello complementare della interpretazione sistematica, ponendo le singole norme in relazione e/o confronto sia con l'intero testo normativo di appartenenza, sia con le regole del diritto penale `classico'.

Facendo ricorso ad un simile schema interpretativo, la responsabilità introdotta con il provvedimento legislativo in esame risulta una responsabilità che di amministrativo presenta (per ragioni compromissorie) unicamente il nomen iuris, essendo sostanzialmente in tutto e per tutto disciplinata come una responsabilità penale vera e propria(39).

Anche gli ulteriori argomenti `di sostanza' che, unitamente a quelli nominalistici, dovrebbero far pendere la bilancia verso la natura amministrativa della responsabilità, o comunque verso la natura ibrida di tertium genus, appaiono deboli: non sembra sufficiente a tal fine osservare che il regime della prescrizione degli illeciti degli enti è delineato secondo schemi non penalistici(40) e che, nel caso di vicende modificative dell'ente, le sanzioni inflitte si trasferiscono secondo le regole civilistiche vigenti in materia di traslazione delle obbligazioni(41).

Ladisciplina della prescrizione (art. 22), infatti, appare priva di razionalità e di coerenza sotto diversi profili(42). Da un lato, perchè prevede (sul modello dell'art. 28 della l. n. 689 del 1981(43)) un unico termine quinquennale valido per tutti i tipi di sanzioni irrogabili a carico di un ente collettivo e non, sulla falsa riga di quanto statuito negli artt. 157 e ss. del codice penale, più termini diversi almeno per ciascuna delle diverse species sanzionatorie, vale a dire per quella pecuniaria e per quella interdittiva. Ne risulta, così, che la durata del tempus utile a far maturare la prescrizione è inspiegabilmente svincolata dalla entità della sanzione prevista per l'illecito, sicchè si prescriveranno nello stesso tempo sia gli illeciti meno gravi dell'ente puniti con la sola sanzione pecuniaria, sia quelli puniti con la più grave delle sanzioni, la interdizione definitiva dall'esercizio di un'attività!

Dall'altro, perchè, seguendosi in materia il diverso e più lento regime civilistico, si potrebbe verificare, come effetto indiretto, l'assurdo che il reato base compiuto dalla persona fisica da cui discende anche la responsabilità dell'ente si prescriva prima (rischio oggi ancor più concreto dopo le recenti modifiche apportate alla disciplina della prescrizione dalla c.d. ex Cirielli(44)) e che il processo penale vada avanti solo ed esclusivamente per accertare la responsabilità definita amministrativa della persona giuridica per un reato ormai estinto. A ciò si aggiunga che anche sul piano delle ragioni di politica criminale la previsione per le sanzioni a carico degli enti di un regime della prescrizione diverso da quello ordinario previsto per i reati appare incongrua. Una autonoma disciplina si giustificherebbe solo se l'estinzione per prescrizione dipendesse da una condotta specifica dell'autore persona giuridica; com'è noto, invece, l'estinzione del reato o delle sanzioni nel caso della prescrizione non è assolutamente correlata ad una condotta dell'autore, discendendo unicamente "da ragioni squisitamente obiettive, legate al decorso del tempo"(45), vale a dire, dalla perdita di interesse da parte dello Stato all'esercizio della potestà punitiva, perdita di interesse che non è in alcun modo correlata al tipo di soggetto autore dell'illecito, bensì alla gravità dell'illecito commesso, che nel caso di specie è unico (sul problema dell'unicità dell'illecito si tornerà tra breve al N. 4,sub lett.a).

Si può allora rilevare che, forse, tale disciplina, piuttosto che essere invocata per negare il carattere penale della nuova responsabilità degli enti, dovrebbe essere oggetto di una integrale e più meditata riformulazione secondo schemi e parametri analoghi, se non identici, a quelli dettati per il diritto penale(46). Sarebbe senz'altro preferibile al riguardo, come ha puntualmente osservato Carlo Piergallini, ricalcare la disciplina prevista dal Progetto di riforma del codice penale redatto dalla Commissione ministeriale Grosso nel 2000, che all'art. 125, 2 comma, annoverava termini di prescrizione identici a quelli previsti per la persona fisica autore del reato, per le sanzioni correlate agli illeciti commessi dalle persone giuridiche(47).

Più difficilmente confutabile sembra essere il secondo argomento addotto a sostegno della natura amministrativa della responsabilità, quello inerente alla disciplina delle vicende modificative dell'ente dettata nel Capo II del d.lgs. n. 231 del 2001, dagli artt. 27-33. Le regole seguite in caso di scissione, fusione, trasformazione e conferimento per le sanzioni inflitte alla persona giuridica sono, difatti, di impronta chiaramente civilistica, valendo in tali circostanze il criterio dellatraslazionedelle obbligazioni della società oggetto o soggetto della modificazione. Questa rigorosa disciplina appare in palese contraddizione con uno dei principi cardine del diritto penale, quello della personalità della responsabilità penale e della relativa pena, in forza del quale la sanzione penale non può mai trasferirsi, "neppure per gli scopi più nobili (come quelli di evitare elusioni mediante artificiose modificazioni dell'ente)"(48), in capo ad altro soggetto.
Tale ostacolo a considerare la responsabilità degli enti penale può essere aggirato, però, se si tiene conto del fatto che, a causa della peculiarità giuridiche), una simile disciplina rappresenta un espediente giuridico necessarioimposto da fondate esigenze politico-criminali; ad applicare le regole tradizionali del diritto penale, altrimenti, si priverebbe di ogni pretesa di effettività il novum legislativo e si svuoterebbe di valenza general-preventiva positiva le sanzioni comminate nel decreto, poichè un ente potrebbe agevolmente sottrarsi alle conseguenze del proprio agire illecito ricorrendo proprio ai meccanismi della scissione, fusione e trasformazione(49).

5. Gli argomenti a sostegno della natura penale della responsabilità degli enti._ Se, da un lato, appaiono poco solide le basi su cui si fonda l'orientamento dottrinario che nega il rango penale di tale responsabilità (e propende in favore, alternativamente, della soluzione amministrativa o di quella ibrida), dall'altro, invece, appaiono talmente numerosi e concordanti gli argomenti utili a far credere che il dato nominale `responsabilità amministrativa' adottato negli enunciati formali del decreto legislativo (e suffragato dagli argomenti prima esposti) non corrisponda alla realtà del contenuto normativo, da sgomberare il campo da ogni ulteriore possibile dubbio al riguardo, e da indurre a ritenere che si tratti di una autentica responsabilità penale(50).

In particolare, la natura penale emerge già a livello normativo-astratto dai seguenti aspetti:

a) Innanzi tutto, si tratta diuna responsabilità ``per'' la commissione di un reato, di una responsabilità, vale a dire, che non scaturisce da un nuovo ed autonomo illecito amministrativo attribuibile alla persona giuridica ed espressamente tipizzato dal legislatore del 2001(51), bensì che si fonda sulla commissione, nell'interesse o a vantaggio dell'ente da parte di una persona fisica legata ad essa da un rapporto funzionale, di uno dei (ancora troppo pochi (52) reati richiamati negli artt. 24, 25, 25bis-25septies(53).
La punibilità dell'ente collettivo per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti che rivestono posizioni apicali o da soggetti sottoposti all'altrui direzione discende, cioè, non dalla commissione da parte dell'ente di uno specifico e diverso comportamento esplicitamente formalizzato nel decreto, bensì da una disposizione normativa, l'art. 5, che estende (a talune precise condizioni) la tipicità di quelle fattispecie incriminatrici monosoggettive preesistenti, richiamate negli articoli della c.d. `parte speciale' del decreto. Più precisamente, la responsabilità delle persone giuridiche non origina dalla commissione di un comportamento esplicitamente qualificato e strutturato dalla legge come illecito amministrativo(54), bensì dalla nuova ``fattispecie plurisoggettiva eventuale'' creata dalla lettura in combinato disposto di questo articolo 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 con i reati tassativamente richiamati dagli artt. 24, 25, 25bis, ter, quater, quinquies, sexies e septies, secondo il meccanismo definito dalla dottrina delle ``ipotesi normative di estensione della tipicità'' già utilizzato dal legislatore in passato nella parte generale del codice penale negli artt. 40, 2 comma, 56 e 110 c.p., rispettivamente in materia di reati omissivi impropri, delitto tentato e concorso di persone(55).
Che manchino poi degli autonomi illeciti amministrativi dell'ente lo si desume dal fatto che, anche quando il decreto fa espresso riferimento ad essi, come per esempio avviene nell'art. 34 per individuare il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, finisce per rimandare sempre a quegli illeciti previsti negli artt. 24, 25, 25bis-25 septies che sono, in realtà, in forza della loro stessa struttura costruita per relationem con norme incriminatrici del codice penale o della legislazione complementare, vere e proprie fattispecie penali(56).
Inoltre, come ha acutamente osservato Tullio Padovani, non risulta individuabile neanche sotto
il profilo naturalistico una diversa ed autonoma condotta propria dell'ente collettivo; i parametri c.d. oggettivi dell'interesse o del vantaggio dell'ente a cui è ancorata tale responsabilità non sono, difatti, sufficienti a descrivere una nuova e diversa condotta della persona giuridica, in quanto "avere interesse in o trarre vantaggio da una certa attività da altri commessa non rappresenta alcuna condotta, nè attiva, nè omissiva"; nè, tanto meno, a tal fine soccorrono gli artt. 6 e 7 del decreto, i quali si limitano a stabilire, al più, dei criteri di imputazione dell'unica condotta criminosa commessa da un soggetto ricoprente o una posizione apicale o un ruolo subalterno all'interno dell'ente(57).

Anche il comportamento da cui scaturisce la punibilità della persona giuridica è, quindi, sempre costituito, da un punto di vista empirico-criminologico, piuttosto che da una nuova condotta aggressiva di interessi giuridici preesistenti e meritevoli di tutela penale, dal medesimo fatto della persona fisica legata da un rapporto funzionale con l'ente, vale a dire, dallo stesso identico comportamento gi? previsto come reato dal codice penale (le frodi a danno dello Stato, la corruzione, la concussione, il falso nummario ecc.) o da leggi penali complementari (i reati societari e i reati finanziari)(58). Sicchè qualificare la responsabilità e le sanzioni irrogabili nei confronti degli enti come `amministrative' significherebbe tradire i principi che presiedono (o meglio, dovrebbero presiedere) alla scelta del tipo di risposta punitiva per un determinato illecito ed orientarsi, anzichè in funzione del rango del bene giuridico e dell'entità dell'offesa ad esso arrecata(59), in funzione del tipo di autore, con la conseguenza che per un medesimo reato la persona fisica ne risponderebbe penalmente e la persona giuridica sarebbe destinataria della sanzione meramente amministrativa(60).

A tal riguardo, dovrebbe sempre essere tenuto presente quanto osservava Falzea: "a decidere della qualificazione giuridica di un comportamento illecito sta la natura dell'interesse violato, non la natura del soggetto che ha commesso la violazione"(61).
Peraltro, a ragionare diversamente, e ammettendo l'idea di una responsabilità amministrativa dell'ente per uno di quei reati indicati nel decreto, ci si troverebbe dinanzi ad un vero monstrum (vel prodigium?) giuridico: un unico illecito dal carattere, però, `binomico', in quanto dalla sua realizzazione scaturirebbero due diversi tipi di responsabilità, accertati in base a differenti criteri di imputazione, ma tramite il medesimo processo penale(62).

Che si tratti poi di una vera e propria responsabilità per la commissione di un fatto costituente reato lo si evince anche da molte disposizioni normative assolutamente inequivoche sul piano linguistico.

Si pensi, a titolo puramente esemplificativo:

  • all'art. 2, 1 comma, dove è stabilito che "l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato";
  • all'art. 3, 1 comma, dove è affermato che "l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato";
  • all'art. 4, 1 comma, dove è stabilito che "nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione aireaticommessi all'estero";
  • all'art. 5, 1 comma, in cui è sancito che "l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo
  • interesse o a suo vantaggio";
  • all'art. 6, 1 comma, dove è affermato che "se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'art. 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che (...)";
  • all'art. 7, 1 comma, dove è enunciato che "nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reatoè stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza";
  • all'art. 13, 1 comma, in cui è affermato che "le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni (...)", ecc. ecc.

Ulteriore conferma del fatto che non esistano nel decreto illeciti amministrativi autonomi volti a sanzionare condotte proprie degli enti, bens? un unico illecito (quello penale preesistente) da cui discendono due diversi criteri di ascrizione della responsabilità, è data dalla disciplina dettata in materia diincompatibilità a testimoniare(63).

La lett.a) dell'art. 44 del d.lgs. n. 231/2001, nella parte in cui statuisce la impossibilità di assumere "come testimone la persona fisica imputata del reato da cui dipende l'illecito amministrativo", pur distinguendo formalmente tra i due tipi di illecito (il reato della persona fisica e l'illecito amministrativo della persona giuridica) finisce, al contrario, per suffragare la tesi opposta a favore dell'unicità.

Come è stato osservato, diversamente da quanto sembra evincersi dalla Relazione al decreto, laratiodi tale esclusione non deve essere ravvisata (unicamente) nell'intento di scongiurare un conflitto di interessi tra la persona fisica autore del reato da cui scaturisce la responsabilità della persona giuridica e quest'ultima; essa risiede, altresì, (anche) nella necessità di garantire effettivamente il diritto di difesa della persona fisica in ottemperanza al principio del nemo tenetur se detegere, dal momento che il titolo per la responsabilità dell'ente e per quella dell'autore è costituito dalmedesimo fatto illecito, e quindi l'autore del reato che deporrebbe come testimone sull'illecito dell'ente finirebbe per auto-accusarsi(64).

In conclusione, si può rilevare che, trattandosi di un unico illecito, anche la sua natura dovrà essere unitaria, e dovrà essere, per l'appunto, una natura giuridica di tipo penale (è in entrambi i casi un reato il fatto da cui origina la responsabilità di entrambi gli autori):
l'unica differenza, peraltro pienamente giustificata _ per non dire imposta _ dalla evidente differenza ontologica che passa tra persona fisica e persona giuridica, è costituita dai criteri di ascrizione di quel medesimo fatto alle due diverse species di soggetti, in quanto per la persona fisica si seguono gli ordinari criteri antropomorfici di tipo oggettivo e soggettivo dettati dal codice penale e dalla Costituzione, mentre per la persona giuridica si seguono quelli nuovi e speciali plasmati dal legislatore del 2001, di natura prettamente normativa.

b) In secondo luogo, la natura penale si desume dal fatto che il decreto delinea una responsabilità autonoma dell'enterispetto a quella dell'autore materiale del reato.
Secondo quanto si evince, infatti, a chiare lettere dall'art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2001 (precisamente, dalla parte in cui stabilisce che "la responsabilità dell'ente sussiste anche quando ) l'autore del reato non viene identificato;b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia") per l'accertamento di tale responsabilità non è necessario il ``rimbalzo'' da persona fisica a persona giuridica. Ciò significa che se si attribuisse natura amministrativa alla responsabilità degli enti, si potrebbe registrare l'assurdo di assistere ad un'archiviazione della notitia criminis per la persona fisica a causa della mancata identificazione dell'autore materiale del reato (per difetto, quindi, di uno degli elementi costitutivi della fattispecie tipica) ed allo svolgimento di un procedimento penale unicamente allo scopo di accertare la responsabilità
`amministrativa' della persona giuridica in relazione ad un reato estinto, peraltro formalmente qualificato dalla legge ``illecito amministrativo''(65).
Se, dunque, la nuova ``fattispecie plurisoggettiva eventuale'', che origina dalla lettura in combinato disposto degli artt. 5, 6 e 7 del d.lgs. n. 231 del 2001 con una delle norme incriminatrici richiamate dalla parte speciale dello stesso (artt. 24 e ss.), sopravvive a quella monosoggettiva originaria anche quando questa si estingua, la natura della responsabilità che da essa discende deve essere sicuramente penale. Anche perchè come si potrebbe diversamente giustificare lo svolgimento di un processo penale, con tutte le garanzie ed i costi che esso comporta, al solo fine dell'accertamento della sussistenza di questo illecito(66). Si dovrebbe forse ammettere che la macchina giudiziaria penale possa essere utilizzata (al di fuori delle ipotesi di connessione) anche per accertare la commissione di illeciti meramente amministrativi e per infliggere sanzioni amministrative

c) In terzo luogo, la giurisdizione in materia non è affidata, come sarebbe logico desumere dall'etichetta del testo normativo, all'Autorità amministrativa, bensì, ai sensi dell'art. 34 del decreto legislativo, è attribuita in via esclusiva (con alcune evidenti deroghe alla disciplina ordinaria) al giudice penale chiamato ad accertare il reato della persona fisica che ne costituisce l'indefettibile presupposto. Tale articolo 34 stabilisce, infatti, che "per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonch?, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, 271"(67).
Una simile opzione legislativa non sembra lasciare adito a dubbi, perchè solo una sanzione
prettamente penale può essere inflitta dal giudice penale all'esito di un processo svolto nel contraddittorio delle parti e necessita per la sua irrogazione del rispetto di tutte le peculiari garanzie previste dalla Costituzione e dal codice di rito(68). Le sanzioni amministrative sono, invece, irrogate dalla Pubblica Amministrazione attraverso una ordinanza-ingiunzione di condanna che, in caso di mancata opposizione successiva, diviene definitiva a tutti gli effetti.
Peraltro, nel contesto odierno in cui stanno progressivamente attenuandosi le differenze contenutistiche tra le sanzioni penali e quelle amministrative(69), l'aspetto dell'autorità giudiziaria competente assume un rilievo determinante per discernere la loro natura giuridica essendo (forse) l'unico tratto distintivo certo ed evidente(70.)
Non vale a confutare tale argomento l'osservazione che gi? ai sensi dell'art. 24 della l. n. 689/1981 era prevista la possibilit? di infliggere una sanzione amministrativa all'esito di un processo penale per le ipotesi di infrazioni amministrative connesse obiettivamente con un reato, e che nel d.lgs. n. 231/2001 tale possibilit? ? stata semplicemente tramutata in una regola vincolante(71). Tra le altre cose, tale articolo prevede l'attrazione nella sfera di cognizione del giudice penale delle violazioni amministrative, quandodal loro accertamento dipende l'esistenza di un reatoe non viceversa, come previsto nel d.lgs. n. 231 del 2001. Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 24 della l. n. 689/1981 ?, difatti, previsto che quando il procedimento penale si chiude per estinzione del reato e per difetto di una condizione di procedibilità, cessa di conseguenza automaticamente la competenza del giudice penale in ordine alla violazione amministrativa e rivive quella della P.A. Nella nuova disciplina in questione, invece, la competenza anche in caso di estinzione del reato (come già visto sub lettera b) di questo paragrafo) continua a restare nelle mani del giudice penale, soluzione questa non altrimenti giustificabile se non ammettendo che quella dell'ente sia una vera e propria responsabilità penale.

d) Ed ancora: il catalogo delle sanzionicontenuto nel d.lgs. n. 231 del 2001 è di impronta
accentuatamente penalistica(72). Nonostante sia stata espunta da esso in sede di attuazione della legge delega la misura sicuramente pi? repressiva (la chiusura definitiva dello stabilimento prevista in origine per i reati ambientali), le sanzioni che residuano presentano uncontenutocos?afflittivo, stigmatizzante e gravoso, da doversi considerare, sotto l'aspetto del profilo sostanziale, necessariamente penali(73).
La diversità degli strumenti punitivi costituenti tale arsenale sanzionatorio rispetto agli schemi del "diritto penale ``nucleare''"(74) è, come sempre, una diversità imposta dalla Natur der Sache, vale a dire dalla ontologica differenza intercorrente tra persone fisiche e persone giuridiche. Non potendo per lapalissiane ragioni applicarsi le pene detentive, il legislatore ha dovuto forgiare nuove pene interdittive, che come detto, per la loro particolare afflittività si avvicinano più alle sanzioni penali, che a quelle amministrative (si pensi, ad esempio, alla sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio di un'attività nei confronti una società che eserciti unicamente quell'attività).
E' opportuno osservare a tal proposito che questo argomento, isolatamente considerato, non
sarebbe sufficiente a dimostrare la natura penale della responsabilità degli enti; lo diventa solo se utilizzato ad adiuvandum come ennesima controprova a favore di tale tesi. Come è stato giustamente rilevato da parte della dottrina, gli strumenti sanzionatori impiegati dal diritto amministrativo-penale per le violazioni di particolare gravità presentano sovente un contenuto omogeneo rispetto alle sanzioni penali, annoverando misure drastiche e fortemente afflittive(75), come ad esempio avviene negli artt. 3-8 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (la legge di depenalizzazione in materia alimentare) dove sono comminate come sanzioni accessorie irrogabili per gli illeciti amministrativi ivi menzionati la sospensione o la revoca della licenza o dell'autorizzazione che consente l'esercizio dell'attività o la chiusura dello stabilimento(76).

e) A ciò si aggiunga che anche il sistema di commisurazione delle pene pecuniarie segue un modello di estrazione penalistica(77).
La disciplina contenuta negli artt. 10 e 11, infatti, nel momento in cui annovera quale criterio di commisurazione delle sanzioni pecuniarie il riferimento alle condizioni economiche e patrimoniali del `reo', seguendo la falsariga dell'art. 133 bis del codice penale, e prevede "un modello commisurativo per quote, che ricalca, solo in parte, il sistema dei ``tassi giornalieri'' collaudato con successo in molti Paesi europei (si pensi, per tutti, al Tagessatzsystemtedesco)"(78), dimostra di ispirarsi a finalità general e special preventive di tipo positivo tipiche di un impianto sanzionatoriostricto sensupenale.
Ad analoghe finalità di special-prevenzione positiva sembra poi essere ispirato l'intero e complesso meccanismo dei modelli di organizzazione, la cui adozione contribuisce sia ex
ante che ex post a rendere più difficile per l'ente la commissione di reati.

f) Ennesimo elemento che corrobora la convinzione della natura penale di tale responsabilità è rappresentato dalla statuizione della punibilità, ex art. 26 del d.lgs. n. 231/2001, della persona giuridica anche se ha commesso i delitti indicati nel decreto nelle forme del tentativo.
Un'anticipazione di tutela così evidente, quale è quella che si realizza legittimando la perseguibilità del semplice tentativo, è tradizionalmente prevista nel nostro ordinamento soltanto nell'ambito del diritto penale, per di più per i soli delitti e non anche per le contravvenzioni. In relazione agli illeciti amministrativi risulterebbe, invero, eccessivo operare una simile estensione dell'ambito di operatività delle norme che li sanzionano.

g) Ad analoga conclusione conduce il riconoscimento all'ente del diritto alla rinuncia all'amnistia previsto dal 3 comma dell'art. 8. Tale rinuncia all'effetto estintivo dell'amnistia può essere spiegata esclusivamente in relazione alla imputazione all'agente di una responsabilità di tipo penale. E' il particolare discredito sociale che essa determina, anche se amnistiata, a legittimare la (facoltà di) rinuncia ad un simile beneficio nel nostro sistema giuridico a favore del rispetto del diritto di difesa, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 175 del 1971(79).

h) Infine, la natura penale di tale responsabilità sembra desumersi dalla speciale rilevanza conferita alle ipotesi di condanna dell'ente `autore del reato'. Analogamente a quanto previsto per le sanzioni penali, anche per tali sanzioni `amministrative' è difatti prevista una forma diduratura pubblicità legale delle condanne, al fine di consentire all'autorità giudiziaria, alle pubbliche amministrazioni ed ai privati che con tali enti hanno rapporti, di conoscerne la pregressa storia giudiziaria.

La stretta similutidine esistente tra il casellario giudiziale e la anagrafe speciale per le persone giuridiche è ulteriormente confermata dal fatto che il legislatore, dando attuazione alle disposizioni contenute negli artt. 80 e ss. del d.lgs. n. 231 del 2001, nel momento in cui ha dovuto istituire ex novo una "Anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato" per le persone giuridiche, ha optato per una organica riformulazione dell'intera disciplina in materia di casellario giudiziale, accomunando la disciplina prevista per le persone fisiche e quella per le persone giuridiche nel Dpr del 14 novembre 2002 n. 313, entrato in vigore il 29 marzo 2003, ed intitolato "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti".
In tale occasione, peraltro, il legislatore è andato al di là delle indicazioni contenute nell'art. 80 del d.lgs. n. 231 del 2001, non limitandosi ad introdurre una anagrafe delle sanzioni amministrative ed istituendo anche (sempre sulla falsariga delle disposizioni penalistiche dettate in passato dal codice di rito per le persone fisiche) una "Anagrafe dei carichi pendenti degli illeciti amministrativi dipendenti da reato"(80).
L'affinità strutturale dei due collettori di raccolta dati è infine ribadita dal fatto che entrambi sono inseriti nel casellario giudiziale centrale presso il Ministero della giustizia e sono soggetti ad analoga disciplina per quanto concerne il flusso delle informazioni in entrata e in uscita.
Da quanto detto si evince che il legislatore, sebbene convinto della inesistenza di ostacoli per l'introduzione di una responsabilità penale(81), ha optato "per comprensibili ragioni di maggior cautela per un tipo di responsabilità amministrativa"(82) (anche se forse per alcuni si dovrebbe parlare di un tertium genus), che a conti fatti di amministrativo presenta solo l'etichetta(83).
Tale opzione, da qualsiasi lato venga osservata, risulta davvero incoerente e difficilmente comprensibile. Nessun argomento logico-giuridico può valere a giustificare e a motivare una
scissione così irrazionale tra la lettera della norma che parla di una responsabilità amministrativa ed il suo contenuto che descrive una responsabilità penale. Essa rappresenta solo un maldestro tentativo di celarne la vera natura giuridica dietro l'espediente grossolano di attribuirle un diversonomen iuris, con l'effetto non indifferente di evitarne la valutazione di compatibilità con il contesto assiologico di riferimento di rango costituzionale, aggirando l'ostacolo rappresentato dall'art. 27, 1 e 3 co. Cost.(84).
L'incoerenza appare ancor più palese, ove si tenga conto che la qualificazione giuridico-formale di un illecito come penale o come amministrativo è (e deve essere) solo un posterius rispetto alla scelta precedentemente effettuata dal legislatore, avvalendosi dei tradizionali strumenti di politica criminale, dell'una o dell'altra forma di responsabilità(86).
Come rileva de Vero "la fisionomia politico-legislativa e giuridico-sostanziale dell'illecito amministrativo è ben sufficientemente e correttamente delineata, perchè possa tollerarsi un uso improprio della relativa qualificazione, dettato dalla sola motivazione di non urtare la pruderie di quanti si dichiarano in via di principio contrari ad ammettere un'autentica responsabilità penale delle persone giuridiche"(86).
Eppoi, anche al di l? di argomenti strettamente letterali, il testo normativo e gli istituti giuridici in esso disciplinati presentano troppe interrelazioni con il sistema penale nel suo complesso (sia sostanziale, sia processuale) per poter essere relegati con una petizione di principio al di fuori del suo recinto: ad essere chiamati al lavoro su questo istituto giuridico sia dal punto di vista teorico che da quello pratico sono stati, pur sempre, gli studiosi e gli operatori di questa branca del sapere giuridico attraverso categorie e principi tipicamente penali.
Breve: sebbene il sottosistema penale e processuale penale in questione sia affiorato nel nostro ordinamento giuridico alla stregua di una ``insula in flumine nata'' ed il legislatore abbia cercato per ragioni compromissorie di dissimularne la dirompente portata innovativa, non sembra possibile _ per i motivi in precedenza esposti _ continuare ad asserirne, esercitando una actio finium regondurum in negativo, l'estraneità al diritto penale, al fine di preservare i principi giuridici fondamentali e le categorie dommatiche tradizionali di questo settore del sapere giuridico.
Forse, per evitare tutto ciò, sarebbe stato più opportuno per il legislatore nostrano seguire la strada indicata da Claus Roxin(87), e, anzichè introdurre una responsabilità delle persone giuridiche solo nominalmente amministrativa ma sostanzialmente penale (pensando di evitare così il profilarsi nel sistema penale di eventuali antinomie di principi), prevedere in maniera esplicita una vera e propria responsabilità penale degli enti(88), fondata, però, su principi costituzionali di riferimento e su categorie dommatiche nuovi e diversi rispetto a quelli tradizionali, storicamente modellati sull'illecito penale della persona umana(89).

6. L'implicita presa di posizione a favore della soluzione `penalisitica' in una recente pronuncia della Suprema Corte. _ Una volta chiarito che la responsabilità delle persone giuridiche introdotta dal d.lgs. n. 231/2001 si presenta sul piano normativo-astratto come una responsabilità sostanzialmente penale, sebbene celata dietro una etichetta falsificata in maniera grossolana, si può ora passare a valutare come essa sia stata considerata dalla giurisprudenza nelle sue recenti pronunce, allo scopo di vedere se il banco di prova della prassi sia in grado di confermare o meno le impressioni affiorate dall'esame dei dati legislativi.

Anche questa volta l'indagine sembra trovare immediatamente una ben precisa risposta.
Già in una delle prime decisioni di merito è possibile rinvenire una implicita presa di posizione a favore della natura penale della responsabilità, dal momento che in quell'occasione il Tribunale di Pordenone per procedere alla commisurazione della sanzione da applicare all'ente all'esito del patteggiamento aveva espressamente richiamato principi e regole di marca penalistica, affermando che "la sanzione infine applicata appare rispettosa del principio sancito dall'art 27 Cost., proporzionata ai canoni di cui all'art 133 c.p. e confacente alla gravità del fatto per cui si è proceduto, adeguata ad assicurare la funzione rieducatrice del precedente"(90).
Ulteriore e significative prove dell'incidenza determinante che la risoluzione del menzionato dilemma esplica sulla dimensione applicativa del diritto e della propensione della giurisprudenza verso la tesi penalistica, le si possono evincere da una lettura `tra le righe' di una delle prime pronunce della Suprema Corte aventi ad oggetto il d.lgs. n. 231 del 2001(91).
In realtà,prima facie, tale sentenza della VI Sezione della Corte di Cassazione dell'aprile del 2004 sembra segnalarsi prevalentemente per (il tutt'altro che secondario aspetto di) aver fatto chiarezza sul novero dei soggetti (potenziali) destinatari del sofisticato sotto-sistema sanzionatorio delineato dal d.lgs. n. 231/2001, piuttosto che sul genus della nuova responsabilità.
Il giudice di legittimità, difatti, nel respingere il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma avverso l'ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari in sede di diniego di applicazione nei confronti di una ditta individuale della misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività per la durata di un anno, ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. n. 231/200l, non ha assunto una esplicita posizione circa la natura giuridica, bensì si è limitato a demarcare l'ambito soggettivo di applicazione della recente normativa, ribadendo che, secondo una corretta interpretazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 231/2001, non può essere esteso fino a ricomprendere anche le imprese individuali(92).
Anzi, da un inciso della sentenza sembra emergere un assoluto disinteresse da parte della Corte nei confronti di qualsivoglia quesito relativo alla natura giuridica: il passaggio in cui è affermato che "quale che sia la natura giuridica di questa responsabilità da reato è certo che la normativa (...) è riferita unicamente agli enti", appare palesemente sintomatico della intenzione di non voler approfondire tale aspetto, reputandolo irrilevante per la soluzione del problema _ritenuto ben più pressante e concreto_ della delimitazione dell'ambito soggettivo di operatività del decreto legislativo(93).
Sennonchè, la verifica del percorso argomentativo seguito da questa sentenza rivela l'esatto contrario, lasciando emergere che il profilo più interessante della stessa non è raffigurato dall'ineccepibile conclusione accolta in punto di diritto sulla questione dei destinatari del decreto, quanto, piuttosto, dalle indirette affermazioni contenute in relazione al problema della natura giuridica. Il suo tratto saliente, non è, cioè, rappresentato dalla condivisibile interpretazione restrittiva dell'art. 1 del d.lgs. 231/2001, bensì dalla implicita dimostrazione che il tema della natura giuridica della responsabilità degli enti è tutt'altro che un mero orpello teorico privo di risvolti pratico-applicativi. L'esclusione delle ditte individuali dal novero dei potenziali destinatari della disciplina del d.lgs. n. 231/2001, seguendo il corretto (quanto, forse, inconscio) ragionamento della Corte, presuppone, invero, come prius logico la previa attribuzione alla responsabilità degli enti di una natura giuridica autenticamente penale.
I giudici di legittimità, infatti, al fine di censurare le obiezioni proposte dal P.m. e di rigettare la correlata richiesta di estendere la operatività dell'art. 1 del decreto anche nei confronti delle ditte individuali (passaggio questo obbligato per rendere possibile nel caso di specie l'applicazione all'ente imputato di una misura cautelare ai sensi dell'art. 25, d.lgs. n. 231 del 2001), hanno svolto una serie di osservazioni: l'unica a risultare decisiva, però, è stata proprio quella legata al riconoscimento della natura penale della responsabilità.
L'interpretazione restrittiva dell'art. 1, comma l, del decreto legislativo n. 231 del 2001, in forza della quale si ritiene che esso si riferisca con il termine enti unicamente "all'intero spettro dei soggetti di diritto metaindividuali", non risulterebbe inattaccabile se fosse fondata esclusivamente sul primo argomento utilizzato dalla Corte, quello dell'interpretazione storica dellavoluntas legis. Non sarebbe sufficiente ad impedire l'applicazione analogica delle previsioni del decreto alle imprese individuali, asserire che la relazione governativa di accompagnamento allo stesso aveva esplicitamente puntualizzato che la nuova disciplina concerneva esclusivamente gli enti collettivi(94).
Il canone ermeneutico dell'interpretazione storica può essere utilizzato dall'interprete "non in via esclusiva ma concorrente"(95) ai fini della comprensione del significato di un testo normativo(96). Peraltro, la volontà della legge non è quella espressa dal legislatore storico con le sue contingenti intenzioni, bensì quella che risulta dal suo inserimento all'interno dell'ordinamento giuridico; come rileva con una suggestiva metafora Pulitanò "ciascuna norma, ciascuna legge è una tessera di un mosaico complesso, nel quale il senso di ciascuna tessera è collegato a quella di altre: concorre alla composizione dell'insieme, ed è definito (anche) dal disegno d'insieme, cioè del significato che ogni frammento normativo viene ad assumere in relazione all'insieme"(97).
Nè, tanto meno, appare decisivo il rilievo che le "situazioni poste a raffronto dal ricorrente (`imprese individuali' ed enti collettivi) presentano spiccati caratteri di diversità, sicchè non è neppure ipotizzabile una disparità di trattamento con violazione dell'art. 3 Cost.", poichè sono innegabili le similitudini dedotte dal ricorrente tra le ditte individualie le società a responsabilità limitata unipersonali.
L'argomento cardine su cui si impernia la decisione di escludere gli imprenditori individuali dall'applicabilità della normativa sulla responsabilità degli enti è costituito dal richiamo operato in chiusura dalla Corte al divieto di analogia in malam partem sancito dall'art. 25, 2 comma della Costituzione(98).
Più precisamente, il riferimento esplicito al fondamento costituzionale di tale principio (l'art. 25, 2 comma Cost.) è risultato determinante al fine di accentuare il carattere eversivo dell'operazione ermeneutica prospettata dal ricorrente e di tacciare come illegittima costituzionalmente la applicazione analogica dell'art. 1 del d.lgs. n. 231 del 2001 alle ditte individuali.
La Suprema Corte, però, per aver potuto postulare la giustiziabilità costituzionale del divieto di analogia di cui all'art. 25, 2 comma Cost. in relazione a questa disposizione normativa, deve avere necessariamente accolto (seppure solo implicitamente) l'idea che la responsabilità ivi regolata non integri nè una responsabilità amministrativa, nè un ibrido tertium genus, bensì una autentica responsabilità penale.
Come si è già rilevato in precedenza, presupposto indefettibile per considerare invocabile nei confronti degli enti ognuno dei sottoprincipi in cui si articola il principio di legalità enunciato dall'art. 25, 2 comma Cost., nonchè gli altri principi costituzionali di marca penalistica, è la convinzione che la disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001 individui degli illeciti e delle sanzioni di natura schiettamente penale.

7. Conclusioni. _ A questo punto è possibile provare a tirare definitivamente le fila del discorso e formulare delle semplici e sintetiche considerazioni finali.
In primo luogo, da quanto sinora detto, sembra emergere un dato inequivocabile:
non si può continuare a sottovalutare la questione della natura giuridica della responsabilità delle persone giuridiche; le conseguenze pratiche che dalla sua soluzione discendono sono di non poco momento, basti ricordare per tutte quella della giustiziabilità in materia dei principi costituzionali validi per il solo ambito penale.
In secondo luogo, sembra evincersi l'impressione che non sia possibile ricercare la risposta a tale quesito attenendosi esclusivamente al dato lessicale dell'intestazione della legge, dei suoi capi e delle sue sezioni, o avvalendosi del criterio tradizionale del nomen iuris attribuito alla sanzione: la lettura congiunta della disciplina normativa e delle prime decisioni giurisprudenziali alimenta, invero, più di qualche fondata perplessità sulla attendibilità dell'etichetta amministrativa utilizzata dal legislatore del 2001.
Se, allora, la realtà odierna è quella appena descritta attraverso i due piani di indagine, astratto-normativo e dinamico-interpretativo, se, cioè, la materia in questione presenta così tanti punti di contatto con il diritto penale, sia sotto il profilo della disciplina legislativa, sia sotto quello della applicazione giurisprudenziale, ci sembra che la dottrina non possa più esimersi dal compito di verificarne la compatibilità con i principi e le categorie dommatiche del diritto penale classico, a meno di non voler accettare con disinteressata indifferenza l'idea che tutto è cambiato senza che nulla debba essere cambiato.

Note

(1) Per approfondimenti sulla disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 231 del 2001
si rinvia,ex plurimis, a C.de Maglie,Principi generali e criteri di attribuzione della
responsabilit?, inDir. pen. proc., 2001, p. 1348 e ss.; G.de Vero,Struttura e natura giuridica
dell'illecito di ente collettivo. Luci ed ombre nell'attuazione della delega legislativa, in
questaRivista, 2001, p. 1126 e ss.; S. Gennai-A. Traversi,La responsabilit? degli enti,
Milano, 2001,passim; E. Musco,Le imprese a scuola di responsabilit? tra pene pecuniarie e
interdizioni, inDir. giust., 2001, p. 8; C.E. Paliero,Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in
poi, societas delinquere (et puniri) potest, inCorr. giur., 2001, p. 845 e ss.; C.
Piergallini,Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, inDir. pen. proc., 2001,
1353 e ss.; P. Sfameni,La societ? non potr? pi? ``mascherare'' i reati commessi nel suo
interesse, inDir. giust., 2001, p. 9; A. Alessandri,Riflessioni penalistiche sulla nuova
disciplina, in AA.VV.,La responsabilit? amministrativa degli enti. D. lgs. 8 giugno 2001, n.
231, Milano, 2002, p. 25 e ss.; AA.VV.,Responsabilit? degli enti per gli illeciti
amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, Padova, 2002,passim; C.de
Maglie,L'etica e il mercato. La responsabilit? penale delle societ?, Milano, 2002, p. 237 e
ss.; A. Gargani,Imputazione del reato agli enti collettivi e responsabilit? penale
dell'intraneo: due piani irrelati?, inDir. pen. proc., 2002, p. 1061 e ss.; M. Guernelli,La
responsabilit? delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il d.
legisl. 8 giugno 2001, n. 231, (Prima parte e seconda parte), inStudium iuris, 2002, p. 281
e ss. e 425 e ss.; V. Maiello,La natura (formalmente amministrativa, ma sostanzialmente
penale) della responsabilit? degli enti nel d. lgs. n. 231/2001: una "truffa delle etichette"
davvero innocua?, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2002, p. 879 e ss.; A. Manna,La c.d.
responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d'insieme, ivi,
2002, p. 502 e ss.; M.A. Pasculli,Questioni insolute ed eccessi di delega nel d. lgs. n.
231/01, inRiv. pen., 2002, p. 739 e ss.; P. Patrono,Verso la soggettivit? penale di societ?
ed enti, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2002, p. 183 e ss.; M. Pelissero-G. Fidelbo,La ``nuova''
responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche, inLeg. pen., 2002, p. 575 e ss.; D.
Pulitan?,La responsabilit? ``da reato'' degli enti: i criteri di imputazione, in questaRivista,
2002, p. 415 e ss.; nonch? v. dello stesso Autore, voceResponsabilit? amministrativa
dipendente da reato delle persone giuridiche, inEnc. dir., Agg., Vol. VI, Milano, 2002, p.
953 e ss.; M. Romano,La responsabilit? amministrativa degli enti, societ? o associazioni:
profili generali, inRiv. soc., 2002, p. 395 e ss.; A.Carmona,La responsabilit? degli enti:
alcune note sui reati presupposto, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2003, p. 995 e ss.; M. Ronco,
voceResponsabilit? delle persone giuridiche. I) Diritto penale, inEnc. giur., vol. XXVII, Agg.
XI, Roma 2003; F. Giunta,Attivit? bancaria e responsabilit?ex criminedegli enti collettivi,
ivi, 2004, p. 1 e ss.; G. De Simone,La responsabilit? da reato degli enti nel sistema
sanzionatorio italiano: alcuni aspetti problematici, ivi, 2004, p. 657 e ss.; AA.VV.,La
responsabilit? degli enti: un nuovo modello di giustizia ``punitiva'', a cura di G.A. De
Francesco, Torino, 2004; S. Vinciguerra-M. Ceresa Gastaldo-A. Rossi,La responsabilit?
dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, Torino, 2004; AA.VV.,Reati e
Juris data - Consultazione banche dati online http://www.iuritalia.it/NoteDottrina/ND_showdoc.asp?rid=91&ftc...
15 di 27 22-10-2007 22:52
responsabilit? degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a cura di G. Lattanzi,
Milano, 2005; A. Cosseddu,Responsabilit? da reato degli enti collettivi: criteri di
imputazione e tipologia delle sanzioni, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2005, p. 1 e ss.; L.
Fornari,La confisca del profitto nei confronti dell'ente responsabile di corruzione: profili
problematici, ivi, 2005, p. 65 e ss.; e, da ultimo, M.A. Pasculli,La responsabilit? `da reato'
degli enti collettivi nell'ordinamento italiano, Bari, 2005; E. Scardina,Il problema del
gruppo di imprese. Societas delinquere non potest, Milano, 2006, spec. p. 81 e ss
(2) Il legislatore nel corso di questo ancor breve arco di tempo ha, infatti, integrato la
parte speciale del decreto, originariamente costituita dalle sole fattispecie indicate
tassativamente negli artt. 24 (varie ipotesi di reati di frode) e 25 (reati di concussione e
corruzione), con ben sette diversi interventi normativi. Per la precisione la responsabilit?
degli enti ? stata estesa: dall'art. 25bis, introdotto con la l. 23 novembre 2001, n. 409, che
ha convertito in legge il d.l. 25 settembre 2001, n. 350, art. 6, ai reati di falsit? in monete,
in carte di pubblico credito e in valori da bollo; dall'art. 25ter, introdotto con il d. lgs. 12
aprile 2002, n. 61, alla maggior parte dei nuovi reati societari; dall'art. 25quater, introdotto
con la l. 27 gennaio 2003, n. 7, art. 3, ai delitti aventi la finalit? di terrorismo o di
eversione dell'ordine democratico preveduti nel codice penale e nelle leggi complementari,
nonch? a quelli posti in essere in violazione di quanto previsto dall'art. 2 della Convenzione
internazionale per la repressione del finanziamento al terrorismo stipulata a New York il 19
dicembre 1999; dall'art. 25quinquies, introdotto con la l. 11 agosto 2003, n. 228, art. 5, ai
delitti di schiavit? e di tratta di persone, nonch? di sfruttamento sessuale minorile e di
pedopornografia; dall'art. 25sexies, introdotto con la l. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, 3?
comma, (la c.d. legge comunitaria del 2004), ai reati (ed agli illeciti amministrativi) di
abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato; dall'art. 25septies,
introdotto con la l. 9 gennaio 2006, n. 7, art. 8, ai nuovi delitti di pratiche di mutilazione
degli organi genitali femminili di cui all'art. 583bisc.p. Da ultimo, nuove ipotesi d?
responsabilit? da reato degli enti sono state introdotte dalla `caotica' l. 16 marzo 2006, n.
146, di ratifica delle Convenzioni e dei Portocolli delle Nazioni Unite contro il crimine
organizzato. Ai sensi dell'art. 10 di questo testo di legge ? stato disposto che "1. In
relazione alla responsabilit? amministrativa degli enti per i reati previsti dall'articolo 3
[reati transnazionali], si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti.

2. Nel caso di commissione dei delitti previsti dagli articoli 416 e 416-bisdel codice penale,
dall'articolo 291-quaterdel testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23
gennaio 1973, n. 43, e dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria
da quattrocento a mille quote.

3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2, si applicano all'ente le
sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno
2001, n. 231, per una durata non inferiore ad un anno.

4. Se l'ente o una sua unit? organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o
prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 2, si
applica all'ente la sanzione amministrativa dell'interdizione definitiva dall'esercizio
dell'attivit? ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.
231.

5. Nel caso di reati concernenti il riciclaggio, per i delitti di cui agli articoli 648-bise
648-terdel codice penale, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria da
duecento a ottocento quote.

6. Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 5 del presente articolo si applicano
all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due anni.

7. Nel caso di reati concernenti il traffico di migranti, per i delitti di cui all'articolo 12,
commi 3, 3-bis, 3-tere 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria da
duecento a mille quote.

8. Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 7 del presente articolo si applicano
all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due anni.

9. Nel caso di reati concernenti intralcio alla giustizia, per i delitti di cui agli articoli
377-bise 378 del codice penale, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria
fino a cinquecento quote.

10. Agli illeciti amministrativi previsti dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui
al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231" (3) Tra le prime pronunce, la maggior parte delle quali aventi ad oggetto l'applicazione agli enti di misure cautelari, si segnalano, in ordine cronologico, Gup Trib. Pordenone, sent. 4 novembre 2002, inwww.reatisocietari.it; Gup Trib. Roma, 7 marzo 2003,ivi; Gip Trib. Salerno, ord. 28 marzo 2003, inCass. pen., 2004, con nota di G. Fidelbo,Misure cautelari nei confronti delle societ?: primi problemi applicativi in materia di tipologie delle "sanzioni" e limiti all'operativit? del commissario giudiziale, p. 276 e ss. ed inForo it., 2004, II, c. 449 e ss.; Gip Trib. Roma, ord. 4 aprile 2003, inCass. pen., 2003, con nota di P. Di Geronimo,Responsabilit? da reato degli enti: l'adozione di modelli organizzativi post factum ed il commissariamento giudiziale nell'ambito delle dinamiche cautelari, p. 2083 e ss., e inGuida dir., 2003, n. 31, con nota di G. Amato,Con l'eliminazione delle situazioni di rischio le misure cautelari diventano superflue, p. 66 e ss.; Gip Trib. Milano, ord. 9 marzo 2004, inForo it., 2004, II, c. 435 e s., e in questa Rivista, 2004, con nota di C.F. Grosso,Sulla
costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi
del d.lgs. n. 231 del 2001 davanti al giudice penale, p. 1333 e ss.; Gip Trib. Milano, ord. 27
aprile 2004, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2004, con nota di G. Ruggiero,Brevi note sulla
validit? della legge punitiva amministrativa nello spazio e sulla efficacia dei modelli di
organizzazione nella responsabilit? degli enti derivante da reato, p. 989 e ss.; Gup Trib.
Torino, 11 giugno 2004, inDir. giust., 2004, n. 30, p. 28, nonch? inRiv. trim. dir. pen. eco.,
2004, con nota di A. Nisco, p. 294 e ss.; Gip Trib. Milano, ord. 9 novembre 2004,
inwww.reatisocietari.it; Gup Trib. Milano, ord. 25 gennaio 2005,ivi

(4) Utilizzava tale suggestiva immagine, G. Radbruch,Rechtsphilosophie, 4 ed., Stuttgart, 1950, p. 211, allo scopo di sottolineare le differenze intercorrenti tra una interpretazione delle norme meramente filologica e una interpretazione di stampo giuridico

(5) Ben evidenzia il carattere innovativo del d.lgs. n. 231/2001, A. Alessandri,Riflessioni
penalistiche sulla nuova disciplina, cit., p. 25, ad avviso del quale con la disciplina in parola
"si apporta un mutamento alparadigma sanzionatorio; meglio, si introduce nel sistema un
nuovoparadigma sanzionatorio, segnando una svolta radicale (...) con una tradizione,
culturale ancor prima che dottrinale, che considerava la persona fisica quale unico destinatario della sanzione punitiva"; dello stesso ordine di idee sono,
G.Forti,Sulla definizione della colpa nel progetto di riforma del codice penale, inJus, 2001,
p. 185, che osserva come l'introduzione della responsabilit? degli enti rappresenti una
novit? rivoluzionaria che "di fatto ha assestato lo scossone pi? poderoso all'immobilismo in
cui si ? cullato l'ordinamento giuridico-penale italiano dal Codice Rocco in avanti"; F.
Giunta,La punizione degli enti collettivi: una novit? attesa, in AA.VV.,La responsabilit? degli
enti: un nuovo modello di giustizia ``punitiva'', cit., p. 35; nonch?, A. Manna,La c.d.
responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche, cit., p. 502, il quale afferma che con
il decreto legislativo n. 231/2001 si ? realizzata una "rivoluzione copernicana nell'ambito
proprio degli stilemi del diritto penale o, se si preferisce, del diritto punitivo o del diritto
penale-amministrativo"

(6) ? noto che sino a pochi anni fa il tema della responsabilit? penale delle persone
giuridiche era unanimemente trattato dalla dottrina penalistica con la sinteticit? e la celerit?
che meritano gli argomenti assolutamente aproblematici. Alla domanda meramente
ipotetica e formale se potesse essere sanzionato penalmente un ente collettivo, si
rispondeva recitando con toni apodittici il brocardo latino `societas delinquere non potest'.
La struttura espressamenteantropomorficaedantropocentricadelcodice penaledel 1930,
unitamente, soprattutto, aiprincipidellapersonalit? della responsabilit? penalee dellafinalit?
rieducativa della pena, enunciati dall'art. 27 della Costituzione ai commi 1? e 3?, erano
ritenuti, infatti, degli ostacoli assolutamente insormontabili contro la introduzione nel
sistema penale nazionale di una responsabilit? penale delle persone giuridiche. Ostacoli
contro i quali si and? a scontrare anche il sempre compianto Franco Bricola, quando negli
anni Settanta cerc? _ attraverso la prima indagine pi? approfondita del problema _ di
dimostrare i `costi' sociali e giuridici troppo onerosi cui esponeva il principio ferreosocietas
delinquere non potest. Le uniche forme di responsabilit? delle persone giuridiche previste
dal nostro ordinamento erano quelle assolutamente inappaganti dell'art. 197 c.p. e dell'art.
6 della legge 689/1981, che stabilivano, rispettivamente,a) unaresponsabilit? civile
sussidiariadell'ente in caso di insolvibilit? dell'autore di un reato commesso nell'interesse
della persona giuridica condannato al pagamento di una multa o di una ammenda,b)
unaresponsabilit? civile solidaledell'ente in caso di insolvibilit? dell'autore di un illecito
amministrativo commesso nell'interesse della persona giuridica condannato al pagamento di
una sanzione amministrativa di tipo pecuniario.
Con il passare del tempo, essendosi delineata nel nostro Paese, come nel resto del mondo,
una nuova e diversa realt? sociale ed economica connotata dal primato dell'ente collettivo
in luogo dell'imprenditore individuale quale soggetto protagonista di rapporti economici e
giuridici, tale sistema `debole' di corresponsabilit? degli enti ? sembrato sempre pi?
inadeguato, al punto tale che con rassegnata constatazione lo si poteva descrivere
ricorrendo ad un'altra formula latina ben pi? veritiera:societas saepe delinquit, sed
numquam puniri potest.
Ciononostante continuava a non residuare alcuno spiraglio nell'ordinamento giuridico per
poter consentire l'inserimento di una forma di responsabilit? diretta degli enti per i reati
commessi nel loro interesse e a loro vantaggio da parte dei propri amministratori o anche
dei propri dipendenti.
Una svolta significativa ? stata rappresentata dalla sottoscrizione, passata quasi
inosservata, da parte dell'Italia di due convenzioni internazionali volte ad imporre agli Stati
aderenti l'adozione di misure repressive nei confronti delle persone giuridiche per le ipotesi
di corruzione di pubblici ufficiali e per alcuni reati contro gli interessi economici comunitari:
la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari
delle Comunit? europee o degli Stati membri dell'Unione europea (c.d. Convenzione P.I.F.)
stipulata a Bruxelles il 26 maggio 1997 e la Convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione
dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali stipulata a Parigi il
17 dicembre 1997. ? stato in forza di questi accordi sovranazionali che nel giro di un breve
lasso di tempo, il nostro legislatore ? stato praticamente `costretto' a dare mandato al
Governo (con l'art. 11 della legge n. 300 del 2000) di emanare il decreto legislativo
disciplinante la responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche, e che quest'ultimo,
senza alcun previo ponderato dibattito dottrinale, ha emanato l'8 giugno 2001, all'esito di
uniterlegislativo travagliato, il decreto legislativo in parola recante la "Disciplina della
responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche, delle societ? e delle associazioni
anche prive di personalit? giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000,
n. 300". Denuncia l'origine poco ragionata della normativa in questione a causa della fretta
imposta dalla necessit? di ottemperare a obblighi assunti in sede sopranazionale, G.
Marra,Note a margine dell'art. 6 DDL N. 3915-S contenente una ``Delega al Governo per
la disciplina della responsabilit? delle persone giuridiche'', inInd. pen., 2000, p. 828, il
quale osserva che l'ordinamento italiano ha preso la decisione di superare il dogmasocietas
delinquere non potestfacendosi scudo dell'obbligo di recepire importanti convenzioni
internazionali. In argomento si vedano G. De Simeone,La responsabilit? penale
dell'imprenditore e degli enti collettivi nelCorpus Juris, in L. Picotti (a cura di),Possibilit? e
limiti di un diritto penale dell'Unione Europea, Milano, 1999, p. 188; F.C.
Palazzo,Introduzione ai principi del diritto penale, Torino, 1999, p. 109; C.de Maglie,L'etica
e il mercato, cit., p. 237 s.; M. Romano,La responsabilit? amministrativa degli enti, societ?
o associazioni: profili generali, cit., p. 395, il quale sottolinea che "? in questo
comprensibile affermarsi di un modello sanzionatorio europeo predisposto a colpire
direttamente le imprese, che matura, mi verrebbe di dire ``monta'', soprattutto negli
ultimi anni, la domanda sempre pi? frequente dell'introduzione di una responsabilit? penale
degli enti anche negli ordinamenti nazionali"

(7) Sul concetto di mito giuridico e sulla correlativa necessit? di `demitizzazione del
diritto', con particolare riferimento al diritto privato, si rinvia al pregevole lavoro di P.
Grossi,Mitologie giuridiche della modernit?, Milano, 2001,passim. Per un originale tentativo
di trasposizione nell'ambito del diritto penale delle citate esigenze di demitizzazione
culturale al fine di consentire anche a questo settore dell'ordinamento giuridico di attagliarsi
in maniera pi? aderente alle diverse realt? socio-criminologiche delineate dalla civilt?
contemporanea, si veda il recente lavoro di M. Donini,Il volto attuale dell'illecito penale. La
democrazia penale tra differenziazione e sussidiariet?, Milano, 2004,passim. Con specifico
riguardo al problema della responsabilit? degli enti sia consentito rinviare al nostro,Mito
giuridico ed evoluzione della realt?: il crollo del principiosocietas delinquere non potest,
inRiv. trim. dir. pen. eco., 2003, p. 941 e ss

(8) Per approfondimenti sul tormentato problema della opportunit?/necessit? di una
responsabilit? penale delle persone giuridiche il rinvio ? obbligato ai fondamentali lavori di
F. Bricola,Il costo del principio``societas delinquere non potest''nell'attuale dimensione del
fenomeno societario, in questaRivista, 1970, p. 951 e ss., o inFranco Bricola. Scritti di
diritto penale. Parte speciale e legislazione complementare. Diritto penale dell'economia, a
cura di S. Canestrari-A. Melchionda, Vol. II, Tomo II, Milano, 1997, p. 2977 e ss.; Id.,Il
costo del principio societas delinquere non potest nell'attuale dimensione del fenomeno
societario, inIl diritto penale delle societ? commerciali. Atti del convegno, Milano, 1973, p.
43 e ss.; Id.,Luci ed ombre nella prospettiva di una responsabilit? penale degli enti (nei
paesi C.E.E.), inGiur. comm., 1979, p. 647 e ss., o inFranco Bricola. Scritti di diritto
penale. Parte speciale e legislazione complementare. Diritto penale dell'economia, cit., p.
3074 e ss.; Id.,Il problema della responsabilit? penale delle societ? commerciali nel diritto
italiano, inLa responsabilit? delle persone giuridiche, Atti del Convegno, Messina, 1979, p.
235-263, o inFranco Bricola. Scritti di diritto penale, cit., p. 3096 e ss. Sulla questione si
vedano anche C. Fiore,Irriducibilit? e limiti del principio``societas delinquere non potest'',
in C. Fiore-E. Baffi-B. Assumma,Gli illeciti penali degli amministratori e sindaci delle
societ? di capitali. Profili sistematici ed orientamenti della giurisprudenza, Milano, 1992, p.
15 e ss.; J. De Faria Costa,Contributo per una legittimazione della responsabilit? penale
delle persone giuridiche, in questaRivista, 1995, p. 1245 e ss.; G. Flora,L'attualit? del
principio``societas delinquere non potest'', inRiv. trim. dir. pen. eco., 1995, p. 18; M.
Romano, Societas delinquere non potest.In ricordo di Franco Bricola, in questaRivista,
1995, p. 1035 e ss.; C.E. Paliero,Problemi e prospettive della responsabilit? penale
dell'ente nell'ordinamento italiano, inRiv. trim. dir. pen. eco., 1996, p. 1185;
K.Tiedemann,La responsabilit? penale delle persone giuridiche nel diritto comparato, in
questaRivista, 1996, p. 628 e ss.; A.M. Castellana,Diritto penale dell'Unione Europea e
principio ``societas delinquere non potest'', inRiv. trim. dir. pen. eco., 1996, p. 749 e ss.;
L. Fornari,Criminalit? da profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel
diritto penale `moderno', Padova, 1997, p. 247 e ss.; E. Dolcini,Principi costituzionali e
diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in questaRivista, 1999, p. 21; A. Manna,La
responsabilit? delle persone giuridiche: il problema delle sanzioni, ivi, 1999, p. 919 e ss.;
F.C. Palazzo,Introduzione ai principi del diritto penale, cit., p. 108; F. Foglia Manzillo,Le
societ? commerciali verso un nuovo sistema sanzionatorio, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2000,
p. 986 e ss.; G. De Simone,I profili sostanziali della responsabilit? c.d. amministrativa
degli enti: la parte generale e la parte speciale del d. lgs. 8 giugno 2001, inResponsabilit?
degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 59 e ss.; C. Piergallini,
Societas delinquere et puniri non potest.Riflessioni sul recente (contrastato) superamento di
un dogma, inQuest. giust., 2002, p. 1087 e ss.; Id., Societas delinquere et puniri potest:la
fine tardiva di un dogma, inRiv. trim. dir. pen. eco., 2002, p. 571 e ss. Per una esauriente
ed aggiornata trattazione del principiosocietas delinquere non poteste della sua crisi, con
particolare attenzione anche all'aspetto comparatistico, si rinvia al gi? citato lavoro di C.de
Maglie,L'etica e il mercato. La responsabilit? penale delle societ?. Infine, in argomento sia
consentito rinviare anche al nostro,`Crisi' del diritto penale societario e prospettive di
riforma. In particolare: il problema della responsabilit? delle persone giuridiche, inIl nuovo
sistema sanzionatorio del diritto penale dell'economia tra depenalizzazione e problemi di
effettivit?, a cura di A. De Vita, Napoli, 2002, p. 160 e ss

(9) Per una accurata sintesi degli argomentiproecontrauna lettura deantropomorfizzante
dell'art. 27 Cost. si rinvia a C. Piergallini,L'apparato sanzionatorio, in AA.VV.,Reati e
responsabilit? degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 173 e ss.
Sostengono il permanere di una palese incompatibilit? di una vera e propria responsabilit?
penale degli enti con i principi di cui ai commi 1? e 3? dell'art. 27 Cost., M. Romano,La
responsabilit? amministrativa degli enti, societ? o associazioni: profili generali, cit., p. 398;
V. Maiello,La natura (formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale) della
responsabilit? degli enti, cit., p. 887 e ss. In argomento sia consentito rinviare anche al
nostroMito giuridico ed evoluzione della realt?: il crollo delprincipio societas delinquere non
potest, cit., p. 979 e ss

(10) A favore della natura ibrida della responsabilit? si esprimono G.de Vero,Struttura e
natura giuridica dell'illecito di ente collettivo, cit., p. 1164; O. Di Giovine,Lineamenti
sostanziali del nuovo illecito punitivo, in AA.VV.,Reati e responsabilit? degli enti. Guida al
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 15; G. Flora,Le sanzioni punitive nei confronti delle
persone giuridiche: un esempio di ``metamorfosi'' della sanzione penale?, inDir. pen.
proc., 2003, p. 1398 e ss.; V. Rapelli,La responsabilit? degli enti nel d.lgs. 231 del 2001 tra
modello penale e modello amministrativo, inResp. civ. e prev., 2003, p. 1197 e ss. nonch?,
da ultimo, e con originali motivazioni, M.A. Pasculli,La responsabilit? ?da reato' degli enti
collettivi nell'ordinamento italiano, cit., p. 128 e ss., spec. p. 156 e ss. In maniera
implicita, mostra di accogliere tale orientamento anche D. Pulitan?,La responsabilit? "da
reato", cit., p. 419

(11) Per la distinzione tra principi dimostrativi e principi argomentativi o di indirizzo
politico, cfr. G. Vassalli,i principi generali di diritto nell'esperienza penalistica, in
questaRivista, 1991, p. 699 e ss

(12) Come esempio emblematico nel d.lgs. n. 231 del 2001 di norma eventualmente
censurabile per contrasto con il principio di legalit?,sub specieprincipio di precisione, di cui
all'art. 25, 2? comma della Costituzione, si pu? pensare all'art. 25quater, che prevede la
responsabilit? degli enti per i reati aventi finalit? di terrorismo o di eversione commessi nel
loro interesse o vantaggio. Anche ad una prima lettura il tenore letterale di tale fattispecie
si presenta palesemente indeterminato, dal momento che (contrariamente a quanto
previsto in tutti gli altri articoli della `parte speciale' del decreto) invece di operare una
individuazione puntuale dei reati dai quali discende la responsabilit? degli enti, si limita a
prevedere, attraverso un rinvio apertoper relationemal codice penale, alle leggi speciali e,
addirittura "all'articolo 2 della Convenzione internazionale per la repressione del
finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre 1999", la loro responsabilit?
per tutte le ipotesi, attuali e future, di reati terroristici. Solo ammettendo che si tratti di
una responsabilit? penale vera e propria il giudice che prima o poi si trover? ad applicare
questa norma potr? sollevare nei confronti di essa una questione di legittimit? costituzionale
per violazione del principio di legalit?,sub specieprincipio di precisione, sancito dall'art. 25,
2? comma della Costituzione

(13) Sul punto, per un diverso ordine di idee, si rinvia a G. Lattanzi,Intervento, in
Societas puniri potest.La responsabilit? da reato degli enti collettivi(Atti del convegno 15-16
marzo 2002, Firenze), a cura di F.C. Palazzo, Padova, 2003, p. 292, il quale, dopo essersi
interrogato sulla possibilit? di ritenere applicabile il principio sancito dall'art. 112 della
Costituzione relativamente all'esercizio dell'azione per la responsabilit? degli enti, fornisce
una risposta decisamente negativa. In argomento cfr. anche, O. Di Giovine,Lineamenti
sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 28

(14) Sulla giustiziabilit? dei principi costituzionali nel diritto penale si rinvia per tutti al
lavoro di M. Donini,Il volto attuale dell'illecito penale, cit., p. 63

(15) In argomento, da ultimo, per una interessante rilettura critica del tema della non
estensibilit? all'illecito punitivo amministrativo dei principi di garanzia di rango
costituzionale elaborati rispetto al sistema penale, cfr. R. Bartoli,Sanzioni punitive e
garanzie (a proposito della sentenza costituzionale sulla decurtazione dei punti della
patente), inDir. pen. proc., 2005, p. 1096 e ss

(16) Cfr. C. cost., 14 marzo 1984, n. 68, inGiur. cost., 1984, p. 422 e ss

(17) Cfr. C. cost., 19 novembre 1987, n. 420, inGiur. cost., 1987, p. 2879 e ss

(18) Cfr. C. cost., ord. 14 aprile 1994, n. 159, inRiv. giur. amb., 1995, p. 299 e ss., con
nota di C. Conti; sul punto si veda, pi? approfonditamente, F.C. Palazzo,Corso di diritto
penale. Parte generale, Torino, 2005, p. 41 e s

(19) C. cost., ord. 9 febbraio 2001, n. 33, inDir. pen. proc., 2001, p. 327

(20) C. cost., 3 maggio 2002, n. 150, inGiur. cost., 2002, p. 1283 e ss.; C. cost., ord.
23 luglio 2001, n. 282, inDir. pen. proc., 2001, p. 1228; C. cost., 24 luglio 1995, n. 356,ivi,
1995, p. 2631 e ss

(21) C. cost., ord. 5 luglio 2002, n. 319, inGiur. cost., 2002, p. 2466 e ss

(22) C. cost., ord. 15 luglio 2004, n. 226, inForo it., 2004, I, p. 2616 e ss

(23) Sostengono questa diversa posizione, dettata dall'esigenza condivisibile di estendere
le garanzie classiche del diritto penale al diritto penale-amministrativo, V. Angiolini,Principi
costituzionali e sanzioni amministrative, inJus, 1995, p. 247; D. Pulitan?,Diritto penale,
Torino, 2005, p. 730. Ad avviso di questa parte della dottrina la qualificazione di un illecito
come amministrativo non vale ad escludere la pertinenza di quei principi fondamentali di
rango costituzionale che "piuttosto che discendere dalla connotazione penale, civile o
amministrativa dell'illecito, discendono dalla connotazione dell'illecito in quanto tale, in
quanto infrazione a cui l'ordinamento debba o possa specificamente reagire", o dalla natura
e gravit? delle sanzioni. "Le garanzie forti del diritto penale non possono essere escluse con
un gioco di etichette, l? dove siano previste sanzioni che toccano la libert? personale, o
comunque incidano in modo pesante sui diritti di chi ne sia colpito. Ove mai garanzie
indispensabili fossero eluse, si porrebbero problemi di legittimit? in relazione a fonti
sovraordinate quali gli artt. 2, 25 o 27 Cost., o l'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, indipendentemente dalla qualifica legislativa". Di
recente, un tentativo di recuperare, almeno parzialmente, i principi costituzionali garantisti
del diritto penale anche rispetto al diritto punitivo amministrativo, ? stato operato da R.
Bartoli,Sanzioni punitive e garanzie, cit., p. 1100 e ss. e da A.de Vita,La ``crisi di
razionalit?'' dell'opzione punitiva nel diritto penale dell'economia, inIl nuovo sistema
sanzionatorio del diritto penale dell'economia, cit., p. 17 e ss

(24) Evidenzia tale aspetto S. Vinciguerra,Quale specie di illecito?, in S. Vinciguerra-M.
Ceresa Gastaldo-A. Rossi,La responsabilit? dell'ente per il reato commesso nel suo
interesse, cit., p. 191, il quale per? approda a conclusioni diverse, ritenendo che in forza
del "principio di adeguatezza della garanzia alla sanzione" il principio di legalit? finisce con
l'avere valore vincolante per il legislatore futuro anche in materia di responsabilit? degli
enti; O. Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 40 e ss., spec.
p. 43

(25) S. Vinciguerra,Quale specie di illecito?, in S.Vinciguerra-M. Ceresa Gastaldo-A.
Rossi,La responsabilit? dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, cit., p. 191.

(26) C.F. Grosso,Sulla costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi
chiamati a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 davanti al giudice penale, cit.,
2004, p. 1337, nota n. 7. L'illustre Autore, pur non prendendo dichiaratamente posizione sul
problema della natura giuridica della responsabilit?, riconosce la incidenza `non decisiva'
dello stesso anche ai fini della risposta da dare al quesito sull'ammissibilit? o meno della
costituzione di parte civile nei processi penali nei confronti degli enti chiamati a rispondere
degli illeciti indicati nella `parte speciale' del d.lgs. n. 231 del 2001

(27) Esprime tale preoccupazione C. Ducouloux Favard,Un primo tentativo di comparazione della responsabilit? penale delle persone giuridiche francese con la cosiddetta
responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche italiana, in Societas puniri potest,
cit., p. 93

(28) Testualmente, O.Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit.,
p. 13 e s. In argomento si rinvia a V. Zagrebelsky,La convenzione europea dei diritti
umani, la responsabilit? delle persone morali e la nozione di pena, in AA.VV.,Responsabilit?
degli enti per i reati commessi nel loro interesse. Supplemento a Cass. pen., n. 6, 2003, p.
31 e ss. Per una esaustiva e puntuale trattazione delle implicazioni che discendono a livello
internazionale, con particolare riferimento alla giusitiziabilit? della normativa nazionale
dinanzi alla Corte Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert?
fondamentali, dalla qualificazione di illeciti (e delle relative sanzioni) come penali si rinvia
per tutti a M. Chiavario,Art. 6. Diritto ad un giusto processo, in AA.VV.,Commentario alla
Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libert? fondamentali, a cura
di S. Bartole-B. Conforti-G. Raimondi, Padova, 2001, p. 153 e ss. ? stato, altres?, rilevato
da F.C. Palazzo,Corso di diritto penale, cit., p. 41, che in una famosa e risalente sentenza
(21 febbraio 1984, sul caso Ozt?rk) la Corte europea dei diritti dell'uomo si era pronunciata
nel senso di una tendenziale equiparazione tra le garanzie del sistema penale e quelle del
sistema amministrativo

(29) Di questo avviso ? O. Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo,
cit., p. 28 e s

(30) Come rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 1968, inGiur.
Cost., 1968, II, p. 2087, con nota di Predieri, il titolo, e pi? precisamente il titolo generale
o esterno, "di una legge ? soltanto un elemento indicativo che non si incorpora con la legge
stessa, in modo tale da sovrapporsi alle singole norme concrete (...) e solo in caso di
dubbio significato delle norme il titolo potrebbe eventualmente contribuire alla loro
interpretazione"

(31) Cos? D. Pulitan?,La responsabilit? ``da reato'' degli enti, cit., p. 420; nonch?
Id.,Responsabilit? amministrativa dipendente da reato delle persone giuridiche, (voce), cit.,
p. 954. Non assume posizioni nette a favore di nessuno dei tre diversi orientamenti
dottrinari relativi alla natura giuridica di tale responsabilit?, ma si limita ad esprimere dei
dubbi sulla concreta utilit? della questione, A.Alessandri,Riflessioni penalistiche sulla nuova
disciplina, cit., p. 48 e ss. Tale Autore non cela, per?, le sue perplessit? nei confronti di una
qualificazione in termini penalistici della responsabilit? degli enti, ritenendola incompatibile
con i principi di rango costituzionale sanciti nell'art. 27, 1? e 3? comma Cost. Tendono a
`sdrammatizzare' il problema della reale natura della responsabilit? degli enti anche, A.
Carmona,La responsabilit? degli enti: alcune note sui reati presupposto, cit., p. 995 e ss.;
G. De Simone,La responsabilit? da reato degli enti nel sistema sanzionatorio italiano:
alcuni aspetti problematici, cit., p. 659; L.Fornari,La confisca del profitto nei confronti
dell'ente responsabile di corruzione: profili problematici, cit., p. 68, nt. 15; M.
Leccese,Responsabilit? delle persone giuridiche e delitti con finalit? di terrorismo o di
eversione dell'ordine democratico (art. 25 quater d.lgs. n. 231 del 2001), inRiv. trim. dir.
pen. eco., 2003, p. 1191 e ss.; A. Nisco,Responsabilit? amministrativa degli enti, cit., p.
300

(32) Cos? G. Marinucci, "Societas puniri potest":uno sguardo sui fenomeni e sulle
discipline contemporanee, in questaRivista, 2003, p. 1193 e ss.; il testo ? altres?
pubblicatoRelazione di sintesi, in Societas puniri potest, cit., p. 308. Ad analoghe
conclusioni, muovendo, per?, da premesse diverse (l'eventuale contrasto di una
responsabilit? autenticamente penale degli enti con i principi di personalit? della
responsabilit? penale e della finalit? rieducativa della pena sanciti dall'art. 27, 1? e 3?
comma Cost.), giunge anche M. Romano,La responsabilit? degli enti, cit., p. 398.
Ritengono che si tratti di responsabilit? amministrativa anche G. Cocco,L'illecito degli enti
dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in questaRivista, 2004, p. 116 e
ss.; G. Ruggiero,Capacit? penale e responsabilit? degli enti, Torino, 2004, p. 277 e ss.; S.
Pizzotti,La natura della responsabilit? delle societ? nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, inResp.
civ. e prev., 2002, p. 898 e ss. Sembra condividere, sebbene solo in parte, tale punto di
vista anche, F. Giunta,Attivit? bancaria e responsabilit?ex criminedegli enti collettivi, cit.,
p. 2 e ss

(33) Sul problema dell'importanza del linguaggio nella costruzione delle norme penali (ed
ai fini della successiva conoscenza ed interpretazione delle stesse, rispettivamente da parte
dei lettori e dei giudici) si vedano le belle pagine di D. Pulitan?,Diritto penale, cit., p. 154
e ss., spec. p. 158. Nonch?, Id.,Nel laboratorio della riforma del codice penale, in
questaRivista, 2002, p. 19 e ss., dove l'A. afferma che la dimensione linguistica viene in
primo piano, soprattutto, dove si tratti "di introdurre novit? significative, fuoriuscendo da
schemi tradizionali, con ricorso a moduli linguistici nuovi e non consueti". In argomento,
per un diverso punto di vista, si rinvia a W. Hassemer,Diritto giusto attraverso un
linguaggio corretto? Sul divieto di analogia nel diritto penale, in Ars interpretandi.Annuario
di ermeneutica giuridica, 1997, p. 192, il quale ritiene che avendo ormai il giudice un ruolo
prevalente rispetto a quello del legislatore, il linguaggio da quest'ultimo utilizzato, per
quanto preciso, non assolve alcuna funzione di garanzia se l'interprete non ? dotato di una
capacit? di autocontenimento interpretativo. Sul punto vd. anche G. Fiandaca,Ermeneutica
e applicazione giudiziale del diritto penale, in questaRivista, 2001, p. 357

(34) Cos? D. Pulitan?,Diritto penale, cit., p. 158

(35) A tal riguardo si veda S. Moccia,La `promessa non mantenuta'. Ruolo e prospettive
del principio di determinatezza/tassativit? nel sistema penale italiano, Napoli, 2001, p. 26,
il quale, trattando del principio di determinatezza delle fattispecie penali afferma che "nello
stato di diritto la forma ha un'importanza essenziale e dunque, in nessun caso, in rapporto
ad alcun fenomeno, connotato anche da grave dannosit? sociale, ? possibile disattendere
l'assunto secondo cui la ``legge non pu? abbandonare la lettera perch? la lettera ? lo spirito
della legge''"

(36) Sul punto si rinvia alle osservazioni gi? svolte in precedenza al ? 2

(37) Cos? D. Pulitan?,La responsabilit? da ``reato'', cit., p. 418

(38) G.de Vero,op. cit., p. 91

(39) Hanno parlato di una vera e propria ``truffa delle etichette'': E. Musco,Le imprese,
cit., p. 8 e ss.; P. Patrono,Verso la soggettivit?, cit., p. 189; C.E.Paliero,La responsabilit?
penale della persona giuridica: profili strutturali e sistematici, in AA.VV.,La responsabilit?
degli enti: un nuovo modello, cit., p. 21 e ss.; V. Maiello,La natura (formalmente
amministrativa, ma sostanzialmente penale), cit., p. 899 e ss.; G. De Simone,op. ult. cit.;
C. Piergallini,Sistema sanzionatorio, cit., p. 1365; nonch?, da ultimo, A. Astrologo,Concorso
di persone e responsabilit? della persona giuridica, inRiv. trim. dir. pen. ecc., 2005, p. 1003
e ss., spec. p. 1005. Di diverso avviso ? D. Pulitan?,La responsabilit? ``da reato'' degli
enti, cit., p. 417, il quale osserva che nel caso di specie non si d? corpo ad una ``frode
delle etichette'' nel senso pregnante in cui il concetto ? utilizzato in dottrina, non essendo
finalizzata la diversa etichettatura "a coprire l'elusione di garanzie rese necessarie dalla
sostanza punitiva degli istituti (...). Nell'apprestare garanzie sostanziali e processuali, il
legislatore italiano del 2001 ha adottato un'ottica tipicamente penalistica, tra tutte la pi?
garantista"

(40) Espone tali argomenti a sostegno della natura amministrativa, G. Marinucci,
"Societas puniri potest", cit., rispettivamente pp. 1201 e 308

(41) Si veda al riguardo C.de Maglie, L'etica e il mercato, cit., p. 329

(42) Per ulteriori osservazioni critiche al riguardo si rinvia a R. Lottini,Il sistema
sanzionatorio, in AA.VV.,Responsabilit? degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da
reato, cit., p. 176 e ss

(43) In realt?, la disposizione dell'art. 22 del d.lgs. n. 231 del 2001 appare
sostanzialmente diversa anche da quella dell'art. 28 della l. n. 689 del 1981, dal momento
che, mentre nel primo ? stabilito che a prescriversi sono "le sanzioni amministrative", nel
secondo, ancor pi? dichiaratamente vicino alle regole civilistiche, ? sancito che a
prescriversi ? "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni" amministrative

(44) Per dei rilievi critici nei confronti della recente riforma della disciplina della
prescrizione realizzata con la l. 5 dicembre 2005, n. 251, si rinvia a G. Marinucci,La
prescrizione riformata ovvero dell'abolizione del diritto penale, in questaRivista, 2004, p.
976 e ss.; G. Flora,Le nuove frontiere della politica criminale: le inquietanti modifiche in
tema di circostanze e prescrizione, inDir. pen. proc., 2005, p. 1325 e ss.; G.
Marinucci,Certezza d'impunit? per i reati gravi e ``mano dura'' per i tossicodipendenti in
carcere, ivi, 2006, p. 170 e ss

(45) Cos? O. Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 131

(46) Si deve, per?, convenire con C.Piergallini,La responsabilit? amministrativa, cit., p.
111; Id.,L'apparato sanzionatorio, cit., p. 219, che tale peculiare disciplina in materia di
prescrizione reca con s? anche qualche effetto benefico, sul piano della effettivit? della
tutela penale in alcuni settori apparentemente destinati a non trovare tutela alcuna; si
pensi, ad esempio, alla recente riforma del diritto penale societario che ha drasticamente
ridotto le cornici edittali di molti dei principali reati condannandoli ad una quasi certa
prescrizione; la funzione general-preventiva di tali fattispecie incriminatrici sarebbe salvata
proprio dalla possibilit? di infliggere quanto meno per quelle medesime condotte delle
sanzioni a quegli enti nel cui interesse sono state realizzate.

(47) Cos? C. Piergallini,L'apparato sanzionatorio, cit., p. 220. Per una lettura del
Progetto Grosso e della sua relazione cfr. in questaRivista, 2001, p. 574 e ss.; AA.VV.,La
riforma della parte generale del codice penale. La posizione della dottrina sul progetto
Grosso, a cura di A.M. Stile, Napoli, 2003, p. 682 e ss.; nonch? al sito del
Ministero,www.giustizia.it.

(48) Cos?, A. Alessandri,Riflessioni penalisitiche sulla nuova disciplina, cit., p. 49

(49) In argomento si rinvia a G. Marinucci, "Societas puniri potest", cit., p. 1202 e 308.
Pi? ampiamente, per una trattazione analitica di tali aspetti cfr., E. Busson,Responsabilit?
patrimoniale e vicende modificative dell'ente, in AA.VV.,Responsabilit? degli enti per gli
illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, cit., p. 184 e ss.; P.
Sfameni,Responsabilit? patrimoniale e vicende modificative dell'ente, in AA.VV.,La
responsabilit? amministrativa degli enti, cit., p. 159 e ss.; nonch? da ultimo V.
Napoleoni,Le vicende modificative dell'ente, in AA.VV.,Reati e responsabilit? degli enti,
cit., p. 283 e ss

(50) Propendono per attribuire natura penale alla responsabilit? delle persone giuridiche
introdotta con il d.lgs. n. 231 del 2001, oltre agli Autori gi? richiamati nella nt. n. 18, C.de
Maglie,In difesa della responsabilit? penale delle persone giuridiche, inLeg. pen., 2003, p.
349 e ss.; G.de Vero,Struttura, cit., p. 1167; Id.,Riflessioni sulla natura giuridica della
responsabilit? punitiva degli enti collettivi, in AA.VV.,La responsabilit? degli enti: un nuovo
modello di giustizia "punitiva", cit., p. 89 e ss.; V. Maiello,La natura (formalmente
amministrativa, ma sostanzialmente penale), cit., p. 900 e ss.; T. Padovani,Il nome dei
principi e il principio dei nomi: la responsabilit? ``amministrativa'' delle persone giuridiche,
in AA.VV.,La responsabilit? degli enti: un nuovo modello di giustizia ``punitiva'', cit., p. 13
e ss.; Id.,Diritto penale, Milano, 2004, VIIa ed., p. 88 e ss.; P. Ferrua,Il processo penale
contro gli enti: incoerenze e anomalie nelle regole di accertamento, in
AA.VV.,Responsabilit? degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 224;
A. Manna,La c.d. responsabilit? amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo
di insieme, cit., p. 517 e ss.; P. Patrono,Verso la soggettivit? penale di societ? ed enti, cit.,
p. 186; A. Travi,La responsabilit? della persona giuridica nel d.lgs. 231 del 2001: prime
considerazioni di ordine amministrativo, inLe Societ?, 2001, p. 1305. Da ultimo, mostrano
di attestarsi su queste posizioni, L.Fornari,La confisca del profitto nei confronti dell'ente
responsabile di corruzione: profili problematici, cit., p. 68; C. Piergallini,L'apparato
sanzionatorio, in AA.VV.,Reati e responsabilit? degli enti, cit., p. 192;
A.Cosseddu,Responsabilit? da reato degli enti collettivi, cit., p. 15; A. Astrologo,Concorso
di persone e responsabilit? della persona giuridica, cit., p. 1003

(51) In tal senso cfr. P. Patrono,Verso la soggettivit? penale di societ? ed enti, cit., p.
188, il quale rileva che il decreto legislativo si limita a disciplinare semplicemente i criteri
di imputazione del reato all'ente, ma non detta nuovi ed autonomi ``illeciti amministrativi
dipendenti da reato''

(52) Nonostante le numerose integrazioni gi? realizzate con gli interventi normativi prima
richiamati alla nota n. 4, la `parte speciale' del decreto appare ancora lacunosa ed
incompleta, non annoverando proprio quei reati per i quali sarebbe pi? opportuno prevedere
una responsabilit? diretta delle persone giuridiche, come ad esempio i reati ambientali, i
reati in materia di tutela della sicurezza sul lavoro, i reati edilizi, i reati tributari e il
riciclaggio. Per delle osservazioni sul catalogo dei `reati presupposto' cfr. A. Carmona,La
responsabilit? degli enti: alcune note sui reati presupposto, cit., p. 995 e ss

(53) Di questo stesso avviso ? C.E. Paliero,Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 845;
Id.,La responsabilit? penale della persona giuridica nell'ordinamento italiano: profili
sistematici, in Societas puniri potest, cit., p. 24 e ss., il quale parla di una responsabilit?
dell'ente plurisoggettiva a concorso necessario.Contracfr. A. Pagliaro,ivi, p. 72, il quale
osserva che "la condotta ? una sola ed ? quella della persona fisica e abbiamo pi?
imputazioni di questa medesima condotta reale a soggetti diversi, quindi la struttura ?
esattamente opposta a quella del concorso di persone". In particolare, sul significato da
attribuire ai termini interesse e vantaggio si veda A. Astrologo,``Interesse'' e ``vantaggio''
quali criteri di attribuzione della responsabilit? dell'ente nel d.lgs. 231/2001, inInd. pen.,
2003, p. 649 e ss

(54) Cfr. G.de Vero,Struttura e natura giuridica, cit., p. 1155

(55) Di questo avviso, sebbene in termini leggermente diversi, ? M. Romano,La
responsabilit? amministrativa, cit., p. 405. Per osservazioni in parte analoghe, cfr. F.
Giunta,Attivit? bancaria e responsabilit?, cit., p. 6, ad avviso del quale il decreto legislativo
n. 231/2001 ha introdotto una "fattispecie pluriascrittiva eventuale, in base alla quale la
responsabilit? dell'ente risulta, ad un tempo,subordinataal reato realizzato dalla persona
fisica eautonomadalla responsabilit? di quest'ultima"; nonch?, G. De Simone,I profili
sostanziali, cit., p. 81, il quale osserva che l'illecito "? e resta uno solo, quello (penale)
commesso da una delle persone fisiche indicate nell'art. 5, mentre rispetto alla persona
giuridica dovrebbe parlarsi piuttosto di unafattispecie a struttura complessadi cui tale
illecito (il c.d.Ankn?pfungstat) rappresenta soltanto uno degli elementi essenziali e
irrinunciabili. Gli altri sono ovviamente quelli individuati negli artt. 5, 6 e 7"

(56) Rileva la unicit? del fatto generatore della responsabilit? dell'ente (il reato della
persona fisica) A. Alessandri,Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, cit., p. 40

(57) Cfr. in tal senso T. Padovani,Il nome dei principi e il principio dei nomi: la
responsabilit? ``amministrativa'' delle persone giuridiche, cit., p. 15 e ss. Del medesimo
ordine di idee ? G.A. De Francesco,Gli enti collettivi: soggetti dell'illecito o garanti dei
precetti normativi?, inDir. pen. proc., 2005, p. 754

(58) Si veda sul punto C.E. Paliero,Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 845

(59) Una utile guida sui criteri orientativi che il legislatore dovrebbe seguire circa la scelta tra sanzione penale e sanzione amministrativa, ? rappresentata dalla (ormai datata)
Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 19 dicembre 1983, inSuppl. ord. G.U.,
23 gennaio 1984. In argomento, si veda in dottrina E. Dolcini,Sanzione pecuniaria e
sanzione amministrativa: problemi di scienza della legislazione, in questaRivista, 1984, p.
589 e ss.; T.Padovani,La distribuzione di sanzioni penali e sanzioni amministrative secondo
l'esperienza italiana, ivi, p. 952 e ss.; F.C. Palazzo,I criteri di riparto fra sanzioni penali e
sanzioni amministrative, inInd. pen., 1986, p. 35 e ss.; D. Pulitan?,Diritto penale, cit., p.
731. In generale, sulle sanzioni amministrative si rinvia a C.E. Paliero-A. Travi,La sanzione
amministrativa, Milano, 1988,passim

(60) Cos? C.de Maglie,L'etica e il mercato, cit., p. 292; Id.,Verso un codice penale
europeo: la responsabilit? penale delle persone giuridiche, in AA.VV.,Verso un codice penale
modello per l'Europa. Offensivit? e colpevolezza, a cura di A. Cadoppi, Padova, 2002, p. 64

(61) Cos? A. Falzea,La responsabilit? penale delle persone giuridiche, in AA.VV.,Studi per
Lorenzo Campagna, Milano, 1982, p. 291

(62) G. De Simone,I profili sostanziali, cit., p. 81

(63) Per approfondimenti sulla disciplina dettata dall'art. 44 del d.lgs. n. 231 del 2001 in
materia di incompatibilit? con l'ufficio di testimone, si rinvia a P. Ferrua,Il processo penale
contro gli enti: incoerenze e anomalie nelle regole di accertamento, cit., p. 234 e s.; A.
Bernasconi,I profili della fase investigativa e dell'udienza preliminare, ivi, p. 305; A.
Giarda, Societas delinquere potest:o no?!, in AA.VV.,La responsabilit? amministrativa degli
enti. D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 187 e ss.; A. Scalfati,Le norme in materia di
prova e di giudizio, ivi, p. 349 e ss.; G. Garuti,Persone giuridiche e ``processo'' ordinario
di cognizione, inDir. pen. proc., 2003, p. 143 e ss.; M. Ceresa Gastaldo,L'accertamento
dell'illecito, in S. Vinciguerra-M. Ceresa Gastaldo-A. Rossi,La responsabilit? dell'ente per il
reato commesso nel suo interesse, cit., p. 125 e ss.; nonch?, da ultimo, A. Diddi,Il regime
dell'incompatibilit? a testimoniare nel processo a carico degli enti, inDir. pen. proc., 2005,
p. 1166 e ss

(64) In questo senso, S.Chimichi,Le prove dichiarative nel procedimento penale contro
gli enti, inDir. pen. proc., 2005, p. 244 e s.; G. Lozzi,Lezioni di procedura penale, Torino,
2004, p. 620

(65) Esprime fondate perplessit? sulla possibilit? di chiamare a rispondere un ente
collettivo per un reato commesso da un soggetto che non ? stato identificato, C.
Pecorella,Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilit?, in AA.VV.,La
responsabilit? degli enti. d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 81

(66) Sul punto P. Patrono,Verso la soggettivit? penale di societ? ed enti, cit., p. 188;
C.E. Paliero,Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 845; Id.,La responsabilit? sanzionatoria
delle persone giuridiche, cit.; nonch?de Maglie,Principi generali, cit., p. 1349

(67) In tal senso vedi V.Maiello,La natura (formalmente amministrativa, ma
sostanzialmente penale), cit., p. 900 e ss.; G.Forti,Sulla definizione della colpa, cit., p.
186; T. Padovani,Il nome dei principi, cit., p. 13

(68) Si noti che questo medesimo argomento ? gi? apparso decisivo in passato per la
risoluzione della diatriba sulla natura giuridica delle "Misure amministrative di sicurezza",
sul punto si veda S. Vinciguerra,Diritto penale italiano, I, Concetto, fonti, validit?,
interpretazione, Padova, 1999, p. 40; nonch?, G.de Vero,Riflessioni sulla natura giuridica,
cit., p. 95

(69) Questo processo di sovrapposizione dei piani concettuali delle due sanzioni ?
amplificato dal fatto che in una prospettivade iure condendosi auspica l'abbandono della
pena carceraria, o meglio la sua riduzione adextrema ratio, e l'introduzione nel catalogo
delle pene principali di misure di carattere interdittivo di origine amministrativa. Una
conferma di questo orientamento dottrinario si rinviene nelProgetto preliminare di riforma
del codice penaleredatto dalla Commissione Grosso, per la cui consultazione si vedano le
indicazioni fornite in precedenza alla nota n. 47; sul punto cfr. C.F. Grosso,Riserva di
codice, diritto penale minimo, carcere comeextrema ratiodi tutela penale, inCass. pen.,
2001, p. 3582

(70) Di questo avviso ? anche K.Volk,La responsabilit? penale di enti collettivi
nell'ordinamento tedesco, cit., p. 197; ed in termini sostanzialmente identiciId.,La
responsabilit? penale degli enti collettivi, inCrit. dir., 2002, p. 231, il quale osserva che
"una conseguenza giuridica ? una pena se viene inflitta come pena in un procedimento
penale (...). dipende dal cerimoniale del procedimento di cui si tratta il modo in cui viene
classificata una conseguenza giuridica, cio? come pena, come conseguenza accessoria di
una pena, come sanzione punitiva amministrativa o come misura del diritto amministrativo
dell'economia"

(71) Su tale aspetto si vedano le osservazioni di G. Marinucci, "Societas puniri potest",
cit., p. 1193 e ss., spec. 1202, il quale, rispondendo a K. Volk,La responsabilit? di enti
collettivi nell'ordinamento tedesco, cit., p. 189 e ss., rileva che "se ? vero che ``non c'?
pena senza processo penale'', non ? vero l'opposto, perch? ``vi pu? essere una sanzione
amministrativa anche se inflitta nel corso e con le garanzie del processo penale''. Questa ?
la stradagi?battutain passatodall'ordinamento italiano: nei casi di ``connessione obiettiva''
di un illecito amministrativo con un reato". Per considerazioni analoghe si rinvia anche a
S.Vinciguerra,Quale specie di illecito?, in S. Vinciguerra-M. Ceresa Gastaldo-A. Rossi,La
responsabilit? dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, cit., p. 205 e ss

(72) Per una completa e dettagliata analisi dell'intero apparato sanzionatorio delineato
dal d.lgs. n. 231 del 2001 si rinvia per tutti, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, al
recente lavoro di C.Piergallini,L'apparato sanzionatorio, cit., p. 173 e ss., spec. p. 196 e ss

(73) ? dello stesso ordine di idee G. De Simone,I profili sostanziali, cit., p. 79

(74) L'espressione ? di C. Piergallini,L'apparato sanzionatorio, cit., p. 196

(75) Evidenzia bene la tendenziale omogeneit? di alcune sanzioni amministrative con
quelle penali, D. Pulitan?,Diritto penale, cit., p. 727

(76) In tal senso cfr. G. Marinucci, "Societas puniri potest", cit., p. 307; A.Alessandri,Riflessioni penalistiche, cit., p. 48

(77) ? di tale avviso C.de Maglie,Principi generali, cit., p. 1349

(78) Cos?La Relazione allo schema del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, inGuida
al diritto, 2001, n. 26, p. 19. Sul sistema commisurativo `per tassi giornalieri' cfr. S.
Moccia,Politica criminale e riforma del sistema penale: l'Alternativ-Entwurf e l'esempio
della Repubblica Federale Tedesca, Napoli, 1984

(79) In tal senso cfr. V. Maiello,La natura (formalmente amministrativa, ma
sostanzialmente penale), cit., p. 903. Per una ricostruzione del problema della rinunciabilit?
dell'amnistia si rinvia a Corte Cost., 14 luglio 1971, inGiur. it., 1972, I, p. 1; E.Fassone,La
c.d. ``rinuncia all'amnistia'' al vaglio della Corte Costituzionale, in questaRivista, 1968, p.
865; A.Pecoraro Albani,Considerazioni sulla legittimit? costituzionale della c.d. rinuncia
all'amnistia, inGiur. cost., 1968, I, p. 1341

(80) L'anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato ? stata predisposta e
disciplinata solo con il D.P.R. del 14 novembre 2002 n. 313 ma pubblicato in Gazzetta
ufficiale il 13 febbraio 2003 ed entrato in vigore il 29 marzo scorso e intitolato "Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe
delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti". A tal
proposito per un breve commento si rinvia a Giordano,Illeciti commessi dagli
amministratori di societ?: passo avanti verso la costituzione dell'anagrafe, inGuida dir., n.
15, 2003, p. 44

(81) Si legge testualmente nellaLa Relazione allo schema del decreto legislativo 8 giugno
2001 n. 231, cit., p. 30, che "dal punto di vista teorico, non si sarebbero incontrate
insuperabili controindicazioni alla creazione di un sistema di vera e propria
responsabilit?penaledegli enti. Sul punto pu? dirsi oltretutto superata l'antica obiezione
legata al presunto sbarramento dell'art. 27 Cost., e cio? all'impossibilit? di adattare il
principio di colpevolezza alla responsabilit? degli enti" (...) "Appare ormai recessiva una
concezione ``psicologica'' della colpevolezza, che ne esaurisce cio? il contenuto nel legame
psicologico tra autore e fatto; di contro, la rinnovata idea di una colpevolezza intesa (in
senso normativo) comerimproverabilit?sembra perfettamente attagliarsi al fenomeno nei
termini in cui ? stato poc'anzi descritto"

(82) Cos?La Relazione allo schema del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, inGuida
al diritto, cit., p. 31

(83) Dell'avviso che a tale responsabilit? debba essere attribuita natura essenzialmente
penale ? anche T. Padovani,Diritto penale, cit., p. 86, il quale rileva che "poich? la
responsabilit? penale dipende da reato, soggiace allo stigma tipico di un giudizio penale e
sfocia in una sanzione punitiva di contenuto omologo a quello di una sanzione penale, ?
difficile non attribuirle una natura sostanzialmente penale"; in tal senso cfr. anche, G.
Fiandaca-E. Musco,Diritto penale. Parte generale, cit., p. 146; E. Musco,Le imprese a
scuola di responsabilit? tra pene pecuniarie e interdizioni, cit., p. 8

(84) In senso contrario, per un orientamento (a nostro avviso preferibile) che rileva il
persistere della incompatibilit? tra la responsabilit? penale delle persone giuridiche ed i
principi costituzionali sanciti nei commi 1? e 3? dell'art. 27 Cost., cfr. V. Maiello,La natura
(formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale) della responsabilit? degli enti,
cit., p. 913 e ss., il quale auspica, come soluzione preferibile per ovviare all'impasse in cui
il nostro ordinamento giuridico versa dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 231 del 2001, una
modifica della Carta costituzionale diretta a prevedere in un nuovo comma dell'articolo 27
Cost. autonomi principi, tanto per l'imputazione del fatto, quanto per l'inflizione delle
sanzioni nei confronti degli enti. Dello stesso avviso ? T. Padovani,Il nome dei principi, cit.,
p. 17 e s

(85) G.de Vero,Struttura e natura giuridica, cit., p. 1157

(86) Cos? G.de Vero,Struttura e natura giuridica, cit., p. 1158; Id.,Riflessioni sulla
natura giuridica, cit., p. 96, il quale attribuisce natura penale alla responsabilit? introdotta
dal d.lgs. n. 231 del 2001, ma la considera come il terzo binario del sistema penale che si
va ad affiancare ai due preesistenti delle pene e delle misure di sicurezza

(87) Ad avviso di C. Roxin,Ha un futuro il diritto penale?, inDiritti dell'uomo e sistema
penale, II, a cura di S. Moccia, Napoli, 2002, p. 550, se si muove dalla condivisibile
previsione che "in futuro le sanzioni contro le persone giuridiche avranno un ruolo primario
[dal momento che] le forme socialmente pi? dannose della criminalit? economica, ma
anche ambientale, hanno le loro origini in imprese grandi e potenti", il diritto penale, al
fine di evitare il sorgere al suo interno di antinomie di principi, dovrebbe prevedere una
autentica responsabilit? penale degli enti collettivi, elaborando, per?, autonome e "speciali
regole di imputazione" di natura puramente normativa

(88) Sull'opportunit? di compiere un passo chiaro in tale direzione, di introdurre, cio?,
una autentica responsabilit? penale delle persone giuridiche, si vedano le considerazioni
recentemente svolte da G. Marinucci,Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi
e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, in questaRivista, 2005, p. 57 e s

(89) Sulla necessit?, imposta dal nuovo sottosistema sanzionatorio di matrice penalistica,
di procedere in questa materia alla costruzioneex novosia dei principi costituzionali
fondanti, sia delle categorie dommatiche ordinanti, si rinvia, per esigenze di brevit?, alle
considerazioni da noi gi? svolte in altra sede,Mito giuridico ed evoluzione della realt?, cit.,
p. 979 e ss.; e, soprattutto, alle osservazioni significative di V. Maiello,La natura
(formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale) della responsabilit? degli enti,
cit., p. 879 e ss., spec. p. 893 e ss

(90) Cos?, testualmente, Tribunale di Pordenone, 4 novembre 2002, cit. Analogamente,
in un'altra recente pronuncia di merito (Trib. Torino, 10 febbraio 2005,
inwww.reatisocietari.it) si ? asserito (sebbene attraverso un ragionamento poco
condivisibile) che in questo ambito disciplinare non ? ammessa alcuna forma di
responsabilit? oggettiva, valendo anche per esso il principio della personalit? della
responsabilit? penale di cui all'art. 27, 1? comma, Cost

(91) Per un primo, breve, commento a tale sentenza (pubblicata anche inDir. giust.,
2004, n. 30, p. 25 e ss.) si veda P. Di Geronimo,La Cassazione esclude l'applicabilit? alle
imprese individuali della responsabilit? da reato prevista per gli enti colletti: spunti di
diritto comparato, inCass. pen., 2004, p. 4049 e ss

(92) Per maggiore chiarezza pu? essere utile ricostruire, sebbene in maniera
estremamente sintetica, i termini salienti della questione. Nell'occasione al vaglio critico
della Suprema Corte era stata sottoposta una questione afferente alla demarcazione
dell'ambito di applicazione dell'articolo 1 del d.lgs. n. 231 del 2001 che individua i soggetti
destinatari dell'intera normativa sulla responsabilit? da reato delle persone giuridiche. Il
Procuratore della Repubblica di Roma aveva eccepito che, stando alla lettera della legge,
soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici e gli enti
che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art 1 comma 3), erano espressamente
esclusi dal campo di attuazione della normativa. Mentre, mancando in questa elencazione
tassativa ogni accenno alleimprese individuali, "una interpretazione sistematica e razionale"
del decreto medesimo doveva indurre a ritenere che il legislatore avesse inteso annoverarle
nell'ambito di operativit? della nuova disciplina, in quanto proprio tali soggetti economici,
avvalendosi di strutture pi? agili e beneficiando della mancanza di qualsiasi forma di
controllo, "costituiscono con tutta evidenza un terreno fertile per il compimento di attivit?
illecite".
Ad avviso del ricorrente, tale conclusione era, peraltro, imposta da "una interpretazione
costituzionalmente orientata"; l'esclusione delle ditte individuali dall'ambito di applicazione
della normativa in esame, a suo avviso, contribuiva "a realizzare una disparit? di
trattamento tra coloro che decidono di utilizzare forme semplici ed agili di impresa e coloro
che, al contrario, stipulano un contratto di societ? con altre persone per conferire beni o
servizi per l'esercizio in comune di una attivit? economica allo scopo di dividerne gli utili
(art. 2047 c.c.)", integrando una palese violazione del principio di uguaglianza sostanziale
di cui all'art. 3 della Cost. Taledisparit?risultava ancor pi? evidente se solo si teneva conto
del fatto che nel campo di applicazione dell'art. 1 della nuova normativa erano gi?
comprese le societ? a base personale ristretta e, soprattutto, lesociet? a responsabilit?
limitata unipersonali, vale a dire, dei soggetti economici sostanzialmente analoghi sotto
molti profili alle ditte individuali

(93) Si interessa, in generale, del tema dell'ambito di operativit? soggettivo del d.lgs. n.
231 del 2001, O. Di Giovine,Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 29 e
ss. Si interroga sulla possibilit? di interpretare restrittivamente il decreto, escludendo dal
novero dei suoi destinatari gli enti collettivi a base personale ristretta, C.
Piergallini,L'apparato sanzionatorio, cit., p. 203. A tale riguardo, l'Autore eccepisce che in
casi simili ad ammettere la punibilit? sia dell'ente, sia della persona fisica autore del reato
nel suo interesse o nel suo vantaggio, si rischierebbe di violare palesemente il principio
delne bis in idemsostanziale. Per ovviare a questo inconveniente, sarebbe opportuno che si
richiedesse per applicare la normativa la esistenza all'interno dell'ente di ``distinguibili''
centri di interesse, "distinguibilit? non rintracciabile quando le ridotte dimensioni dell'ente e
la ristretta base personale fanno s? che risalti la preminenza della figura dei soci con il loro
patrimonio"

(94) NellaLa Relazione allo schema del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, cit., p.
18, era specificato espressamente che, tra le ragioni dell'emanazione della riforma vi era
quella della consapevolezza di "pericolose manifestazioni di reato poste in essere da
soggetti a struttura organizzata e complessa"; e che destinatario della stessa era l'ente
collettivo, inteso "quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di
riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attivit? dei soggetti che
operano in nome, per conto o comunque nell'interesse dell'ente"

(95) G. Fiandaca-E. Musco,Diritto penale. Parte generale, cit., p. 105; in argomento cfr.
anche, G. Fiandaca,Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, cit., p. 357 e ss

(96) Sull'affascinante tema dell'ermeneutica giuridica si veda,ex multis, F. Viola-G.
Zaccaria,Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Bari,
1999,passim

(97) Cos?, D. Pulitan?,Diritto penale, cit., p. 158 e s

(98) Si deve osservare, per inciso, che un'eventuale applicazione analogica della
normativa da parte della giurisprudenza si sarebbe potuta esporre a delle censure anche
senza invocare necessariamente l'art. 25, 2? comma Cost., risultando comunque in
contrasto con il principio di legalit? dei `reati' e delle sanzioni dettato in materia dall'art. 2
del d.lgs. n. 231 del 2001. Sul punto, si rinvia a quanto gi? detto in precedenza al ? 3