giovedì 31 luglio 2008

PROVE - ACCERTAMENTO INDIZIARIO - MODALITA' - ACCERTAMENTO DELLA COLPEVOLEZZA DELL'IMPUTATO "AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO"

da www.cortedicassazione.it


SENTENZA N. 31456 UD.21/05/2008 - DEPOSITO DEL 29/07/2008

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PROVE - ACCERTAMENTO INDIZIARIO - MODALITA' - ACCERTAMENTO DELLA COLPEVOLEZZA DELL'IMPUTATO "AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO"
PROVE - PROVA SCIENTIFICA - VALIDITA' - PRESUPPOSTI - FATTISPECIE: TECNICA DI INDAGINE B.P.A.
PROVE - PERIZIA PSICHIATRICA - RIFIUTO DI COLLABORAZIONE DA PARTE DELLA PERIZIANDA - UTILIZZABILITA' DI CONVERSAZIONI INTERCETTATE E FILMATI DI TRASMISSIONI TELEVISIVE


Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di cassazione ha “chiuso” il caso-Cogne.
La Corte ha preliminarmente ritenuto la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità relativa all’art. 438 c.p.p., superata per il rilievo che la sottrazione alla competenza della corte di assise del giudizio abbreviato avente ad oggetto vicende omicidiarie è prevista espressamente, in ossequio alla riserva assoluta di cui all’art. 102, comma 3, Cost., dalla legge, che l’organo giudicante – il g.u.p. - è precostituito per legge, nel pieno rispetto della garanzia del giudice naturale, e che l’appello si svolge comunque dinanzi ad una corte d’assise, con salvaguardia del principio di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nella materia de qua: né la specialità del procedimento vulnera il diritto di difesa, atteso che al rito, connotato da aspetti di innegabile premialità, si accede soltanto su specifica richiesta dell’interessato.
Prima di passare all’esame dei motivi di ricorso più da vicino inerenti alla congruità della motivazione della sentenza gravata, la Corte ha riepilogato i caratteri principali dell’accertamento indiziario, osservando, tra l’altro, che un determinato accadimento potrà dirsi processualmente certo, e quindi conforme a verità, “una volta che, previo controllo dell’attendibilità dei dichiaranti ed attraverso il vaglio critico delle loro deposizioni, il giudice ritenga quel dato accadimento dimostrato e, dunque, processualmente acquisito”, con metodologia non dissimile rispetto a quello che regola l’accertamento basato su prove scientifiche (”un risultato di prova fondato sull’applicazione di leggi, metodi, o tecniche di natura scientifica potrà dirsi certo una volta che il giudicante abbia verificato l’affidabilità di quella legge, tecnica o metodica ed abbia dato ragione della valenza ed attendibilità del risultato conseguito”).
Coerentemente, ai sensi dell’art. 533, comma 1, c.p.p., deve ritenersi intervenuto quell’accertamento di responsabilità <>, che legittima, ed anzi costringe, il giudice a pronunciare condanna, “quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana”.
In tema di prova scientifica, si è osservato che la tecnica di indagine denominata B.P.A. (Bloodstain Pattern Analysis), con la quale erano state esaminate le macchie di sangue presenti sui reperti e rinvenute sulla scena del delitto, “non si basa su leggi scientifiche nuove od autonome bensì sull’applicazione di quelle, ampiamente collaudate da risalente esperienza, proprie di altre scienze (matematica, geometria, fisica, biologia e chimica) che, in quanto universalmente riconosciute ed applicate, non richiedono specifici vagli di affidabilità”.
Si è inoltre chiarito che la B.P.A. è processualmente riconducibile al genus della perizia (art. 220 c.p.p.), poiché la peculiarità dell’oggetto degli accertamenti non rende il mezzo di prova atipico (art. 189 c.p.p.): non era, pertanto, necessario che la sua ammissione fosse preceduta dall’audizione delle parti sulle modalità di assunzione (art. 189, ult. parte, c.p.p.).
In tema di perizia psichiatrica, si è infine ribadito (sulla scia di SS.UU. 25.1. – 8.3.2005, n. 9163, Raso, C.E.D. Cass. n. 230317) che anche i gravi disturbi della personalità possono dar luogo ad una infermità mentale, purché di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e volere del soggetto; il giudice deve, pertanto, “avvalersi di tutti gli strumenti a sua disposizione e di ogni elemento di valutazione e di giudizio desumibile dalle acquisizioni processuali”.
Per tale ragione, nessun vizio può ravvisarsi “nell’utilizzazione, da parte dei periti, del contenuto di conversazioni intercettate e di filmati di trasmissioni televisive svoltesi con la partecipazione della perizianda (peraltro solo marginalmente e cautamente valorizzate), la valutazione della cui pertinenza e rilevanza (…) rientra nelle competenze professionali degli esperti ed, in seconda istanza, del giudice, in questa sede potendosi, in linea generale, osservare che detti materiali appaiono utili ai fini dell’indagine in quanto comunque appartenenti al vissuto del soggetto”.

Testo Completo:

Sentenza n. 31456 del 21 maggio 2008 - depositata il 29 luglio 2008

(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore E. G. Gironi)

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martedì 29 luglio 2008

Sezioni Unite: determinazione della pena da eseguire, custodia cautelare per altro reato ed ingiusta detenzione.

Corte Suprema di Cassazione
SENTENZA N. 31416 UD. 10/07/2008 - DEPOSITO DEL 25/07/2008

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ESECUZIONE - PENA DETENTIVA - CUSTODIA CAUTELARE E PER ALTRO REATO - RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE - COMPUTO EX ART. 657 C.P.P.
Le Sezioni unite hanno affermato che, nella determinazione della pena detentiva da eseguire, occorre computare il periodo di custodia cautelare subìto per altro reato, anche nel caso in cui, per detto periodo, il condannato abbia ottenuto l’equa riparazione per ingiusta detenzione.

Testo Completo:


Sentenza n. 31416 del 10 luglio 2008 - depositata il 25 luglio 2008

(Sezioni Unite Penali, Presidente F. Morelli, Relatore G. Ferrua

Vicenda processuale.

Con ordinanza 18-1-07 la Corte di appello di Palermo quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza di Cascio Rosario disponeva che, nel determinare per il predetto la pena detentiva da espiare in virtù della sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. emessa dalla citata Corte l’8-7-05 (irrevocabile il 18-1-07), si computasse la custodia cautelare da lui sofferta sine titulo dall’8-10-95 al 30-6-96 nel procedimento n. 434/94 R.G.N.R. del Tribunale di Sciacca; all’uopo rilevava che il beneficio della fungibilità, previsto dall’art. 657 c.p.p., era applicabile pur avendo il condannato per il medesimo periodo chiesto ed ottenuto (con provvedimento 18-4-00) riparazione per l’ingiusta detenzione: ciò in quanto l’art. 314 c. 4 c.p.p. non escludeva siffatta evenienza e potendo lo Stato esercitare l’azione giudiziaria per indebito arricchimento.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello, denunciando erronea applicazione degli artt. 314, 657 c.p.p. e precipuamente assumendo che dal disposto dell’art. 314 c. 4 c.p.p. si ricava il principio dell’alternatività tra l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e quello della fungibilità della pena, per cui va escluso che un soggetto possa conseguire entrambi i benefici; segnalava al contempo che la prospettiva di un’azione volta a recuperare la somma a suo tempo elargita rimaneva priva di incidenza, stante la mancata previsione delle modalità di attivazione dell’Avvocatura dello Stato e l’eventualità di sopravvenuta insolvenza da parte di colui che l’aveva ricevuta.

Il ricorso veniva assegnato alla 1° sezione penale ed il collegio, evidenziato che sulla questione prospettata sussiste contrasto giurisprudenziale, rimetteva gli atti alle Sezioni Unite.

Con memoria depositata il 16-6-07 il Cascio precisava che il presupposto per ottenere la fungibilità si era concretato circa 8 anni dopo la di lui domanda avanzata ex artt. 314, 315 c.p.p. e che la sentenza di condanna, alla cui pena si riferiva l’operata detrazione, era stata pronunciata e divenuta irrevocabile successivamente alla decisione avente ad oggetto la liquidazione della riparazione in suo favore.

Motivi della decisione.

Il quesito sottoposto all’esame di queste Sezioni Unite è dunque il seguente: se in sede di determinazione della pena da eseguire debba computarsi a norma dell’art. 657 c.p.p. il periodo di custodia cautelare subito per un altro reato, anche nel caso in cui il condannato abbia ottenuto, per il medesimo periodo, un’equa riparazione per ingiusta detenzione.

Al proposito si sono delineati nell’ambito della giurisprudenza di legittimità due fondamentali orientamenti, tra loro contrapposti.

Taluni precedenti, nel risolvere negativamente la questione, hanno rilevato: che dal dettato dell’art. 314 c. 4 c.p.p. (in base al quale il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della pena) si deduce l’ulteriore speculare principio secondo cui chi ha ottenuto la riparazione non può più beneficiare della fungibilità con riguardo ad un identico periodo di carcerazione senza titolo; che i due istituti sono alternativi, essendo quindi rimessa all’interessato la facoltà di scegliere quello di cui avvalersi; che occorre evitare un’ingiustificata disparità di trattamento fra chi, avendo ottenuto la fungibilità non potrebbe conseguire la riparazione e chi, invece, avendo ottenuto quest’ultima, avrebbe diritto anche alla fungibilità (Cass. 10-5-99 n. 3488 Rv. 214644; Cass. 16-1-04 n. 18966 Rv. 227968; Cass. 11-2-04 n. 10366 Rv. 227229).

In termini difformi è stato invece affermato che il comma 4 dell’art. 314 c.p.p. prevede esclusivamente il caso in cui il soggetto abbia usufruito della fungibilità e non già quello in cui egli abbia “scelto” la riparazione per cui solo il primo beneficio deve ritenersi preclusivo dell’altro; a sostegno di tale soluzione si è evidenziato che non è appropriato parlare di vera e propria facoltà di scelta in capo all’interessato in quanto i due istituti sono ontologicamente diversi, essendo la fungibilità affidata ai poteri di ufficio dell’organo dell’esecuzione mentre la richiesta di riparazione è interamente rimessa alla volontà del privato; infine è stato sottolineato che ogniqualvolta la possibile fungibilità si concretizzi dopo la scadenza del termine posto dall’art. 315 c. 1 c.p.p. si verterebbe in fattispecie di “rinuncia coatta” ad uno dei due benefici e di converso che la disparità di trattamento, paventata dal contrario indirizzo, è superabile con il rimedio dell’azione giudiziaria esercitabile dallo Stato per l’indebito arricchimento (Cass. 23-11-04 n. 358 Rv. 230723).

Una soluzione intermedia risulta infine adottata in una più recente pronuncia la quale, a fronte di conseguita riparazione, limita la possibilità di ottenere la detrazione del periodo di custodia sofferta senza titolo all’ipotesi in cui, quando l’interessato ebbe a promuovere l’istanza di cui all’art. 314 c.p.p., non era ancora applicabile la fungibilità; qualora invece il soggetto, “pur essendo attivabili entrambi le opzioni, abbia per propria scelta chiesto e conseguita la riparazione”, è stato negato che il medesimo possa invocare l’operatività dell’altro istituto (Cass. 5-12-07 n. 47001 Rv. 238489).

Queste Sezioni Unite ritengono di aderire all’impostazione adottata dalla sentenza n. 358 del 2004 la quale riconosce, in generale e senza individuare limitazioni, l’applicabilità del beneficio della fungibilità, anche se il condannato abbia ottenuto la riparazione per l’ingiusta detenzione: nel condividere tutte le ragioni poste a fondamento di detta pronuncia si svolgono altresì le seguenti considerazioni in ordine all’interpretazione degli artt. 657 e 314 c.p.p. ed al collegamento tra le due norme.

L’art. 657 c.p.p., in tema di esecuzione, disciplina il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo ed in particolare sancisce che “il pubblico ministero nel determinare la pena da eseguire computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per un altro reato”; quest’ultimo dettato non lascia adito a dubbi: il pubblico ministero, preso atto di un periodo di privazione della libertà a titolo di custodia cautelare deve operare la detrazione, unico limite essendo rappresentato dalla circostanza che la misura sia stata subita dopo la commissione del reato per il quale va determinata la pena da eseguire.

Il computo in questione costituisce dunque una regola imprescindibile e della stessa occorre tenere conto in materia di riparazione.

Nella evidenziata ottica va letto l’art. 314 c. 4 c.p.p il quale prevede che “il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena” e significativamente è stato affermato che il riferimento è da intendersi come se fosse detto “per quella parte che deve essere computata” (Cass. 20-11-01 n. 13322, non massimata sul punto); proprio tale disposizione vale a confermare l’inderogabilità di cui sopra e l’assenza di ogni discrezionalità nella applicazione della fungibilità: i due istituti non sono dunque alternativi e non può con riguardo ai medesimi parlarsi di scelta, essendo destinato a prevalere quello contemplato dall’art. 657 c.p.p.

Il contesto normativo, così interpretato, ha una ben precisa ratio la quale consiste nel privilegiare in via diretta il bene primario nonchè indisponibile della liberà, rendendo legittimo un determinato periodo di detenzione, che originariamente non lo era, così escludendo che l’interessato debba scontare la pena detentiva per un ulteriore pari lasso temporale. La fungibilità, costituendo una reintegrazione in forma specifica, ha invero una ben maggior valenza rispetto ad una riparazione di carattere patrimoniale, la quale “monetizzando il sacrificio di una libertà inviolabile ne costituisce un pallido rimedio” (testualmente: Corte Cost. sentenza n. 219/2008).

In realtà la possibilità di scelta in capo all’interessato, a cui fa riferimento la giurisprudenza che si disattende, va negata sotto un profilo, sia concettuale, sia sistematico: innanzitutto non è concepibile che il predetto abbia facoltà di surrogare la libertà con beni materiali e d’altro canto egli non può rinunciare ad avvalersi di un istituto la cui applicabilità è imposta al pubblico ministero; a ciò aggiungasi che la domanda di riparazione è soggetta ad un termine di decadenza (art. 315 c. 1 c.p.p.) e che può verificarsi, come nella fattispecie in esame, che le condizioni per la fungibilità non sussistano al momento in cui chi ha subito l’ingiusta detenzione è legittimato a chiedere la riparazione.

Né può sostenersi che il soggetto, chiedendo la riparazione, farebbe venir meno il dovere del pubblico ministero di effettuare la detrazione: una siffatta regola non è posta dall’art. 657 c.p.p. ed essa non è ricavabile dal principio contrario di cui all’art. 314 c. 4 c.p.p. poiché all’operatività di un determinato istituto non può introdursi un limite tratto dalla disciplina di un altro, diverso e non omogeneo.

È quindi indubbio che l’interessato il quale abbia ottenuto la riparazione esercitando tempestivamente la relativa domanda in un momento nel quale mancava il presupposto della fungibilità (ossia una sanzione detentiva da eseguire), ha diritto alla detrazione di cui all’art. 657 c. 2 c.p.p. quando intervenga successivamente una condanna definitiva ad una pena di durata non inferiore a quella della custodia cautelare sofferta; ma questo diritto va riconosciuto anche nel caso in cui la riparazione sia stata invocata e concessa, pur ricorrendo la possibilità dello scomputo: ciò perchè, come esposto in precedenza, non sarebbe configurabile una realizzata scelta o rinuncia da parte del condannato, bensì un’illegittima iniziale omissione del pubblico ministero.

Certamente l’avvenuto ristoro economico seguito dalla detrazione comporta un ingiustificato arricchimento del beneficiario ai danni dello Stato e pertanto quest’ultimo avrà la facoltà di esercitare l’apposita azione che ha carattere residuale e che non è esclusa dalla sussistenza di una causa di acquisizione, quale il provvedimento del giudice della riparazione (si veda Cass. civ. 9.2-87 n. 1334 Rv. 450809; Cass. civ. 30-7-99 n. 8311 Rv. 529145; Cass. civ 8-11-05 n. 21647 Rv. 586072); azione esperibile ai sensi dell’art. 2041 c.c. secondo le regole civilistiche, non rilevando la mancata previsione di particolari modalità per l’evenienza in questione e costituendo la sopravvenuta insolvenza del convenuto un fattore patologico sempre ipotizzabile in relazione all’esito di ogni esperienza giudiziaria.

A prevenire situazioni del genere deve ritenersi che il giudice della riparazione, nel caso in cui gli risulti che l’istante è stato condannato con sentenza non definitiva ad una pena superiore a quella della custodia cautelare sofferta, possa sospendere il procedimento in attesa che venga definito quello nell’ambito del quale è intervenuta detta sentenza. Nè varrebbe obiettare che secondo l’attuale codice di rito “il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione” (art. 2 c.p.p.) e che solo le questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza possono determinare una sospensione del processo (art. 3 c.p.p.); queste disposizioni concernono il processo penale in quanto volto all’accertamento della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato: esse di conseguenza non sono applicabili al procedimento di riparazione dell’ingiusta detenzione il cui giudice non ha poteri rapportabili a quelli tipici del giudice della cognizione e neppure dell’esecuzione (si veda: Cass. S.U. 13-12-95 n. 42 Rv. 203638; Cass. 13-4-00 n. 2391 Rv. 217691); si palesa invece attuabile per analogia, non essendo previsti divieti per il rito camerale, una sospensione per assoluta necessità ex art. 477 c.p.p., posto che i termini di durata ivi previsti sono meramente ordinatori (su tale ultimo punto: Cass. 17-2-97 n. 2233 Rv. 207353; Cass. 26-9-07 n. 39784 Rv. 238436).

D’altro canto la procedura de qua, pur svolgendosi dinnanzi al giudice penale, assume connotazioni proprie, anche di carattere civilistico, avendo essa ad oggetto un rapporto patrimoniale tra l’istante ed l’amministrazione del Tesoro, dovendosi altresì considerare che l’intervento del pubblico ministero nella medesima ha natura identica a quella di cui all’art. 70 c.p.p. (Cass. 13-11-07 n. 46777 Rv. 238363): pertanto potrebbe addivenirsi ad una sospensione anche alla luce della normativa processuale civilistica ai sensi dell’art. 337 c.p.c., onde evitare pronunce che vengano a trovarsi in rapporto di conflittualità dal punto di vista dei loro effetti pratici.

Al proposito è opportuno ricordare che entrambi i menzionati rimedi (l’azione volta ad eliminare il pregiudizio economico dello Stato e la sospensione del procedimento per la riparazione) sono stati indicati come praticabili in due pronunce della dalla Corte Costituzionale (sentenza 348/92 e ordinanza 191/02) le quali hanno fatto espresso richiamo alla giurisprudenza della Corte di cassazione che li aveva specificatamente previsti (Cass. 3-4-91 n. 1553 Rv. 187237).

In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: il pubblico ministero nel determinare la pena che un soggetto deve espiare è tenuto a computare a norma dell’art. 657 c.p.p. il periodo di custodia cautelare che il condannato ha subito per un altro reato, anche nel caso in cui il medesimo abbia per detto periodo ottenuto un’equa riparazione per l’ingiusta detenzione.

S’impone di conseguenza il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Roma, 10-7-08.

Il "pacchetto sicurezza"

Da altalex.com

Pacchetto sicurezza: il decreto legge pubblicato in Gazzetta
TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 23 maggio 2008, n. 92

Testo del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 122 del 26 maggio 2008), coordinato con la legge di conversione 24 luglio 2008, n. 125 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 6), recante: «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica».

(GU n. 173 del 25-7-2008)

Avvertenza:

- Il testo coordinato qui pubblicato e' stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, nonche' dall'art. 10, commi 2 e 3, del medesimo testo unico, al sono fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge, integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle modificate o richiamate nel decreto, trascritte nelle note.

Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui riportati.

Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.

Tali modifiche sono riportate in video tra i segni (( ... )).

A norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

Art. 1.

Modifiche al codice penale

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l'articolo 235 e' sostituito dal seguente:

«Art. 235 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero (( o il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea )) sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni.

(( Ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalita' di cui, rispettivamente, all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all'articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. ))

Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. (( In tal caso e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo»; ))

b) l'articolo 312 e' sostituito dal seguente:

«Art. 312 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero (( o il cittadino appartenente ad uno Stato membro )) dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della liberta' personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo. (( Ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalita' di cui, rispettivamente, all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all'articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.». ))

Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. (( In tal caso e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo»;

«b-bis) all'articolo 416-bis, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) al primo comma, le parole: «da cinque a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sette a dodici anni»;

2) al secondo comma, le parole: «da sette a dodici anni» sono sostituite dalle seguenti: «da nove a quattordici anni»;

3) al quarto comma, le parole: «da sette» sono sostituite dalle seguenti: «da nove» e le parole: «da dieci» sono sostituite dalle seguenti: «da dodici».

4) all'ottavo comma, dopo le parole: «comunque localmente denominate,» sono inserite le seguenti: «anche straniere,»;

5) la rubrica e' sostituita dalla seguente: «Associazioni di tipo mafioso anche straniere».

b-ter) l'articolo 495 e' sostituito dal seguente:

«Art. 495 (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identita' o su qualita' personali proprie o di altri). - Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identita', lo stato o altre qualita' della propria o dell'altrui persona e' punito con la reclusione da uno a sei anni.

La reclusione non e' inferiore a due anni:

1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;

2) se la falsa dichiarazione sulla propria identita', sul proprio stato o sulle proprie qualita' personali e' resa all'autorita' giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome»;

b-quater) dopo l'articolo 495-bis, e' inserito il seguente:

«Art. 495-ter (Fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualita' personali). -

Chiunque, al fine di impedire la propria o altrui identificazione, altera parti del proprio o dell'altrui corpo utili per consentire l'accertamento di identita' o di altre qualita' personali, e' punito con la reclusione da uno a sei anni.

Il fatto e' aggravato se commesso nell'esercizio di una professione sanitaria»;

b-quinquies) l'articolo 496 e' sostituito dal seguente:

«Art. 496 (False dichiarazioni sulla identita' o su qualita' personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identita', sullo stato o su altre qualita' della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, e' punito con la reclusione da uno a cinque anni».

«b-sexies) all'articolo 576, primo comma, e' aggiunto il seguente numero:

"5-bis) contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio"». ))

c) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:

1) al secondo comma, la parola: «cinque» e' sostituita dalla seguente: (( «sette»; ))

2) dopo il secondo comma, e' inserito il seguente:

«Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto e' commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.»;

3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;

(( c-bis) all'articolo 157, sesto comma, le parole: «589, secondo e terzo comma», sono sostituite dalle seguenti: «589, secondo, terzo e quarto comma». ))

d) al terzo comma dell'articolo 590, e' aggiunto il seguente periodo:

«Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e' della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime e' della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni»;

e) dopo l'articolo 590 e' inserito il seguente:

«Art. 590-bis (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'art. 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, (( terzo comma, ultimo periodo, )) le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.»;

f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 e' (( aggiunto )) il seguente:

«11-bis. (( l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova )) illegalmente sul territorio nazionale.»:

«f-bis» (( all'articolo 62-bis, dopo il secondo comma, e' aggiunto il seguente:

«In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non puo` essere, per cio' solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma.». ))

Art. 2.

Modifiche al codice di procedura penale

1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

(( «0a) all'articolo 51:

1) al comma 3-ter, dopo le parole: «Nei casi previsti dal comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e dai commi 3-quater e 3-quinquies»;

2) al comma 3-quater, il secondo periodo e' soppresso;

Ob) all'articolo 328:

1) al comma 1-bis le parole: «comma 3-bis» sono sostituite dalle seguenti: «commi 3-bis e 3-quater»;

2) il comma 1-ter e' abrogato;

3) e' aggiunto, in fine, il seguente comma:

1-quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-quinquies, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e le funzioni di giudice per l'udienza preliminare sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente»;. »)

a) all'articolo 260, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:

«3-bis. L'autorita' giudiziaria procede, altresi', anche su richiesta dell'organo accertatore, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorita' giudiziaria dispone il prelievo di uno o piu' campioni con l'osservanza delle formalita' di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.

3-ter. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, puo' procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorita' giudiziaria. La distruzione puo' avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell'autorita' giudiziaria. E' fatta salva la facolta' di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari.»;

(( «a-bis) nella rubrica dell'articolo 260 sono aggiunte le seguenti parole: «. Distruzione di cose sequestrate"». ))

b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole:

«nell'articolo 51, comma 3-bis» sono inserire le seguenti: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione (( antimafia»; ))

(( b-bis) all'articolo 381, comma 2, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

"m-ter) falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identita' o su qualita' personali proprie o di altri, prevista dall'articolo 495 del codice penale;

m-quater) fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualita' personali, previste dall'articolo 495-ter del codice penale»; ))

c) il comma 4 dell'articolo 449 e' sostituito dal seguente:

«4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza e' gia' stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il (( trentesimo )) giorno dall'arresto, salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini.»;

d) al comma 5 dell'articolo 449, il primo periodo e' sostituito dal seguente: «Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.». (( Al medesimo comma 5 dell'articolo 449, al secondo periodo, la parola «quindicesimo» e' sostituita dalla seguente:

«trentesimo»; ))

e) al comma 1 dell'articolo 450, le parole: «Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo,» sono sostituite dalle seguenti:

«Quando procede a giudizio direttissimo,»;

f) al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero puo' chiedere», sono sostituite (( dalle seguenti )) «salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede»;

g) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.

1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis e' formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.»;

h) all'articolo 455, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

«1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare e' stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.»;

i) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;

l) all'articolo 602, il comma 2 e' abrogato;

m) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono inserite le seguenti: (( «nonche' di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'articolo 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice,. ))

(( Art. 2-bis.

Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

1. L'articolo 132-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e' sostituito dal seguente:

«Art. 132-bis (Formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi). - 1. Nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi e' assicurata la priorita' assoluta:

a) ai processi relativi ai delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice e ai delitti di criminalita' organizzata, anche terroristica;

b) ai processi relativi ai delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale, ai delitti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonche' ai delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni;

c) ai processi a carico di imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede;

d) ai processi nei quali l'imputato e' stato sottoposto ad arresto o a fermo di indiziato di delitto, ovvero a misura cautelare personale, anche revocata o la cui efficacia sia cessata;

e) ai processi nei quali e' contestata la recidiva, ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale;

f) ai processi da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato.

2. I dirigenti degli uffici giudicanti adottano i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali e' prevista la trattazione prioritaria.». ))

(( Art. 2-ter.

Misure per assicurare la rapida definizione dei processi relativi a reati per i quali e' prevista la trattazione prioritaria

1. Al fine di assicurare la rapida definizione dei processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per i quali e' prevista la trattazione prioritaria, nei provvedimenti adottati ai sensi del comma 2 dell'articolo 132-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, come sostituito dall'articolo 2-bis del presente decreto, i dirigenti degli uffici possono individuare i criteri e le modalita' di rinvio della trattazione dei processi per reati commessi fino al 2 maggio 2006 in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'indulto, ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, e la pena eventualmente da infliggere puo' essere contenuta nei limiti di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge n. 241 del 2006.

Nell'individuazione dei criteri di rinvio di cui al presente comma i dirigenti degli uffici tengono, altresi', conto della gravita' e della concreta offensivita' del reato, del pregiudizio che puo' derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonche' dell'interesse della persona offesa.

2. Il rinvio della trattazione del processo non puo' avere durata superiore a diciotto mesi e il termine di prescrizione del reato rimane sospeso per tutta la durata del rinvio.

3. Il rinvio non puo' essere disposto se l'imputato si oppone ovvero se e' gia' stato dichiarato chiuso il dibattimento.

4. I provvedimenti di cui al comma 1 sono tempestivamente comunicati al Consiglio superiore della magistratura. Il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia valutano gli effetti dei provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici sull'organizzazione e sul funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, nonche' sulla trattazione prioritaria e sulla durata dei processi. In sede di comunicazioni sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, il Ministro della giustizia riferisce alle Camere le valutazioni effettuate ai sensi del presente comma.

5. La parte civile costituita puo' trasferire l'azione in sede civile. In tal caso, i termini per comparire, di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile, sono abbreviati fino alla meta' e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasferita.

Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale.

6. Nel corso dei processi di primo grado relativi ai reati in ordine ai quali, in caso di condanna, deve trovare applicazione la legge 31 luglio 2006, n. 241, l'imputato o il suo difensore munito di procura speciale e il pubblico ministero, se ritengono che la pena possa essere contenuta nei limiti di cui all'articolo 1, comma 1, della medesima legge n. 241 del 2006, nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto possono formulare richiesta di applicazione della pena ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, anche se risulti decorso il termine previsto dall'articolo 446, comma 1, del medesimo codice di procedura penale.

7. La richiesta di cui al comma 6 puo' essere formulata anche quando sia gia' stata in precedenza presentata altra richiesta di applicazione della pena, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero ovvero la stessa sia stata rigettata dal giudice, sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente. ))

Art. 3.

Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274

1. All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, dopo le parole: «derivi una malattia di durata superiore a venti giorni» sono inserite le seguenti: «, nonche' ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope,».

Art. 4.

Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni

(( 01. Alla tabella allegata all'articolo 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, al capoverso «art. 187» le parole: «commi 7 e 8» sono sostituite dalle seguenti: «commi 1 e 8» ))

1. All'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, lettera b), le parole: «l'arresto fino a tre mesi»

sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto fino a sei mesi»;

b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi»

sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se e' stata applicata la sospensione condizionale della pena, e' sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e' stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, (( secondo comma, del codice penale, )) salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro puo' essere affidato in custodia al trasgressore, (( salvo che risulti che abbia commesso in precedenza altre violazioni della disposizione di cui alla presente lettera. La procedura di cui ai due periodi precedenti si applica anche nel caso di cui al comma 2-bis.»;

«b-bis) il comma 2-bis e' sostituito dal seguente:

"2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 2 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dalla lettera c) del medesimo comma 2, e' disposto il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni ai sensi del Capo I, sezione II, del titolo VI, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. E' fatta salva in ogni caso l'applicazione delle sanzioni accessorie previste dagli articoli 222 e 223»; ))

c) dopo il comma 2-quater e' inserito il seguente:

«2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, puo' essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall'interessato o fino alla piu' vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.»;

d) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente:

«Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e' punito con le pene di cui al comma 2, lettera c);

(( e) al comma 7, il terzo periodo e' sostituito dal seguente: «La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalita' e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione»; ))

f) al comma 7, quinto periodo, le parole: «Quando lo stesso soggetto compie piu' violazioni nel corso di un biennio,», sono sostituite dalle seguenti: «Se il fatto e' commesso da soggetto gia' condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato,».

2. Al comma 1 dell'articolo 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «e' punito con l'ammenda da euro 1000 a euro 4000 e l'arresto fino a tre mesi», sono sostituite dalle seguenti: «e' punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto da tre mesi ad un anno»;

b) alla fine e' aggiunto il seguente periodo: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma 2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonche' quelle di cui al comma 2-quinquies del medesimo articolo 186.».

(( 2-bis. All'articolo 187, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, le parole: «ed e' disposto il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI,» sono sostituite dalle seguenti: «e si applicano le disposizioni dell'ultimo periodo del comma 1,». ))

3. All'articolo 189 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 6, le parole: «da tre mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a tre anni»;

b) al comma 7, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da un anno a tre anni».

4. All'articolo 222, comma 2, (( del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, )) e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al terzo periodo e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente.».

Art. 5.

Modifiche (( al testo unico di cui al )) decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

(( 01. All'articolo 12, comma 5 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Quando il fatto e' commesso in concorso da due o piu' persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o piu' persone, la pena e' aumentata da un terzo alla meta'". ))

1. All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, dopo il comma 5 e' inserito il seguente:

(( «5-bis. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, da' alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilita', ovvero lo cede allo stesso, anche in locazione, e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. )) La condanna con provvedimento irrevocabile (( ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, anche se e' stata concessa la sospensione condizionale della pena, )) comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attivita' di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina.».

(( 1-bis) all'articolo 13, comma 3, quinto periodo, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la parola:

«quindici» e' sostituita dalla seguente: "sette"».

1-ter. All'articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le parole: «con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato. ))

Art. 6.

Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

1. L'articolo 54 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e' sostituito dal seguente:

«Art. 54 (Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale). - 1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:

a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;

b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;

c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone (( preventivamente )) il prefetto.

2. Il sindaco, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell'interno-Autorita' nazionale di pubblica sicurezza.

3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica.

4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, (( adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, )) al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono (( preventivamente )) comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

(( 4-bis. Con decreto del Ministro dell'interno e' disciplinato l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumita' pubblica e alla sicurezza urbana. ))

5. Qualora i provvedimenti (( adottati dai sindaci ai sensi dei commi 1 e 4 comportino )) conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indice un'apposita conferenza alla quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.

(( 5-bis. Il Sindaco segnala alle competenti autorita', giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato. ))

6. In casi di emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessita' dell'utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco puo' modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche', d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4.

7. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 e' rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco puo' provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi.

8. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.

9. Nell'ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto puo' disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei compiti affidati, nonche' per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.

10. Nelle materie previste dai commi 1 e 3, nonche' dall'articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, puo' delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco puo' conferire la delega a un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.

11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto puo' intervenire con proprio provvedimento.

12. Il Ministro dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.

(( Art. 6-bis.

Modifiche all'articolo 16, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689

1. Il secondo comma dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e' sostituito dal seguente:

«Per le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze comunali e provinciali, la Giunta comunale o provinciale, all'interno del limite edittale minimo e massimo della sanzione prevista, puo' stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta, in deroga alle disposizioni del primo comma». ))

Art. 7.

(( Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio ))

(( 1. I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1 dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che possono realizzarsi anche per specifiche esigenze dei comuni diversi da quelli dei maggiori centri urbani, determinano i rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale della polizia municipale e provinciale e gli organi di Polizia dello Stato.

2. Con decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da osservare per assicurare, nel corso dello svolgimento di tali piani coordinati di controllo del territorio, le modalita' di raccordo operativo tra la polizia municipale, la polizia provinciale e gli organi di Polizia dello Stato». ))

(( Art. 7-bis.

Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio

1. Per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalita', ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio, puo' essere autorizzato un piano di impiego di un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate, preferibilmente carabinieri impiegati in compiti militari o comunque volontari delle stesse Forze armate specificatamente addestrati per i compiti da svolgere. Detto personale e' posto a disposizione dei prefetti delle province comprendenti aree metropolitane e comunque aree densamente popolate, ai sensi dell'articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121, per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nonche' di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. Il piano puo' essere autorizzato per un periodo di sei mesi, rinnovabile per una volta, per un contingente non superiore a 3.000 unita'.

2. Il piano di impiego del personale delle Forze armate di cui al comma 1 e' adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell'interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari.

3. Nell'esecuzione dei servizi di cui al comma l, il personale delle Forze armate non appartenente all'Arma dei carabinieri agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza e puo' procedere alla identificazione e alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto a norma dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l'incolumita' di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati, con esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria. Ai fini di identificazione, per completare gli accertamenti e per procedere a tutti gli atti di polizia giudiziaria, il personale delle Forze armate accompagna le persone indicate presso i piu' vicini uffici o comandi della Polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri. Nei confronti delle persone accompagnate si applicano le disposizioni dell'articolo 349 del codice di procedura penale.

4. Agli oneri derivanti dall'attuazione del decreto di cui al comma 2, stabiliti entro il limite di spesa di 31,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, comprendenti le spese per il trasferimento e l'impiego del personale e dei mezzi e la corresponsione dei compensi per lavoro straordinario e di un'indennita' onnicomprensiva determinata ai sensi dell'articolo 20 della legge 26 marzo 2001, n. 128, e comunque non superiore al trattamento economico accessorio previsto per le Forze di polizia, individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e della difesa, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando: quanto a 4 milioni di euro per l'anno 2008 e a 16 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze; quanto a 9 milioni di euro per l'anno 2008 e a 8 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia; quanto a 18,2 milioni di euro per l'anno 2008 e a 7,2 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

5. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio».))

Art. 8.

Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno

1. All'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni:

(( a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti:

«schedario dei veicoli rubati e allo schedario dei documenti d'identita' rubati o smarriti operanti presso il Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della predetta legge n. 121. Il personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza puo' altresi' accedere alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati, in relazione a quanto previsto dall'articolo 54, comma 5-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni»;

b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente:

«1-bis. Il personale di cui al comma 1 addetto ai servizi di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza puo' essere, altresi', abilitato all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti, di cui al comma 1, acquisiti autonomamente.».

1-bis. I collegamenti, anche a mezzo della rete informativa telematica dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), per l'accesso allo schedario dei documenti d'identita' rubati o smarriti, nonche' alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno di cui al comma 1, sono effettuati con le modalita' stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANCI. ))

(( Art. 8-bis.

Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno

1. Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto, per finalita' di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi, possono accedere ai dati e alle informazioni del Centro elaborazione dati di cui al primo comma dell'articolo 9 della legge 1° aprile 1981, n. 121, in deroga a quanto previsto dallo stesso articolo, limitatamente a quelli correlati alle funzioni attribuite agli stessi ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Detto personale puo' essere, altresi', abilitato all'inserimento presso il medesimo Centro dei corrispondenti dati autonomamente acquisiti.

2. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono individuati i dati e le informazioni di cui al comma 1 e sono stabilite le modalita' per effettuare i collegamenti per il relativo accesso.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono apportate le occorrenti modificazioni al regolamento, previsto dall'articolo 11, primo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378. ))

Art. 9.

Centri di identificazione ed espulsione

1. Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero: «centro di permanenza temporanea ed assistenza» sono sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di regolamento, dalle seguenti:

«centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione delle medesime strutture.

Art. 10.

(( Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575

1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole:

«nonche' ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

b) l'articolo 2 e' sostituito dal seguente:

«Art. 2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, anche se non vi e' stato il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.

2. Quando non vi e' stato il preventivo avviso e la persona risulti definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la notificazione della proposta il questore puo' imporre all'interessato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

Si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.

3. Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi della presente legge, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di cui al comma 1»;

c) all'articolo 2-bis:

1) al comma 1, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il direttore della Direzione investigativa antimafia»;

2) dopo il comma 6 e' aggiunto il seguente:

«6-bis. Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente. Le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa»;

d) all'articolo 2-ter:

«1) al secondo comma, dopo le parole: "A richiesta del procuratore della Repubblica," sono inserite le seguenti: "del direttore della Direzione investigativa antimafia,";

2) il primo periodo del terzo comma e' sostituito dal seguente:

"Con l'applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti e' instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica, nonche' dei beni che risultino essere frutto di attivita' illecite o ne costituiscano il reimpiego";

3) al sesto e al settimo comma, dopo le parole: "del procuratore della Repubblica," sono inserite le seguenti: "del direttore della Direzione investigativa antimafia,";

4) sono aggiunti in fine i seguenti commi:

"Se la persona nei cui confronti e' proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l'esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede.

La confisca puo' essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso.

Quando risulti che beni confiscati con provvedimento definitivo dopo l'assegnazione o la destinazione siano rientrati, anche per interposta persona, nella disponibilita' o sotto il controllo del soggetto sottoposto al provvedimento di confisca, si puo' disporre la revoca dell'assegnazione o della destinazione da parte dello stesso organo che ha disposto il relativo provvedimento.

Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con la sentenza che dispone la confisca il giudice dichiara la nullita' dei relativi atti di disposizione.

Ai fini di cui al comma precedente, fino a prova contraria si presumono fittizi:

a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonche' dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado;

b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione";

e) all'articolo 3-bis, settimo comma, dopo le parole: "su richiesta del procuratore della Repubblica" sono inserite le seguenti: ", del direttore della Direzione investigativa antimafia";

f) all'articolo 3-quater, ai commi 1 e 5, dopo le parole: "il procuratore della Repubblica" sono inserite le seguenti: "presso il tribunale del capoluogo del distretto, il direttore della Direzione investigativa antimafia";

g) all'articolo 10-quater, secondo comma, dopo le parole: "su richiesta del procuratore della Repubblica" sono inserite le seguenti: ", del direttore della Direzione investigativa antimafia"».))

(( Art. 10-bis.

Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356

1. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, dopo il comma 2-bis, sono inseriti i seguenti:

«2-ter. Nel caso previsto dal comma 2, quando non e' possibile procedere alla confisca in applicazione dellle disposizioni ivi richiamate, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilita' delle quali il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

2-quater. Le disposizioni del comma 2-bis si applicano anche nel caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dagli articoli 629, 630 e 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del codice penale, nonche' dall'articolo 12-quinquies del presente decreto e dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.». ))

Art. 11.

(( Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152

1. Alla legge 22 maggio 1975, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 18, quarto comma, le parole: «, anche in deroga all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55,» sono soppresse;

b) all'articolo 19, primo comma, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.

Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui al presente comma, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente». ))

(( Art. 11-bis.

Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327

1. All'articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, dopo il comma 3 e' aggiunto il seguente:

«3-bis Quando e' stata applicata una misura di prevenzione personale nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, la riabilitazione puo' essere richiesta dopo cinque anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale. La riabilitazione comporta, altresi', la cessazione dei divieti previsti dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575». ))

(( Art. 11-ter.

Abrogazione

1. L'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e' abrogato. ))

Art. 12.

Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12

1. Dopo l'articolo 110-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e' inserito il seguente:

(( «Art. 110-ter (Applicazione di magistrati in materia di misure di prevenzione). - 1. Il procuratore nazionale antimafia puo' disporre, nell'ambito dei poteri attribuitigli dall'articolo 371-bis del codice di procedura penale e sentito il competente procuratore distrettuale, l'applicazione temporanea di magistrati della Direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione patrimoniale. )) Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 110-bis.

2. Se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il Procuratore generale presso la corte d'appello puo', per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice competente.».

(( Art. 12-bis.

Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48

1. All'articolo 11 della legge 18 marzo 2008, n. 48, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

«1-bis. Le disposizioni di cui al comma 3-quinquies dell'articolo 51 del codice di procedura penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano solo ai procedimenti iscritti nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».))

(( Art. 12-ter.

Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115

1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 76, dopo il comma 4 e' aggiunto il seguente:

«4-bis. Per i soggetti gia' condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.

309, nonche' per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti»;

b) all'articolo 93, il comma 2 e' abrogato;

c) all'articolo 96, comma 1, le parole: «, ovvero immediatamente, se la stessa e' presentata in udienza a pena di nullita' assoluta ai sensi dell'articolo 179, comma 2, del codice di procedura penale,»

sono soppresse;

d) all'articolo 96, comma 2, dopo le parole: «tenuto conto» sono inserite le seguenti: «delle risultanze del casellario giudiziale,».))

(( Art. 12-quater.

Modifiche all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448.

1. All'articolo 25 delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, dopo il comma 2-bis e' aggiunto il seguente:
«2-ter. Il pubblico ministero non puo' procedere al giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato nei casi in cui cio' pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore.». ))

Art. 13.

Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.



martedì 15 luglio 2008

STUPEFACENTI - COLTIVAZIONE << DOMESTICA >> DESTINATA AD USO PERSONALE - IRRILEVANZA PENALE - ESCLUSIONE - INOFFENSIVITA' DELLA CONDOTTA - NOZIONE

da www.cortedicassazione.it

SENTENZA N. 28605 UD. 24/04/2008 - DEPOSITO DEL 10/07/2008

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STUPEFACENTI - COLTIVAZIONE DOMESTICA DESTINATA AD USO PERSONALE - IRRILEVANZA PENALE - ESCLUSIONE - INOFFENSIVITA' DELLA CONDOTTA - NOZIONE
Con due sentenze rese in pari data, le Sezioni Unite hanno chiarito che "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale", osservando in particolare che: (a) non è individuabile un "nesso di immediatezza tra la coltivazione e l'uso personale", ed è conseguentemente impossibile "determinare ex ante la potenzialità della sostanza drogante ricavabile dalla coltivazione" (cfr. Corte cost. n. 360 del 1995): la fattispecie in esame ha, infatti, natura di reato di pericolo presunto, che fonda sulle "esigenze di tutela della salute collettiva", bene giuridico primario che "legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto"; (b) il fatto che, anche dopo l'intervento normativo del 2006, gli artt. 73 co. 1-bis e 75 co. 1 d. P.R. n. 309 del 1990 non richiamino la condotta di <<>>, lascia ritenere, nel rispetto delle garanzie di riserva di legge e di tassatività, che il legislatore ha inteso "attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale"; (c) è arbitraria la distinzione tra <<>> ovvero <<>> e <<>>, non legittimata da alcun riferimento normativo, e superata dal rilievo che qualsiasi tipo di <<>> è caratterizzato dal dato essenziale e distintivo rispetto alla <<>> di "contribuire ad accrescere … la quantità di sostanza stupefacente esistente". A parere del Supremo Collegio, spetta inoltre al giudice "verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva"; peraltro, la condotta de qua è <<>> soltanto "se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile".
Testo Completo:

Sentenza n. 28605 del 24 aprile 2008 - depositata il 10 luglio 2008

(Sezioni Unite Penali, Presidente V. Carbone, Relatore A. Fiale)

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giovedì 10 luglio 2008

Arresto obbligatorio ed indebito trattenimento del cittadino extracomunitario: La Corte costituzionale respinge le questioni sollevate .

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SENTENZA N. 236

ANNO 2008



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE ”

- Ugo DE SIERVO ”

- Paolo MADDALENA ”

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituiti dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) –, promossi con ordinanze del 10 aprile 2006 dal Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Canicattì, del 6 maggio e del 5 settembre 2006 dal Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, del 13 luglio (nn. 2 ordinanze) 2007 dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, rispettivamente iscritte ai nn. 413 e 578 del registro ordinanze 2006 e ai nn. 540, 781 e 783 del registro ordinanze 2007, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nn. 32 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

1.− Con tre ordinanze di analogo tenore, il Tribunale di Agrigento, sezioni distaccate di Canicattì (r.o. n. 413 del 2006) e di Licata (r.o. n. 578 del 2006 e n. 540 del 2007), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 27 e 136 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituiti dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) –, nella parte in cui, rispettivamente, configurano la fattispecie delittuosa dell’indebito trattenimento del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato (comma 5-ter) e l’arresto obbligatorio del soggetto responsabile di tale delitto (comma 5-quinquies).

I rimettenti, chiamati a provvedere in merito alla convalida dell’arresto di cittadini extracomunitari inottemperanti all’ordine di allontanarsi dal territorio nazionale, emesso dal questore ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, hanno disposto la scarcerazione degli arrestati con motivazione fondata sulla carenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sussistenza del delitto contestato, e successivamente hanno sospeso i giudizi di convalida.

Le censure prospettate concernono in primo luogo l’asserito contrasto della previsione dell’arresto obbligatorio con i principi sanciti dagli artt. 27 e 13 Cost. A parere dei rimettenti, il legislatore ha imposto l’applicazione della “misura eccezionale” di limitazione provvisoria della libertà nei confronti di soggetti i quali «non si trova[no] generalmente nelle condizioni materiali di adempiere spontaneamente l’ordine di espulsione», per mancanza di documenti, mezzi finanziari e capacità di procurarsi un regolare mezzo di trasporto per fare ritorno in patria, e dunque a fronte di situazioni nelle quali l’ottemperanza all’ordine di allontanamento può risultare inesigibile.

I giudici a quibus si soffermano su tale aspetto del fenomeno, osservando come, in mancanza del trasferimento del cittadino extracomunitario fuori dal territorio dello Stato ad opera dell’autorità, e stante «l’impossibilità pratica da parte dello straniero di fare utilmente rientro da solo nel suo paese», non potrebbe «oggettivamente pretendersi che questi esegua spontaneamente un provvedimento a lui pregiudizievole». I rimettenti aggiungono l’ulteriore considerazione secondo cui l’ottemperanza all’ordine di espulsione potrebbe esporre il cittadino extracomunitario a conseguenze personali e giuridiche «perfino più gravi di quelle derivanti dalla sua permanenza illegale in Italia», ogni qual volta lo stesso, non potendo raggiungere il Paese d’origine, sia costretto a fare ingresso in altro Stato, con il rischio «certamente inesigibile» di subire ulteriori limitazioni della libertà.

In un solo caso (r.o. n. 540 del 2007) è prospettato anche il contrasto della normativa censurata con l’art. 10 Cost., per violazione degli obblighi di tutela delle vittime del traffico internazionale di esseri umani.

Le norme censurate, secondo i giudici a quibus, risulterebbero inoltre elusive della pronuncia della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del previgente art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, che stabiliva «identico congegno normativo». Al solo fine di ripristinare l’arresto obbligatorio, infatti, il legislatore avrebbe «surrettiziamente» trasformato la precedente fattispecie contravvenzionale in una previsione delittuosa, il cui rigore sanzionatorio non troverebbe giustificazione nel bilanciamento tra interesse protetto e inviolabilità della libertà personale.

I rimettenti segnalano quindi il contrasto della normativa censurata con il principio di uguaglianza, rilevando come tale normativa realizzi «una indebita e arbitraria disparità di trattamento tra la condotta incriminata e altri fatti per i quali, invece, malgrado la loro obiettiva maggiore gravità, l’arresto è reso solamente facoltativo in base ai principi generali dettati dal Codice di procedura penale».

Con riferimento alla rilevanza delle questioni, i giudici a quibus ne affermano la sussistenza, in quanto dall’accoglimento delle stesse discenderebbero effetti favorevoli in capo agli indagati.

1.1. – Con atti di identico tenore, in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso in via principale per la declaratoria di manifesta inammissibilità delle questioni e, in subordine, di non fondatezza.

Quanto al profilo preliminare, la difesa erariale evidenzia la carenza di motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni, affermata dai rimettenti con il generico riferimento agli «effetti favorevoli che deriverebbero, in capo all’indagato, dall’accoglimento delle questioni».

Nel merito, l’Avvocatura generale osserva come la peculiare gravità della condotta del soggetto il quale, espulso dal territorio dello Stato, continui deliberatamente a soggiornarvi, rappresenti una costante della disciplina in materia di immigrazione, essendo stato l’arresto obbligatorio previsto già per l’originaria fattispecie contravvenzionale introdotta dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo).

Con la novella recata dalla legge n. 271 del 2004, di conversione del decreto-legge n. 241 del 2004, il legislatore è intervenuto per rimodulare il sistema sanzionatorio, diversificando le possibili condotte offensive e attribuendo natura delittuosa a quelle più gravi.

All’esito di tale opera di risistemazione risultano infatti diversamente disciplinate l’ipotesi di ingresso illegale nel territorio dello Stato (equiparata all’omessa richiesta di permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, nonché ai casi di revoca o di annullamento del permesso), e quella di espulsione disposta per scadenza del permesso di soggiorno superiore ai sessanta giorni in mancanza di richiesta di rinnovo. Alla prima ipotesi, ictu oculi più grave, il legislatore ha riservato il trattamento più severo, stabilendo la pena della reclusione da uno a quattro anni, mentre ha confermato, per la seconda e meno grave fattispecie, la natura contravvenzionale e la sanzione dell’arresto da sei mesi ad un anno.

Ritiene, pertanto, la difesa erariale che le scelte operate dal legislatore sotto il profilo della dosimetria della pena risultino rispettose del limite della ragionevolezza.

Quanto, infine, alla «inesigibilità» dell’ottemperanza all’ordine di espulsione, prospettata dai rimettenti come conseguenza delle difficoltà che il cittadino extracomunitario incontrerebbe nel fare ritorno al Paese d’origine, l’Avvocatura generale si limita ad osservare che l’assunto non è comprensibile, e che, in ogni caso, «proverebbe troppo».

2. – Con due ordinanze di identico tenore (r.o. n. 781 e n. 783 del 2007) il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dalla legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio, anziché meramente facoltativo, per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto.

Entrambi i giudizi principali riguardano la convalida dell’arresto di cittadini extracomunitari inottemperanti all’ordine di allontanarsi dal territorio nazionale, emesso dal questore ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis, del testo unico in materia di immigrazione. Il giudice a quo riferisce che gli interessati – all’esito degli accertamenti dattiloscopici – risultano privi di precedenti penali e giudiziali, e mai segnalati alla polizia.

Il rimettente, che ha sospeso i giudizi prima di pronunciarsi sulla convalida, censura la previsione dell’arresto obbligatorio per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, evidenziando in premessa il carattere doppiamente eccezionale dei casi in cui la privazione della libertà personale avviene non solo al di fuori della riserva di giurisdizione, ma anche precludendo «ogni valutazione in ordine alla opportunità o necessità nel caso concreto di privare l’individuo della libertà personale». In tema di tutela della libertà personale, infatti, l’art. 13 Cost. consente la previsione della misura dell’arresto obbligatorio solo «in casi eccezionali di necessità ed urgenza», tra i quali non sarebbe annoverabile l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del testo unico in materia di immigrazione.

La scelta legislativa di rendere obbligatorio l’arresto in flagranza per una fattispecie, come quella in esame, punita con la reclusione da uno a quattro anni, e che si sostanzia nell’inottemperanza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa, risulterebbe priva di ragionevolezza (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 394 del 1994, n. 409 del 1989, n. 103 del 1982 e n. 26 del 1979), come dimostrerebbe il raffronto con analoghe fattispecie previste dall’ordinamento, alla luce dei criteri generali stabiliti nell’art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, nei quali trovano positiva specificazione i limiti configurati dalla Costituzione ai fini dell’adozione della eccezionale misura privativa della libertà.

L’arresto obbligatorio è infatti previsto dall’art. 380, comma 1, cod. proc. pen., per delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a venti anni e nel minimo a cinque anni, e, al comma 2 del medesimo art. 380, per reati, tassativamente indicati, le cui pene edittali sono in ogni caso significativamente superiori, nel massimo, a quella prevista per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998.

L’irragionevolezza della scelta legislativa, e la conseguente ingiustificata disparità di trattamento, deriverebbero proprio dall’avere il legislatore accomunato, ai fini della adozione della misura dell’arresto obbligatorio, fattispecie non comparabili sia avuto riguardo al trattamento sanzionatorio, sia sotto il diverso profilo dell’allarme sociale destato. A parere del rimettente, infatti, l’inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale non produce alcuna offesa diretta ad interessi costituzionalmente rilevanti per la collettività (si tratta di un “reato ostacolo”), e, per altro verso, nemmeno si può ritenere che il cittadino extracomunitario sia socialmente pericoloso in ragione dello stato di clandestinità o perché illegalmente presente nel territorio nazionale.

Il giudice a quo istituisce quindi un ulteriore raffronto tra il reato in esame e altre fattispecie che, a suo dire, non solo presentano struttura analoga al primo, ma anche risultano direttamente o potenzialmente lesive di interessi collettivi, e per le quali, invece, l’arresto in flagranza è soltanto facoltativo.

Il riferimento immediato è al reato di evasione, che si sostanzia nella violazione di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria, e «non di un semplice provvedimento amministrativo», da parte di un soggetto il quale, per il solo fatto di essere detenuto per altra causa, deve presumersi socialmente pericoloso.

Il raffronto prosegue con il richiamo al reato previsto dall’art. 9, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione), che punisce l’inosservanza agli obblighi e alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con la reclusione da uno a cinque anni, e per il quale il comma 3 della stessa disposizione prevede l’arresto soltanto facoltativo. Anche in questa ipotesi, evidenzia il rimettente, come nel reato di evasione, l’inosservanza riguarda un provvedimento dell’autorità giudiziaria e l’agente è soggetto la cui elevata pericolosità sociale è stata già accertata.

Allo stesso modo, l’art. 8, comma 1-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive), prevede l’arresto facoltativo dei soggetti già resisi responsabili di fatti di violenza nel corso di manifestazioni sportive, e dunque sicuramente pericolosi.

Quanto, infine, al trattamento riservato dal legislatore alle altre ipotesi di violazione o trasgressione di provvedimenti emessi dalla pubblica autorità (amministrativa o giurisdizionale), il rimettente richiama in via esemplificativa le fattispecie previste dagli artt. 388 e 650 del codice penale, nonché dagli artt. 9, comma 1, della legge n. 1423 del 1956 e 51 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), per sottolineare come, in tali ipotesi, l’arresto non sia previsto, neppure in forma facoltativa.

La disamina che precede renderebbe evidente, a parere del giudice a quo, che il legislatore ha trattato allo stesso modo situazioni affatto difformi, violando il principio di uguaglianza che, benché riferito testualmente ai «cittadini», deve ritenersi esteso agli stranieri, in quanto norma diretta alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 1969).

La dedotta lesione del principio sancito dall’art. 13, terzo comma, Cost., è argomentata previo richiamo ai rilievi già svolti, secondo cui il legislatore può stabilire restrizioni provvisorie alla libertà personale, al di fuori dell’intervento dell’autorità giudiziaria, solo «in casi eccezionali di necessità ed urgenza», laddove l’art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286 del 1998, che concerne la mancata osservanza dell’ordine di allontanamento disposto dal questore, configurerebbe un reato la cui struttura «non prevede né la lesione né la messa in pericolo diretta e immediata di un bene costituzionalmente protetto».

Secondo il rimettente, la ratio della previsione risiederebbe, infatti, «unicamente nella scelta del legislatore di assicurare, mediante la minaccia di sanzioni penali, l’ottemperanza ad un provvedimento amministrativo, e quindi di garantire l’effettività dei meccanismi di espulsione degli stranieri “indesiderati”».

Il giudice a quo si sofferma ancora sul profilo soggettivo dell’assenza di una condizione di pericolosità specifica dell’agente, evidenziando ulteriormente come, a fronte di soggetti mai condannati né giudicati per altri reati, non sia possibile formulare un giudizio di pericolosità sociale (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 64 del 1977 e n. 126 del 1972). La permanenza clandestina dello straniero in Italia non costituisce di per sé reato – essendo invece condizione che legittima l’espulsione –, né la formale assenza di un titolo legittimante l’ingresso nel territorio dello Stato può essere considerata in sé indice di specifica pericolosità del soggetto.

Il rimettente esamina quindi le conseguenze del censurato automatismo osservando come, in molti casi, gli organi di polizia siano costretti a procedere all’arresto di soggetti che non presentano alcun profilo di pericolosità sociale, e che sono talora perfino inseriti nel contesto locale di riferimento. In questi casi, rileva ancora il rimettente, l’adozione della misura precautelare prescinde dalla sua utilità (non apprezzabile né dalla polizia in fase di esecuzione, né dall’autorità giudiziaria in sede di convalida), senza trovare giustificazione nella gravità oggettiva del fatto ovvero nella pericolosità del soggetto agente.

Sarebbe da escludere, infine, secondo il giudice a quo, qualsiasi strumentalità tra l’obbligatorietà dell’arresto e l’esigenza di garantire l’ottemperanza al provvedimento di allontanamento: l’effetto di deterrenza, attraverso il quale il legislatore intende assicurare l’efficacia del procedimento di espulsione, può legittimamente essere rappresentata dalla sanzione penale inflitta dall’autorità giudiziaria all’esito di un giusto processo, non anche da una misura precautelare alla quale la Costituzione e la legislazione penale assegnano altra funzione (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004).

Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente evidenzia la maggiore ampiezza del controllo sull’operato della polizia giudiziaria che il giudice della convalida è chiamato ad effettuare nei casi di arresto facoltativo, come affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il controllo giudiziale si estende alla valutazione dei presupposti sostanziali della misura limitativa della libertà (gravità del fatto, pericolosità dell’agente), avuto riguardo agli elementi conosciuti o conoscibili al momento del fatto.

Pertanto, in caso di accoglimento della questione, sarebbe restituita al giudice della convalida la possibilità di sindacare l’adozione della misura precautelare sotto tutti i profili sopra indicati e, in definitiva, di non convalidare l’arresto in ipotesi di carenza di detti presupposti.

Ancora a proposito della rilevanza della questione, il giudice a quo ribadisce l’autonomia del giudizio di convalida rispetto al successivo giudizio direttissimo (obbligatorio nei casi di specie), e richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 54 del 1993, nella quale si è affermato che nel giudizio di convalida «la rilevanza della questione permane, trattandosi di stabilire se la liberazione dell’arrestato debba considerarsi conseguente all’applicazione dell’art. 391, settimo comma, ovvero più radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti».

2.1. – Nel giudizio introdotto con l’ordinanza r.o. n. 783 del 2007 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Nell’atto di intervento la difesa erariale ripropone gli argomenti già prospettati negli omologhi atti riguardanti i giudizi introdotti con le ordinanze emesse dal Tribunale di Agrigento, già sintetizzati al paragrafo 1.1.

Considerato in diritto

1. − Con tre distinte ordinanze di analogo tenore (r.o. n. 413 e n. 578 del 2006, n. 540 del 2007), il Tribunale di Agrigento, sezioni distaccate di Canicattì e di Licata, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 27 e 136 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituiti dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui, rispettivamente, configurano la fattispecie delittuosa dell’indebito trattenimento del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato (comma 5-ter) e l’arresto obbligatorio del soggetto responsabile di tale delitto (comma 5-quinquies).

Il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con le rimanenti ordinanze, di identico tenore (r.o. numeri 781 e 783 del 2007), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio, anziché meramente facoltativo, per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998.

2. – I giudizi possono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza per la parziale coincidenza dell’oggetto delle singole questioni e dei parametri evocati.

3. – Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze r.o. n. 413 del 2006 del Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Canicattì, e con le ordinanze r.o. numeri 578 del 2006 e 540 del 2007 dello stesso Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata.

Dai suddetti atti introduttivi emerge che i giudici rimettenti hanno ordinato l’immediata liberazione degli arrestati per carenza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla consumazione del reato loro contestato. Poiché i giudici a quibus hanno già escluso la possibilità di convalidare gli arresti eseguiti, l’esito del presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale non può spiegare alcun effetto nei giudizi principali. Da ciò discende la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, per difetto di rilevanza.

3.1. − La questione di legittimità costituzionale sollevata con le ordinanze r.o. numeri 781 e 783 del 2007 del Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, non è fondata.

3.2. − La previsione legislativa dell’arresto obbligatorio in flagranza di reato obbedisce all’intento del legislatore di contenere la discrezionalità della polizia giudiziaria in tutti i casi in cui lo stesso ritiene che sussistano indilazionabili esigenze di tutela della collettività. L’impianto del vigente codice di procedura penale è retto, nella materia de qua, da due criteri enunciati in modo distinto dalla legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale). Il primo ha natura quantitativa e si basa sulla gravità del reato, quale risulta dalle pene edittali, minima e massima, previste. Il secondo ha natura qualitativa e si basa su «speciali esigenze di tutela della collettività».

Al primo criterio si informa l’art. 380, comma 1, del codice di procedura penale, che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza per reati puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni. Al secondo criterio si informa il comma 2 dello stesso articolo, che contempla, accanto ai reati consumati, anche quelli tentati, per i quali, ai sensi dell’art. 56 del codice penale, la pena è diminuita da un terzo a due terzi. Tale diminuzione di pena porta il minimo e il massimo applicabile ai suddetti reati a valori molto vicini a quelli previsti dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998.

3.3. − Dal dato sopra esposto si desume che rilevano, per questa seconda fascia di reati, non i valori della pena in sé e per sé considerati, ma le particolari esigenze di tutela della collettività, che vengono apprezzate dal legislatore in rapporto ad una serie molteplice di elementi, storicamente mutevoli e frutto di scelte di politica criminale non censurabili in sede di controllo di legittimità costituzionale delle leggi, a meno che non si tratti di opzioni manifestamente irragionevoli.

La manifesta irragionevolezza può essere rilevata o a seguito di confronto con tertia comparationis omogenei o in esito alla constatazione di una contraddizione intrinseca della norma censurata.

Nella fattispecie oggetto del presente giudizio non ricorrono né la prima né la seconda ipotesi.

3.4. − Non la prima, poiché, come già s’è rilevato, l’ordinamento conosce previsioni di arresto obbligatorio in flagranza per reati, consumati o tentati, le cui pene, minime e massime, sono fissate dal legislatore su valori analoghi a quelli del reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato.

A puro titolo esemplificativo, in aggiunta a quanto detto sopra a proposito del reato tentato, si può citare l’art. 624-bis cod. pen., che prevede, per il furto in abitazione e per il furto con strappo, la reclusione da uno a sei anni. Tale fattispecie è stata inserita dall’art. 10, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), tra i casi di arresto obbligatorio in flagranza contemplati dall’art. 380, comma 2, cod. proc. pen.. Come nel caso oggetto del presente giudizio, si tratta di azioni delittuose che hanno provocato, in tempi successivi all’entrata in vigore del codice di procedura penale, un aumentato allarme sociale, cui il legislatore ha ritenuto di rispondere, tra l’altro, con la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza.

Quanto al rilievo concernente il rapporto tra l’arresto obbligatorio e la tenuità della pena edittale, questa Corte ha precisato, per un caso analogo, che «si tratta di una scelta di politica criminale di prevenzione sociale di spettanza del legislatore, il quale ha ritenuto di dover prescindere, nelle sue discrezionali determinazioni, dall’entità obiettiva del reato e della pena edittale» (sentenza n. 588 del 1989, conforme alla sentenza n. 211 del 1975; lo stesso principio esprime la sentenza n. 305 del 1996).

Più in generale, questa Corte ha messo in rilievo l’insufficienza delle censure di legittimità costituzionale basate su «una comparazione tra norme concernenti misure cautelari, condotta sul solo piano dell’offensività piuttosto che su quello, più ampio, delle complessive esigenze che possono essere assicurate attraverso le misure in questione» (sentenza n. 22 del 2007).

La scelta dell’arresto obbligatorio in flagranza per il reato oggetto dei giudizi a quibus è collegata ad una risposta politica che il Parlamento ha ritenuto di attuare, in questo come in altri casi, a fronte dell’aumentata percezione sociale della pericolosità di un fenomeno (nella specie, l’inottemperanza all’ordine di allontanamento conseguente ad un provvedimento di espulsione), ferma restando la garanzia del controllo del giudice sull’esistenza dei presupposti per l’applicazione della misura. Questa Corte infatti ha richiamato l’attenzione sul rilievo che «l’art. 385 cod. proc. pen. esclude in via generale l’arresto quando, tenuto conto delle circostanze, il fatto appare compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in presenza di una causa di non punibilità: e la stessa regola non può non valere, a fortiori, quando si tratti, come nella specie, di elemento negativo interno allo stesso fatto tipico» (sentenza n. 5 del 2004).

Non spetta a questa Corte esprimere valutazioni sull’efficacia della risposta repressiva penale rispetto a comportamenti antigiuridici che si manifestino nell’ambito del fenomeno imponente dei flussi migratori dell’epoca presente, che pone gravi problemi di natura sociale, umanitaria e di sicurezza. Al giudice delle leggi appartiene il compito di verificare che il legislatore non abbia introdotto ingiustificate disparità di trattamento all’interno di un quadro normativo storicamente dato.

Per i motivi esposti, si deve ritenere che la previsione dell’arresto obbligatorio si collochi sulla stessa linea che ha indotto il legislatore a previsioni simili in altri casi.

3.5. – Non è riscontrabile neppure, nella norma censurata, una contraddizione intrinseca, che ne riveli la manifesta irragionevolezza. Non vale in proposito richiamare la sentenza n. 223 del 2004 di questa Corte, giacché tale pronuncia di illegittimità costituzionale si è fondata sulla contraddizione palese insita in una misura precautelare che non avrebbe mai potuto avere uno sbocco processuale, attesa la natura contravvenzionale del reato previsto dalla legge allora vigente, e la connessa inapplicabilità di misure cautelari da parte del giudice, rimanendo pertanto «fine a se stessa». Dopo la modifica legislativa, che ha trasformato la fattispecie di «indebito trattenimento» da contravvenzione in delitto, punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni (e dunque suscettibile dell’applicazione di una misura cautelare personale), la contraddizione riscontrata dalla Corte nella citata pronuncia è venuta meno, fermi restando i rilievi sugli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie del complessivo sistema sanzionatorio già segnalati dalla sentenza n. 22 del 2007, rimediabili solo da un intervento organico del legislatore.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 27 e 136 Cost., dal Tribunale di Agrigento, sezioni distaccate di Canicattì e di Licata, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2008.