venerdì 30 maggio 2008

Da www.cortedicassazione.it : gli effetti della sentenza 85/08 della Corte costituzionale sui ricorsi pendenti innanzi la Corte di Cassazione.

IMPUGNAZIONI - RICORSO PER CASSAZIONE -
SENTENZAN. 85 DEL 2008 DELLA CORTE
COSTITUZIONALE -EFFETTI SUI RICORSI
PENDENTI IN CASSAZIONE
La Corte ha esaminato gli effetti sui ricorsi pendenti in
cassazione della declaratoria di incostituzionalità di cui
alla sentenza n. 85 del 2008 della Corte costituzionale,
distinguendo a seconda che il ricorso dell’imputato contro
la sentenza di proscioglimento di primo grado sia stato
proposto “indirettamente”, a seguito di ordinanza di
inammissibilità dell’appello ex art. 10, co. 2,
l. n. 46 del 2006 (ipotesi nella quale deve essere
pronunciato l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza
di inammissibilità, con restituzione degli atti al giudice
di appello per la celebrazione del giudizio
di secondo grado), ovvero “direttamente” dopo
l’entrata invigore della nuova disciplina a regime:
in questo secondo caso,il ricorso deve essere trattato
come ricorso immediato e, in presenza di motivi
ex art. 606 lett. d) ed e) c.p.p., esso deve essere
convertito in appello (art. 569, comma 3, c.p.p.),
mentre, in caso di annullamento con rinvio per altri
motivi, deve disporsi la trasmissione degli atti al
giudice competente per l’appello ai sensi dell’art. 569,
comma 4, c.p.p..

Testo Completo:

Sentenza n. 19782 del 29 aprile 2008 -
depositata il 16 maggio 2008

(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore G. Canzio)

TESTO COMPLETO























mercoledì 28 maggio 2008

Laboratorio applicativo : la cross examination .

LA CROSS EXAMINATION
OPPOSIZIONI, DOMANDE, EFFETTI

Laboratorio applicativo
a cura dell' Avv. Giuliano Valer
Foro di Trento
g.valer@tin.it

Roma, 17 maggio 2008
XI CORSO NAZIONALE
DI
FORMAZIONE SPECIALISTICA DELL’AVVOCATOPENALISTA


link al documento

martedì 27 maggio 2008

DECRETO-LEGGE 23 maggio 2008, n. 92, ovvero il cd "pacchetto sicurezza"

DECRETO-LEGGE 23 maggio 2008, n. 92

Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.

(G.U. n. 122 del 26-5-2008)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta
la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte
ad apprestare un quadro normativo piu' efficiente per contrastare
fenomeni di illegalita' diffusa collegati all'immigrazione illegale e
alla criminalita' organizzata, nonche' norme dirette a tutelare la
sicurezza della circolazione stradale in relazione all'incremento degli
incidenti stradali e delle relative vittime;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 maggio 2008;

Sulla
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro
dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri
delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e
per la pubblica amministrazione e l'innovazione;

Emana

il seguente decreto-legge:

Art. 1.
Modifiche al codice penale

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l'articolo 235 e' sostituito dal seguente:

«Art.
235 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il
giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal
territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro
dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla
legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo
superiore ai due anni.
Il trasgressore dell'ordine di espulsione od
allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da
uno a quattro anni»;

b) l'articolo 312 e' sostituito dal seguente:

«Art.
312 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il
giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal
territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro
dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla
legge, quando lo straniero o il cittadino di Stato dell'Unione europea
sia condannato ad una pena restrittiva della liberta' personale per
taluno dei delitti preveduti da questo titolo.
Il trasgressore
dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e'
punito con la reclusione da uno a quattro anni.»;

c) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:

1) al secondo comma, la parola: «cinque» e' sostituita dalla seguente: «sei»;
2) dopo il secondo comma, e' inserito il seguente:
«Si
applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto e'
commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi
dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.»;
3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;

d) al terzo comma dell'articolo 590, e' aggiunto il seguente periodo:

«Nei
casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto
e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi
dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto
sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le
lesioni gravi e' della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per
le lesioni gravissime e' della reclusione da un anno e sei mesi a
quattro anni.»;

e) dopo l'articolo 590 e' inserito il seguente:

«Art.
590-bis (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di
cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo
590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da
quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano
sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze
aggravanti.»;

f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 e' inserito il seguente:

«11-bis. Se il fatto e' commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale.».

Art. 2.
Modifiche al codice di procedura penale

1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 260, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:

«3-bis.
L'autorita' giudiziaria procede, altresi', anche su richiesta
dell'organo accertatore alla distruzione delle merci di cui sono
comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la
commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero
quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la
sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito
di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente
la violazione dei predetti divieti. L'autorita' giudiziaria dispone il
prelievo di uno o piu' campioni con l'osservanza delle formalita' di
cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.
3-ter.
Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia
giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione
del sequestro, puo' procedere alla distruzione delle merci contraffatte
sequestrate, previa comunicazione all'autorita' giudiziaria. La
distruzione puo' avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva
diversa decisione dell'autorita' giudiziaria. E' fatta salva la
facolta' di conservazione di campioni da utilizzare a fini
giudiziari.»;

b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole:

«nell'articolo
51, comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione
ai procedimenti di prevenzione»;

c) il comma 4 dell'articolo 449 e' sostituito dal seguente:

«4.
Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza e' gia' stato
convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in
udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto, salvo che cio'
pregiudichi gravemente le indagini.»;

d) al comma 5
dell'articolo 449, il primo periodo e' sostituito dal seguente:
«Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo,
salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della
persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.»;

e)
al comma 1 dell'articolo 450, le parole: «Se ritiene di procedere
a giudizio direttissimo,» sono sostituite dalle seguenti:
«Quando procede a giudizio direttissimo,»;

f)
al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero
puo' chiedere», sono sostituite dalla seguente: «salvo che
cio' pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero
chiede»;

g) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis.
Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai
termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta
giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale
la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia
cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.
1-ter.
La richiesta di cui al comma 1-bis e' formulata dopo la definizione del
procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei
termini per la proposizione della richiesta di riesame.»;

h) all'articolo 455, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

«1-bis.
Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la
richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare e' stata
revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza.»;

i) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;

l) all'articolo 602, il comma 2 e' abrogato;

m)
all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono
inserite le seguenti: «nonche' di cui agli articoli 423-bis,
600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale,».

Art. 3.
Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274

1.
All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274, dopo le parole: «derivi una malattia di durata
superiore a venti giorni» sono inserite le seguenti: «,
nonche' ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo
comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di
ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni,
ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o
psicotrope,».

Art. 4.
Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni

1.
All'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, lettera b), le parole: «l'arresto fino a tre mesi»
sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto fino a sei mesi»;
b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi»
sono
sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un
anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la
sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta
delle parti, anche se e' stata applicata la sospensione condizionale
della pena, e' sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e'
stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice
penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al
reato. Il veicolo sottoposto a sequestro puo' essere affidato in
custodia al trasgressore. La stessa procedura si applica anche nel caso
di cui al comma 2-bis.»;
c) dopo il comma 2-quater e' inserito il seguente:
«2-quinquies.
Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il
veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, puo'
essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall'interessato o fino
alla piu' vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o
al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese
per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del
trasgressore.»;
d) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente:
«Salvo
che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto
dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e' punito con
le pene di cui al comma 2, lettera c)»;
e) al comma 7, terzo
periodo, le parole: «Dalle violazioni conseguono» sono
sostituite dalle seguenti: «La condanna per il reato di cui al
periodo che precede comporta»;
f) al comma 7, quinto periodo,
le parole: «Quando lo stesso soggetto compie piu' violazioni nel
corso di un biennio,», sono sostituite dalle seguenti: «Se
il fatto e' commesso da soggetto gia' condannato nei due anni
precedenti per il medesimo reato,».
2. Al comma 1 dell'articolo 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)
le parole: «e' punito con l'ammenda da euro 1000 a euro 4000 e
l'arresto fino a tre mesi», sono sostituite dalle seguenti:
«e' punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto
da tre mesi ad un anno»;
b) alla fine e' aggiunto il seguente
periodo: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma
2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonche' quelle di cui al comma
2-quinquies del medesimo articolo 186.».
3. All'articolo 189
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 6,
le parole: «da tre mesi a tre anni» sono sostituite dalle
seguenti: «da sei mesi a tre anni»;
b) al comma 7, le
parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle
seguenti: «da un anno a tre anni».
4. All'articolo 222,
comma 2, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto
di cui al terzo periodo e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza
alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da
soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il
giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca
della patente.».

Art. 5.
Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

1.
All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive
modificazioni, dopo il comma 5 e' inserito il seguente:
«5-bis.
Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque cede a titolo
oneroso un immobile di cui abbia la disponibilita' ad un cittadino
straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato e'
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con
provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo
che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e
destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla
vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al
potenziamento delle attivita' di prevenzione e repressione dei reati in
tema di immigrazione clandestina.».

Art. 6.
Modifica
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza
statale

1. L'articolo 54 del testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, e' sostituito dal seguente:

«Art. 54
(Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale). - 1.
Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:
a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;
b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;
c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.
2.
Il sindaco, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre
ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze
di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento
impartite dal Ministro dell'interno - Autorita' nazionale di pubblica
sicurezza.
3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende,
altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e
agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di
leva militare e di statistica.
4. Il sindaco, quale ufficiale del
Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali
dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita'
pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente
comma sono tempestivamente comunicati al prefetto anche ai fini della
predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
5.
Qualora i provvedimenti di cui ai commi 1 e 4 possano comportare
conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni
contigui o limitrofi, il prefetto indice un'apposita conferenza alla
quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della
provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati
dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.
6. In casi di
emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o
acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si
verifichino particolari necessita' dell'utenza o per motivi di
sicurezza urbana, il sindaco puo' modificare gli orari degli esercizi
commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche',
d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle
amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli
uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti
di cui al comma 4.
7. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4
e' rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine
impartito, il sindaco puo' provvedere d'ufficio a spese degli
interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui
siano incorsi.
8. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.
9.
Nell'ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto
puo' disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei
compiti affidati, nonche' per l'acquisizione di dati e notizie
interessanti altri servizi di carattere generale.
10. Nelle materie
previste dai commi 1 e 3, nonche' dall'articolo 14, il sindaco, previa
comunicazione al prefetto, puo' delegare l'esercizio delle funzioni ivi
indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano
costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco puo'
conferire la delega a un consigliere comunale per l'esercizio delle
funzioni nei quartieri e nelle frazioni.
11. Nelle fattispecie di
cui ai commi 1, 3 e 4, anche nel caso di inerzia del sindaco o del suo
delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il
prefetto puo' intervenire con proprio provvedimento.
12. Il Ministro
dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle
funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.».

Art. 7.
Collaborazione della polizia municipale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio

1.
I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1
dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, determinano i
rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale
della polizia municipale e gli organi di Polizia dello Stato. Per le
stesse finalita', con decreto da adottare entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, il Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e
delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da
osservare per assicurare, nel caso di interventi in flagranza di reato,
l'immediata denuncia agli organi di Polizia dello Stato per il
prosieguo dell'attivita' investigativa.

Art. 8.
Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno

1.
All'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, sono
apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante»
sono
sostituite dalle seguenti: «schedario dei veicoli rubati o
rinvenuti e allo schedario dei documenti d'identita' rubati o smarriti
operanti»;

b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente:

«1-bis.
Il personale di cui al comma 1 puo' essere, altresi', abilitato
all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei
dati di cui al comma 1 acquisiti autonomamente.».

Art. 9.
Centri di identificazione ed espulsione

1.
Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero:
«centro di permanenza temporanea ed assistenza» sono
sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di
regolamento, dalle seguenti:
«centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione delle medesime strutture.

Art. 10.
Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575

1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modifiche:

a) l'articolo 2 e' sostituito dal seguente:

«Art.
2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono
essere proposte dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore
della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove
dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione
investigativa antimafia, anche se non vi e' stato il preventivo avviso,
le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di
dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.
2.
Quando non vi e' stato il preventivo avviso e la persona risulti
definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la
notificazione della proposta il questore puo' imporre all'interessato
sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui
all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;
si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.»;

b)
all'articolo 2-bis, comma 1, dopo le parole: «Il procuratore
della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale»;

c) all'articolo 2-ter, sono apportate le seguenti modifiche:

1)
al secondo comma, dopo le parole: «A richiesta del procuratore
della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale,»;
2) al sesto comma, dopo le
parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica»
sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica
presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati
previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura
penale,»;
3) al settimo comma, dopo le parole: «su
proposta del procuratore della Repubblica» sono inserite le
seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale
del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo
51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

d) all'articolo 3-bis sono apportate le seguenti modifiche:

1)
al settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore
della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale,»;

e) all'articolo 3-quater sono apportate le seguenti modifiche:

1)
al comma 1, dopo le parole: «il Procuratore della
Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il Procuratore
della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in
relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice
di procedura penale»;
2) al comma 5, dopo le parole: «il
procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «,
il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale»;

f) all'articolo
10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del
procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti «,
del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale».

Art. 11.
Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152

1.
All'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, e'
aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In deroga a quanto
previsto dall'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, nei casi
previsti dal presente comma competente a richiedere le misure di
prevenzione e' anche il Procuratore della Repubblica presso il
tribunale nel cui circondario dimora la persona.».

Art. 12.
Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12

1. Dopo l'articolo 110-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e' inserito il seguente:

«Art.
110-ter (Applicazione di magistrati in materia di misure di
prevenzione). - 1. Il Procuratore nazionale antimafia puo' disporre,
nell'ambito dei poteri attribuiti in materia di misure di prevenzione e
previa intesa con il competente procuratore distrettuale,
l'applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale
antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli
procedimenti di prevenzione. Si applica, in quanto compatibile,
l'articolo 110-bis.
2. Se ne fa richiesta il procuratore
distrettuale, il Procuratore generale presso la Corte d'appello puo',
per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero
per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un
magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice
competente.».

Art. 13.
Entrata in vigore

1.
Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e
sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il
presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella
Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E'
fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi' 23 maggio 2008

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Maroni, Ministro dell'interno
Alfano, Ministro della giustizia
Matteoli, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione

Visto, il Guardasigilli: Alfano





Minorenni e mandato d'arresto europeo

Cassazione – Sezione sesta – sentenza 22 maggio - 26 maggio 2008, n. 21005

Presidente Agrò – Relatore Conti

Pm Selvaggi – conforme

Fatto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma disponeva la consegna di A..S. all'autorità giudiziaria della Repubblica di Romania (Tribunale di prima istanza di Craiova), che aveva emesso nei suoi confronti, in data 14 febbraio 2008, un mandato di arresto europeo (MAE) fondato sulla sentenza definitiva di condanna alla pena di anni due di reclusione del 21 dicembre 2006 del medesimo Tribunale di Craiova per il reato di furto aggravato continuato in danno di esercizi commerciali (previsto e punito dagli artt. 208, 209, 41 e 99 c.p. rumeno), commesso tra il 10 settembre e l'8 ottobre 2003, cui aveva fatto seguito un ordine di carcerazione in data 5 marzo 2007.
La S. , a seguito di segnalazione Interpol, veniva tratta in arresto in data 12 febbraio 2008 da personale della Casa circondariale femminile di Roma-Rebibbia, ove la stessa era ristretta per altra causa. L'arresto veniva convalidato in data 13 febbraio 2008 dal Presidente della Corte di appello di Roma, che contestualmente applicava alla predetta la custodia cautelare in carcere, ravvisandosi il pericolo di fuga.
Con la citata sentenza, la Corte territoriale riteneva sussistenti tutti i presupposti previsti dalla legge n. 69 del 2005 per la consegna, atteso, in particolare, che i fatti descritti nel MAE corrispondevano alla fattispecie di furto aggravato continuato prevista dall'ordinamento italiano (ex artt.. 625 e 81 cpv. c.p.), e che la pena detentiva inflitta era non inferiore a quattro mesi (art. 7 comma 4 della legge).
Si osservava inoltre che risultava rispettata la disposizione dell'art. 18 comma 1, lett. i), della predetta legge, circa la necessità che l'ordinamento dello Stato di emissione preveda per i minorenni l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere, dato in base all'art. 99 cod. peno rumeno l'imputato avente una età compresa tra i 14 e i 18 anni può essere ritenuto penalmente responsabile solo se provata la sua "capacità di discernimento", accertamento che nella specie doveva presumersi essere avvenuto.
Ricorre per cassazione la S. , che denuncia di persona, con un unico motivo, la violazione degli artt. 1 e 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69.
La ricorrente premette: che i fatti di furto ascrittile erano stati commessi quando essa aveva appena compiuto i quattordici anni; che era stata costretta a fare ciò dal padre; e che il processo si era svolto in sua contumacia, essendosi trasferita in Italia nel dicembre del 2008.
Osserva poi in diritto che in base all'art. 18 della legge n. 69 del 2005 è inibita la consegna del minorenne qualora nell'ordinamento dello Stato di emissione non sia previsto l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere.
Nella specie, data la procedura contumaciale, tale accertamento non era stato affatto espletato, sicché l'affermazione della Corte di appello secondo cui esso doveva ritenersi essere avvenuto, semplicemente perché l'art. 99 cod. pen. rumeno collega la responsabilità penale del minore alla sua “capacità di discernimento", appare evidentemente apodittica.
Infatti, non solo essa non aveva avuto modo di partecipare al processo, ma questo era stato condotto da un Tribunale ordinario, inidoneo a svolgere indagini sulla personalità e maturità di minori, né era stata espletata alcuna perizia o acquisito alcun altro mezzo di prova idoneo all'accertamento della sua maturità psichica.
Tutto ciò concretava una lesione dei principi affermati in tema di diritti fondamentali e di giusto processo dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, espressamente richiamati dall'art. 1 della legge n. 69 del 2005.
Infine, nessuna garanzia era stata chiesta all'autorità rumena circa la sua possibilità di ottenere un nuovo processo una volta consegnata.
Nell'imminenza dell'odierna udienza, il difensore d'ufficio, avv. Vincenzo Cilia, ha depositato memoria difensiva, con la quale si ribadiscono. le doglianze contenute nel ricorso

Diritto

Il ricorso è fondato.
Dalla sentenza contumaciale in data 21 dicembre 2006 del Tribunale di Craiova, posta a fondamento del MAE, e dagli altri atti trasmessi dall'autorità giudiziaria rumena, non emerge che nei confronti della S….., poco più che quattordicenne al momento dei fatti, sia stata svolta alcuna indagine, anche nella fase precedente al dibattimento, ai fini della imputabilità della minore.
Tale carenza di accertamento, determinando la mancanza di imputabilità un caso di rifiuto alla consegna, a norma dell'art. 18 comma 1, lett. i), della legge 22 aprile 2005, n. 69, avrebbe dovuto essere rilevata dalla Corte di appello, che avrebbe peraltro potuto richiedere le necessarie informazioni all'autorità giudiziaria rumena, posto che la norma richiamata, con l'espressione “effettuati i necessari accertamenti", appare chiaramente rivolgersi all'iniziativa dell'autorità giudiziaria italiana; la quale, se difficilmente può svolgere direttamente, ora per allora, una simile indagine, specie quando i fatti commessi dal minore risalgano a molto tempo addietro, può e deve certamente basarsi sui dati rappresentati al riguardo dall'autorità giudiziaria dello Stato di emissione.
Nella sentenza impugnata ci si limita invece all'apodittica affermazione per cui l'accertamento circa la "capacità di discernimento" della minore (imposto dall'art. 99 del cod. pen. rumeno nei procedimenti a carico di imputati compresi nella fascia di età tra i quattordici e i sedici anni), nella specie "doveva presumersi essere avvenuto"; senza, come detto, che da alcun atto trasmesso dall'autorità rumena ciò possa essere desunto.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, costituendo il punto circa l'imputabilità della minore S. al momento dei fatti un presupposto imprescindibile ai fini dell'accoglimento della domanda di consegna, stante il richiamato disposto dell'art. 18 comma 1, lett. i), l. n. 69 del 2005.
Non può essere tuttavia disposto il rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Roma, perché deve ritenersi che la procedura in esame, quando coinvolga un minore all'epoca dei fatti, appartenga alla competenza funzionale della sezione per i minorenni della corte di appello.
Infatti, la richiamata previsione dell'art. 18 comma 1, lett. i), l. n. 69 del 2005, relativa ai "necessari accertamenti" che devono essere svolti riguardo alla imputabilità del minore, implica inderogabilmente la competenza del giudice specializzato in materia, secondo i principi espressi, tra l'altro, dalla sentenza della Corte cost. n. 222 del 1983, che ha posto in risalto l'esigenza che gli accertamenti sulla complessa dimensione minorile debbano sempre essere rimessi alla valutazione di un giudice specializzato (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), che abbia strumenti tecnici e capacità professionali per vagliare adeguatamente la personalità del minore.
Più in generale, deve ritenersi che la speciale competenza del giudice specializzato minorile sia imposta, anche nella materia dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere (compresa la procedura di estradizione passiva), dalla previsione dell'art. 58 ord. giud., che demanda alla sezione per i minorenni della corte di appello (composta, oltre che dai magistrati togati, da due esperti laici) "tutte le funzioni previste dal codice di procedura penale a carico di imputati minorenni"; dovendosi considerare irrilevante, ai fini dell'ambito di applicazione di questa generale previsione, che, per una scelta di mera allocazione della disciplina normativa, la materia relativa al MAE sia stata contenuta in una legge ad hoc e non nell'ambito del codice di rito penale.
Ciò del resto è stato ritenuto, sia pure implicitamente, dalla sentenza della VI sez. di questa Corte, 2 marzo 2006, Leka, che ha pronunciato su un ricorso avverso una sentenza della sezione per i minorenni di una corte di appello in tema di MAE, e, esplicitamente, quanto alla materia estradizionale, da Sez. I, 25 febbraio 1983, Sciacca.
Non può invece essere condivisa l'affermazione contenuta nella sentenza della VI sez., 7 ottobre 2005, Baran (avallata, sotto il profilo interpretativo, da Sez. VI, 14 maggio 2007, Vasiliu Gheorghe, che pure ha sollevato sul punto questione di legittimità costituzionale), la quale, decidendo su un ricorso avverso una sentenza di una corte di appello in composizione ordinaria favorevole alla estradizione, ha affermato che "la materia estradizionale si connota tradizionalmente per caratteri tecnico-giuridici che non riguardano minimamente le esperienze professionali proprie (...) della componente laica dell'organo collegiale specializzato".
Al contrario, anche in materia estradizionale (oltre che, più specificamente, di MAE), trattandosi di minori, l'autorità giudiziaria italiana ha il dovere di svolgere accertamenti sulla esistenza di istituti dell'ordinamento dello stato richiedente che assicurino una specifica tutela della condizione dell'imputato minorenne, anche sotto il profilo della valutazione della sua imputabilità (v. per tutte Sez. VI, 19 gennaio 2004, Spika, che richiama, oltre a fonti sovrannazionali, Corte cost., sento n. 120 del 1987).
Di conseguenza, un'analisi siffatta deve essere necessariamente svolta da un giudice specializzato nella materia minorile, giacché sia l'adeguatezza delle previsioni normative sia il rispetto di esse da parte dell'autorità giudiziaria estera implicano tali particolari competenze.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Presidente della Corte di appello di Roma, che assumerà le opportune iniziative, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 69 del 2005, investendo la sezione per i minorenni della medesima Corte.
Essendo, poi, la presente procedura viziata ab origine dalla investitura della Corte di appello di Roma in composizione ordinaria, nel cui ambito sono stati adottati i provvedimenti i materia di libertà personale, deve essere disposta l'immediata scarcerazione della S. , se non detenuta per altra causa.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui agli artt. 626 c.p.p. e 22 comma 5 della legge 22 aprile 2005, n. 69.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Presidente della Corte di appello di Roma per l'ulteriore corso.
Ordina l'immediata liberazione della S. se non detenuta per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui agli artt. 626 c.p.p. e 22 comma 5 della legge n. 69 del 2005.

lunedì 26 maggio 2008

INTERCETTAZIONI , DIVERSITA’ DEL FATTO-REATO – INUTILIZZABILITA’

da http://penalpolis.splinder.com

si ringrazia l'avv. Guido De Maio per la collaborazione
INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI – DECRETI AUTORIZZATIVI EMESSI IN DIVERSO PROCEDIMENTO PENALE E PER FATTISPECIE DELITTUOSE DIFFERENTI E DIVERSE DA QUELLE IN ESAME – DIVERSITA’ DEL FATTO-REATO – INUTILIZZABILITA’

Tribunale del Riesame di Napoli, XII sez., Pres. Teresa Areniello, Est. Massimo Perrotti, ord. 4-14/4/2008, proc. n° 2635/2008 R.I.M.Caut.

La Difesa, con i motivi di gravame, ha sollevato preliminare eccezione di inutilizzabilità (artt. 270 e 271 c.p.p.) delle conversazioni intercettate nel corso di altro procedimento in riferimento a decreto GIP emesso per fattispecie di reato diversa.
Orbene, ritiene il Tribunale che se è vero che, ai fini dell’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, non si può restare ancorati ad una nozione di “diverso procedimento” meramente formalistica che di fatto comporti l’assimilazione dell’espressione usata dal legislatore con la nozione di “stesso reato” o che tenga esclusivamente conto dell’identità del numero di iscrizione nel registro della notitia criminis e dell’adozione o meno di provvedimenti di separazione, va per altro verso considerato che l’interpretazione della citata locuzione non potrà essere a tal punto elastica da consentire di “abbracciare” fatti di reato privi di qualsiasi connessione oggettivamente rilevante che non sia un nesso di mera occasionalità. La nozione di “diversità”, dunque, va riferita al contenuto della medesima notizia di reato, vale a dire al fatto-reato in relazione al quale sono in corso le indagini necessarie per l’esercizio dell’azione penale. Ed infatti, l’utilizzo da parte del Legislatore dell’espressione “procedimento” è sintomatica della volontà di indicare una fase dell’iter processuale complessivo, cioè quella delle indagini preliminari, deputata alle investigazioni del pubblico ministero. In tale fase non vi è ancora un titolo di reato ben individuato, ma una vicenda, ancora caratterizzata da fluidità, su cui si stanno concentrando le attività conoscitive dell’inquirente. Se emerge, dunque, in un determinato momento di questo segmento procedimentale, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una fattispecie di reato, è possibile richiedere al giudice ed ottenere un’autorizzazione all’espletamento delle intercettazioni. Ma è sempre con riferimento al “fatto-reato”, sia pure qualificato in modo embrionale ed ipotetico ed ovviamente suscettibile di approfondimenti, che si richiede al GIP di poter esperire il mezzo di ricerca della prova: tutto deve restare circoscritto alla complessiva vicenda oggetto di autorizzazione all’intercettazione, che potrà anche, data la fluidità a cui sopra si è fatto cenno, essere diversamente qualificata all’esito delle indagini, ma pur sempre essere la medesima vicenda. Quando, invece, la fattispecie di reato oggetto di indagini per il cui accertamento era originariamente stato consentito il sacrificio del diritto alla segretezza delle comunicazioni si rileva del tutto eterogenea rispetto a quella emergente dal contenuto delle conversazioni intercettate, le stesse saranno inutilizzabili dal punto di vista probatorio nel diverso procedimento che ne è scaturito, ben potendo, comunque, gli elementi raccolti essere utilizzati quale mera notizia di illecito penale valida per l’inizio di tale procedimento e per l’espletamento di accertamenti volti ad acquisire diversi elementi di prova.

lunedì 19 maggio 2008

Corte costituzionale, sentenza 143/08

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 143

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Ugo DE SIERVO "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso con ordinanza del 27 novembre 2006 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di C.C.H.E., iscritta al n. 380 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.

Il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare, nelle forme del giudizio abbreviato, il processo penale nei confronti di una persona nata in Cile, la quale – a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale – era stata catturata in Spagna, in esecuzione di mandato d’arresto europeo, il 15 giugno 2005 e consegnata in Italia il 15 luglio 2005.

Il rimettente riferisce, altresì, che – con istanza pervenuta il 30 agosto 2006 – l’imputato aveva dedotto l’intervenuta decorrenza del termine massimo «di fase» della custodia cautelare previsto dall’art. 303, comma 1, lettera a), numero 3), cod. proc. pen. (termine pari ad un anno, in rapporto ai reati contestati); individuando il relativo dies a quo nella data di cattura dell’istante in Spagna.

Il giudice a quo rileva, tuttavia, come l’ipotesi in questione non sia regolata dall’art. 722 del codice di rito. Quest’ultima norma disciplina gli effetti della custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, stabilendo – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – che detta custodia è computata non soltanto agli effetti della durata complessiva, stabilita dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen.; ma anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dai commi 1, 2 e 3 dello stesso articolo.

Il caso in esame dovrebbe ritenersi regolato, per contro, in via esclusiva dall’art. 33 della legge n. 69 del 2005, il quale stabilisce che «il periodo di custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo è computato ai sensi e per effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale». Tale disposizione si configurerebbe, difatti, come norma speciale rispetto all’art. 722 cod. proc. pen., recando una disciplina completa del computo della custodia cautelare all’estero: una disciplina in parte sovrapponibile a quella della citata disposizione codicistica, nel testo anteriore alla sentenza n. 253 del 2004; e in parte più ampia di essa, laddove richiama anche l’art. 657 cod. proc. pen., in tema di computo della custodia cautelare in fase di esecuzione. Si tratterebbe, di conseguenza, di una norma non suscettibile di «integrazioni esogene» ad opera del medesimo art. 722 cod. proc. pen.

Né, d’altra parte, sarebbe sostenibile – ai fini di una eventuale interpretazione “correttiva” – che la previsione normativa censurata sia frutto di una mera «dimenticanza», da parte del legislatore, di quanto statuito da questa Corte, non molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2005, tramite il ricordato intervento sull’art. 722 cod. proc. pen. La norma nazionale apparirebbe collegata, difatti, al disposto dell’art. 26, paragrafo 1, della decisione quadro 2005/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 – alla cui attuazione la legge de qua è preordinata – nella parte in cui fa riferimento al «periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato di arresto europeo». Tale formula, sul piano letterale, evocherebbe precipuamente l’istituto interno della durata massima «complessiva» della custodia cautelare, di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. Di conseguenza, non potrebbe essere condivisa l’opinione secondo cui la stessa decisione quadro autorizzerebbe – con l’ampia previsione dianzi riprodotta – una lettura estensiva della corrispondente disciplina nazionale, tale da consentire il computo della custodia cautelare all’estero anche agli effetti dei termini di fase.

In quest’ottica, tuttavia, la norma impugnata verrebbe a porsi – secondo il rimettente – in insanabile contrasto con l’art. 3 Cost.

Per un verso, infatti, la disciplina dell’art. 722 cod. proc. pen. – quale risultante per effetto della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – ben potrebbe fungere da tertium comparationis: e ciò al fine di sostenere che l’art. 33 della legge n. 69 del 2005 non sia conforme al parametro costituzionale evocato, nella parte in cui non prevede la possibilità di valorizzare la custodia all’estero anche ai fini del computo dei termini di fase, come ora sancisce, invece, l’art. 722 cod. proc. pen. rispetto all’estradizione dall’estero.

Per un altro verso poi, ed in ogni caso, le ragioni poste a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma del codice di rito – ragioni legate all’«equivalenza tra detenzione cautelare all’estero […] e custodia cautelare in Italia», che il rimettente dichiara di far proprie, riproducendo integralmente la motivazione della sentenza n. 253 del 2004 – varrebbero anche rispetto alla norma censurata: non potendosi ritenere che «l’origine comunitaria» della previsione sia sufficiente a giustificare un diverso trattamento.

La questione risulterebbe, da ultimo, senz’altro rilevante nel giudizio a quo, giacché – ove si dovesse tenere conto anche del periodo di custodia cautelare sofferto in Spagna – l’imputato, tuttora in vinculis, andrebbe liberato a fronte dell’avvenuta scadenza, alla data del 14 giugno 2006, del termine massimo di durata della custodia valevole in rapporto alla fase del procedimento anteriore a quella in corso (un anno).

Considerato in diritto

1. – Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare, subita all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.

Ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe l’art. 3 Cost.: sia perché detterebbe una disciplina ingiustificatamente differenziata, in parte qua, rispetto a quella stabilita dall’art. 722 cod. proc. pen. – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – con riguardo al computo della custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato; sia, e comunque, per le medesime ragioni poste a base della declaratoria di illegittimità costituzionale della citata disposizione codicistica.

2. – La questione è fondata.

2.1. – Con la sentenza n. 253 del 2004 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’art. 722 cod. proc. pen. – come sostituito dall’art. 10 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 – nella parte in cui stabiliva che la custodia cautelare subita all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, fosse computata ai soli effetti della durata complessiva stabilita dall’art. 303, comma 4, del medesimo codice (fermo restando quanto previsto dall’art. 304, comma 4, poi divenuto comma 6); e non anche agli effetti della durata dei termini di fase, previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3.

Questa Corte ha rilevato come il citato art. 722 cod. proc. pen. determinasse, per tal verso, una evidente disparità di trattamento dell’imputato detenuto all’estero in attesa di estradizione, rispetto all’imputato in custodia cautelare in Italia. A giustificare tale disparità di trattamento non potevano considerarsi sufficienti né la considerazione – addotta nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 – «che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilità dello Stato italiano»; né la considerazione – prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, a sostegno della tesi della ragionevolezza della discriminazione – che, nel caso in parola, la durata della detenzione non risulta ricollegabile all’inerzia dell’autorità giudiziaria nazionale, ma deriva da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all’estero.

2.2. – La norma oggi censurata − l’art. 33 della legge n. 69 del 2005 (emanata per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) – prevede che il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computato ai soli effetti degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 cod. proc. pen. Si esclude così, al pari dell’art. 722 cod. proc. pen., nel testo scrutinato dalla Corte − con univocità testuale che non autorizza soluzioni interpretative diverse − la rilevanza di detto periodo di custodia agli effetti della durata massima dei cosiddetti termini di fase.

La ratio decidendi della citata sentenza n. 253 del 2004 vale a fortiori nell’ipotesi in esame.

Se l’equivalenza tra custodia all’estero e custodia cautelare in Italia è stata affermata con riferimento all’estradizione, essa, a maggior ragione, deve operare in relazione ad uno strumento − quale il mandato d’arresto europeo − che poggia sul principio dell’immediato e reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale. Tale istituto, infatti – a differenza dell’estradizione – non postula alcun rapporto intergovernativo, ma si fonda su rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri, con l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate. Ciò rende ancor meno tollerabile, sul piano costituzionale, uno squilibrio delle garanzie in tema di durata della carcerazione preventiva correlato al luogo – interno o esterno, rispetto ai confini nazionali – nel quale la carcerazione stessa è patita. Posto, infatti, che il titolo dell’arresto e della conseguente custodia, nel caso di specie, è unitario; e che il procedimento di consegna non si articola in funzione di un rapporto tra Stati, ma tra autorità giudiziarie: ne deriva che anche la durata della custodia cautelare deve sottostare ad una disciplina del pari unitaria; così da attrarre i “tempi della consegna” all’interno dei “tempi del processo”.

In sostanza, la condizione del destinatario del provvedimento restrittivo, a seguito di mandato d’arresto europeo, non può risultare – quanto a garanzie in ordine alla durata massima della privazione della libertà personale – deteriore né rispetto a quella dell’indagato destinatario di una misura cautelare in Italia, né, tanto meno, rispetto a quella dell’estradando: non essendo dato rinvenire alcuna ragione giustificativa di un diverso e meno favorevole trattamento del soggetto in questione.

L’art. 33 della legge n. 69 del 2005 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2008.

venerdì 16 maggio 2008

da www.cortedicassazione.it : SS.UU. SENTENZA N. 19601 UD. 28/02/2008 - DEPOSITO DEL 15/05/2008.


SENTENZA N. 19601 UD. 28/02/2008 - DEPOSITO DEL 15/05/2008

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REATI FALLIMENTARI – SENTENZA DI FALLIMENTO – PRESUPPOSTI - SINDACATO DEL GIUDICE PENALE – ESCLUSIONE - MODIFICHE ALL’ART. 1 L.FALL. - APPLICABILITA’ DELL’ART. 2 C.P. - ESCLUSIONE
Le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall’art. 1 l. fall. per la fallibilità dell’imprenditore; pertanto, le modifiche apportate all’art. 1 l. fall., prima dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 non esercitano influenza, ai sensi dell’art 2 c.p., sui procedimenti penali in corso.
Testo Completo:

Sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008 - depositata il 15 maggio 2008

(Sezioni Unite Penali, Presidente E. Lupo, Relatore G. Conti)

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mercoledì 14 maggio 2008

Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 4 marzo 2008 (dep. 8 maggio 2008), n. 18473

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Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 4 marzo 2008 (dep. 8 maggio 2008), n. 18473

Anche nel bilanciamento con l'attenuenate ad effetto speciale di cui all'art. 73, comma quinto, TU stupefacenti, la recidiva prevista dall'art. 99, comma quarto, c.p., anche dopo le modifiche della L. n. 251 del 2005, deve ritenersi tuttora facoltativa, salvo che si tratti di uno dei delitti previsti dall'articolo 407, comma secondo, lettera a), c.p.p. (art. 99, comma quinto, c.p.).

Cassazione – Sezione quarta – sentenza 4 marzo – 8 maggio 2008, n. 18473
Presidente Morgigni – Relatore Marini
Pm Di Popolo – difforme -Ricorrente Piana

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 27 settembre 2006 all'esito di giudizio abbreviato innestatosi in giudizio direttissimo il tribunale di Sassari dichiarava Piana Salvatore responsabile del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 73 commi 1 e 1 bis, lettera a), del D.P.R. n. 309 del 1990 commesso il 24 giugno 2006 per avere coltivato illegalmente marijuana, detenuto a fine di spaccio sei flaconi di metadone e ceduto due flaconi contenenti la stessa sostanza, e lo condannava - ritenuta l'ipotesi prevista dal quinto comma del citato articolo 73, giudicata la relativa circostanza attenuante ad effetto speciale equivalente alla contestata recidiva reiterata specifica infraquinquennale post poenam ed apportata, infine, la diminuzione per il rito - alla pena di anni 5, mesi 5 e giorni 20 di reclusione ed Euro 26.000 di multa.

Proposto appello dall'imputato - il quale deduceva trattarsi di un unico reato in quanto vi era stata detenzione simultanea delle diverse sostanze e sosteneva che il primo giudice avrebbe potuto disapplicare la recidiva contestata, in quanto non obbligatoria, si da non compiere il giudizio di comparazione tra la suddetta circostanza soggettiva e l'attenuante di cui al citato art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (la cui prevalenza sulla suddetta recidiva qualificata non può essere dichiarata, a ciò ostando il divieto di cui al comma 4 dell'art. 69 c.p.p.) e non giungere, in conseguenza di tale, invece operato, giudizio alla irrogazione di una pena base da ritenersi eccessiva ex art. 133 c.p. - la Corte d'appello di Cagliari disattendeva la censura concernente la mancata disapplicazione della recidiva affermando la obbligatorietà dell'aumento di pena nei casi previsti nel quarto e quinto comma dell'art. 99 c.p.p..

La Corte territoriale riteneva invece fondate le censure concernenti la non ritenuta unicità del reato commesso (ad avviso dei secondi giudici unica era stata la lesione del bene protetto, ed unica doveva essere, pertanto, la sanzione, scevra, da "aumenti per continuazione") e la eccessività della pena base, e riduceva pertanto la pena ad anni 4, mesi 4 di reclusione ed Euro 18.000 di multa, muovendo da una pena base di anni 6, mesi 6 ed Euro 24.000, diminuita di un terzo per il rito abbreviato).

Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputato il quale ha dedotto un unico motivo con il quale ha denunciato il vizio di violazione della legge processuale ex art. 606, lettera c) per erronea applicazione dell'art. 99, comma 4, c.p..

Afferma il ricorrente che - diversamente da quanto opinato dai secondi giudici e conformemente, invece, a quanto affermato da questa Sezione IV della Corte di cassazione nella sentenza 11-4-2007, n. 16750 che ha espresso una interpretazione costituzionalmente orientata - la intervenuta sostituzione del comma quarto dell'art. 99 ad opera dell'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 non ha fatto venir meno la natura facoltativa della forma di recidiva in tale norma contemplata.


Motivi della decisione

Il motivo unico posto a sostegno del ricorso è fondato.

La Corte territoriale ha motivato il proprio rigetto della censura mossa dall'appellante alla sentenza impugnata in ordine alla applicazione della contestata recidiva reiterata infraquinquennale post poenam ed alla conseguita effettuazione del giudizio di comparazione ex art. 69 comma quarto c.p. (come sostituito dall'art. 3 L. 5 dicembre 2005, n. 251) in termini di mera equivalenza con la riconosciuta circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309/1990 sull'assunto che, una volta che risulti sussistente l'aggravante della recidiva prevista nei commi terzo, quarto (caso di specie) e quinto dell'art. 99 c.p. l'aumento di pena sarebbe obbligatorio, donde la necessità di procedere al giudizio di comparazione con le concorrenti circostanze attenuanti, giudizio che, in ragione del divieto posto nel citato comma quarto dell'art. 69 c.p., non può risolversi in una affermazione di prevalenza delle attenuanti, in forza del divieto espressamente posto dal comma quarto dell'art. 69 c.p..

Questa Corte rileva, invece, che, come da giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente formatasi dopo l'entrata in vigore della legge n. 251/2005 (vedansi Casso sez. V, 25-9-2007, n. 40446, P.G. in proc. Mura; sez. VI, 3-7-2007, n. 37549, P.G. in proc, Saponaro; sez. IV, 28-6-2007, n. 39134, P.G. in proc. Mazzitta; sez. Il, 4-7-2007, n. 32876, P.G. in proc. Doro; sez. IV, 2-7-2007, n. 29228, P.G. in proc. Farris; sez. IV, 19-4-2007, n. 26412, P.G. in proc. Meradi e altri; sez. IV, 11-4-2007, n. 16750, P.G. in proc. Serra e altro, richiamata nell'atto di ricorso qui in esame), la recidiva prevista dall'art. 99, comma quarto, c.p., come modificata dalla L. n. 251 del 2005, deve ritenersi tuttora facoltativa, salvo che si tratti di uno dei delitti previsti dall'articolo 407, comma secondo, lettera a), c.p.p. (art. 99, comma quinto, c.p.).

Da tale affermazione la Suprema Corte ha tratto le conclusioni (divergenti unicamente in ordine al corretto modus operandi, in presenza di concorso di circostanze eterogenee, del giudice il quale non ritenga, di detta facoltatività avvalendosi, di apportare l'aumento di pena per l'aggravante in parola) che seguono:

1) in conseguenza della permanente facoltatività della recidiva di cui al quarto comma dell'art. 99 c.p., allorquando il giudice ritenga - con adeguata e congrua motivazione -di non apportare alcun aumento di pena per tale circostanza aggravante di natura soggettiva non reputando questa come espressione di maggiore colpevolezza o pericolosità sociale, non è operante il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti, previsto dal comma quarto del citato articolo 99 c.p., ed è possibile procedere ad un giudizio di comparazione in termini di dichiarata prevalenza delle circostanze attenuanti (nel novero delle quali rientra quella di cui all'art. 73, comma quinto, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 che è stata ritenuta sussistente nel caso concreto all'esame di questo Collegio) sulla suddetta recidiva qualificata;

2) quando la (tuttora facoltativa) recidiva reiterata concorre con una o più attenuanti, il giudice procede al giudizio di bilanciamento - soggetto al regime limitativo di cui all'art. 69, quarto comma, c.p. - solo ove ritenga la suddetta recidiva effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede (vedansi le già citate Cass. V, 25-9-2007, n. 40466, P;G. in proc. Mura; Sez. IV, 2-7-2007, n. 29228, P.G. in proc. Farris e Sez. VI, 3-7-2007, n. 37549, P.G. in proc. Saponaro; vedansi anche le, non massimate, Casso Sez. IV 24-6-2007, P.G. in proc. Tait e Sez. IV, 24-9-2004, P.M. in proc. Hassan Fathi).

Ad avviso di questo Collegio deve preferirsi la soluzione indicata sub 2), considerato che, mentre quella sub 1) conduce all'affermazione che, ove il giudice ritenga che la forma di recidiva de qua non costituisca, nel caso concreto, espressione di maggiore colpevolezza o pericolosità sociale, egli debba comunque procedere al giudizio di comparazione tra la suddetta aggravante ed una o più circostanze attenuanti concorrenti, ma in tal caso possa dichiarare la prevalenza del dato attenuante in quanto non opererebbe in tal caso, per la ragione sopra indicata il divieto di cui al comma quarto dell'art. 69 c.p., la soluzione interpretativa sub 2) ha il pregio di non dar luogo ad una eccezione concernente l'applicabilità del divieto normativamente previsto, ma - muovendo sempre dal presupposto di facoltatività - afferma radicalmente, senza intaccare il suddetto divieto normativo, che dalla motivata esclusione della non necessità, nel caso concreto, di applicazione della circostanza aggravante soggettiva de qua alla luce di una valutazione del nuovo episodio delittuoso in oggetto come concretamente significativo (in considerazione della natura e collocazione temporale dei precedenti, nonché dei criteri di cui all'art. 133 c.p.) di maggiore colpevolezza e pericolosità del colpevole; donde l'assenza dei presupposti per procedere al giudizio di bilanciamento, venendo meno il "peso" integrato dalla suddetta recidiva qualificata da porre sul piatto della bilancia contrapposto a quello sul quale vanno poste una (o più) circostanze attenuanti eventualmente concorrenti con la recidiva medesima.

La interpretazione sopra indicata sub 2) è pienamente aderente a quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 giugno 2007, n. 192.

E' noto che l segnatamente con riferimento alla circostanza ad effetto speciale dal fatto "di lieve entità" di cui al quinto comma dell'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), circostanza avente una peculiare incidenza sulla gravità del fatto, tale da sminuire grandemente il disvalore e l'offensività della condotta criminosa, da più parti si è affermato che il ritenere il quarto comma dell'art. 69 c.p. ostativo al dichiarare la prevalenza della circostanza attenuante del ''fatto di lieve entità" sulla recidiva reiterata si porrebbe in contrasto con i canoni di ragionevolezza e con i principi costituzionali di proporzionalità e finalità rieducativa della pena.

Ciò in quanto in materia di violazioni dell'art. 73 del citato D.P.R. che di frequente sono commesse da recidivi reiterati, anche in presenza di fatti illeciti modestissimi e tali da rientrare nell'ambito di operatività della fattispecie attenuata del "fatto di lieve entità", la relativa circostanza attenuante ad effetto speciale non potrebbe essere ritenuta (e con essa le circostanze attenuanti generiche che fossero concorrentemente riconosciute) prevalente sulla recidiva di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 99 c.p. in conseguenza del divieto, posto dal comma 4 del novellato art. 69 dello stesso codice, con conseguente applicabilità, a norma del comma 3 dell'art. 69 medesimo, della "pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze" poste in comparazione. Tale rilievo (che interessa, per la sua ragione di fondo, i casi di comparazione tra recidiva qualificata e circostanze attenuanti di ogni natura) ha dato luogo alla emissione di plurime ordinanze dei giudici di merito con le quali è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, primo e secondo comma, 27, primo e terzo comma, 101, secondo comma, e 111, primo e sesto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione) appunto nella parte in cui, nel disciplinare il concorso di circostanze eterogenee, vieta al giudice di ritenere le circostanze attenuanti prevalenti sull'aggravante della recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, c.p..

Con ordinanza del 5 giugno 2007, n. 198, il Giudice delle leggi ha dichiarato "la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, quarto comma, del codice penale come modificato dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Emilia", affermando che il giudice remittente aveva sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale una norma inconferente rispetto all'oggetto delle proprie censure (si dà essere incorso in una aberratio ictus) in quanto il suddetto novellato comma 4 dell'art. 99 c.p. si limita a fornire la nozione di recidiva reiterata e a stabilire gli aumenti di pena ad essa conseguenti.

Tale decisione presenta interesse in riferimento al caso che è oggi all'esame di questo proprio perché in quel contesto la Consulta ha affermato che i supposti vulnera costituzionali scaturirebbero, semmai, dall'art. 69, quarto comma, c.p. (come modificato dall'art. 3 della citata L. n. 251 del 2005), che pone il censurato divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, in sede di cosiddetto bilanciamento delle circostanze eterogenee concorrenti, peraltro a prescindere (come l'erronea individuazione da parte del remittente della norma da censurare comportava) da ogni possibile rilievo riguardo all'implicita ed immotivata premessa interpretativa su cui poggiavano i dubbi di costituzionalità (quella, cioè, che per effetto della legge n. 251 del 2005 la recidiva reiterata sia divenuta in ogni caso obbligatoria, e non possa essere, dunque, esclusa dal giudice sulla base di una valutazione discrezionale inerente alla "significatività" del nuovo episodio criminoso in rapporto ai delitti oggetto delle precedenti condanne, con l'effetto di rendere inapplicabile la denunciata disciplina limitativa del giudizio di comparazione di circostanze eterogenee).

Già in tale ordinanza la Corte costituzionale aveva, dunque, fatto cenno, sia pure incidentalmente, al tema della divenuta obbligatorietà (immotivatamente data per scontata dal remittente) ovvero mantenuta facoltatività della recidiva reiterata di cui al novellato art. 69, comma 4, del codice penale.

A brevissima distanza di tempo è seguita la sentenza 14 giugno 2007, n. 192 della stessa Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 giugno 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze i di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, sollevate dai Tribunali di Ravenna, Cagliari, Livorno, Perugia e Firenze. Il Giudice delle leggi ha premesso che l'assunto dei rimettenti secondo cui il fatto che il colpevole del nuovo reato abbia riportato due o più precedenti condanne per delitti non colposi - quali che essi siano - farebbe inevitabilmente scattare il meccanismo limitativo degli esiti del giudizio di bilanciamento tra circostanze prefigurato dall'art. 69, quarto comma, c.p. (con l'effetto di "neutralizzare", anche quando si sia in presenza di precedenti penali remoti, non gravi e scarsamente significativi in rapporto alla natura del nuovo delitto, la diminuzione di pena connessa alle circostanze attenuanti concorrenti, indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche di queste ultime) poggia sul presupposto, implicito e non motivato, che, a seguito della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, l'applicazione della recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria e non possa essere, dunque, discrezionalmente esclusa dal giudice - quantomeno agli effetti della commisurazione della pena - in correlazione alle peculiarità del caso concreto, con la conseguenza di rendere inapplicabile la censurata disciplina in tema di bilanciamento con le circostanze attenuanti concorrenti.

Tuttavia - ha affermato la Consulta nella sentenza in esame - quella che i rimettenti danno per scontata non rappresenta l'unica lettura astrattamente possibile del vigente quadro normativo.

Invero se, prima facie, a sostegno della tesi della obbligatorietà, in ogni caso, della recidiva reiterata, così come della recidiva cosiddetta pluriaggravata, di cui al terzo comma dell'art. 99 c.p. (nel nuovo testo introdotto dall'art. 4 della legge n. 251/2005), parrebbe militare l'argomento letterale in quanto nelle suddette disposizioni viene usato, con riferimento al previsto aumento di pena, il verbo essere all'indicativo presente ("è") - in luogo della voce verbale "può" che compariva nel testo precedente, e che figura tuttora nei primi due commi dello stesso art. 99, con riferimento alla recidiva semplice ed alla recidiva aggravata - il che indurrebbe a ritenere che il legislatore abbia inteso ripristinare, rispetto alle due forme di recidiva considerate, il regime di obbligatorietà preesistente alla riforma attuata dal decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, nondimeno la nuova formula normativa si presta anche ad una lettura in senso diverso.

Tale differente lettura attiene alla ritenibilità, affermata da più parti, che l'indicativo presente "è" si riferisca, nella sua imperatività, esclusivamente alla misura dell'aumento di pena conseguente alla recidiva pluriaggravata e reiterata - aumento che, per l'ipotesi della recidiva aggravata di cui al secondo comma dell'art. 99 c.p., il legislatore del 2005 ha voluto rendere fisso, anziché variabile tra un minimo ed un massimo - lasciando viceversa inalterato il potere discrezionale del giudice di applicare o meno l'aumento stesso, a tale conclusione inducendo, segnatamente, la considerazione che la recidiva pluriaggravata e la recidiva reiterata rappresentano mere species della figura generale delineata dal primo comma dell'art. 99 c.p.; il che implicherebbe che la struttura della recidiva resti quella -indubbiamente facoltativa - contemplata nella disposizione appena citata, limitandosi i commi successivi a derogare alla relativa disciplina solo in relazione all'entità degli aumenti di pena.

Nella sentenza n. 192 del 2007 si afferma anche che la soluzione interpretativa nel senso suddetto risulterebbe avvalorata - ad avviso dei suoi fautori - soprattutto dal rilievo che l'unica previsione espressa di obbligatorietà della rècidiva presente nell'art. 99 c.p. è quella racchiusa nell'attuale quinto comma, il quale - con disposizione collocata dopo la regolamentazione di tutte le forme di recidiva - stabilisce che "se si tratta di uno dei delitti indicati all'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto", da tale disposizione essendo dato di desumere che, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate, il legislatore abbia inteso mantenere il carattere della facoltatività e che, dunque, la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria unicamente ave concernente uno dei delitti indicati dal citato art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p., il quale reca un elenco di reati ritenuti dal legislatore, a vari fini, di particolare gravità e allarme sociale.

Il Giudice delle leggi ha, infine, affermato che "Nei limiti in cui si escluda che la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria, è d'altro canto possibile ritenere... che venga meno, eo ipso, anche l'"automatismo" oggetto di censura, relativo alla predeterminazione dell'esito del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee sulla base di un'asserita presunzione di pericolosità sociale.

Si legge ancora nella citata sentenza del Giudice delle leggi che, conformemente ai criteri di corrente adozione in tema di recidiva facoltativa, il giudice applicherà l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata solo qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo - in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati nell'art. 133 c.p. - sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo; di conseguenza, allorché la recidiva reiterata concorra con una o più attenuanti, è possibile sostenere che il giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento - soggetto al regime limitativo di cui all'art. 69, quarto comma, c.p. - unicamente quando, sulla base dei criteri dianzi ricordati, ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede; mentre, in caso contrario, non vi sarà luogo ad alcun giudizio di comparazione: rimanendo con ciò esclusa la censurata elisione automatica delle circostanze attenuanti".

Nel caso qui in esame è perfettamente in linea con i su esposti principi di diritto la censura mossa dal ricorrente Piana Salvatore alla sentenza impugnata laddove il giudice a qua ha affermato, in presenza di una contestata recidiva ex art. 99, comma 4, c.p. e sull'erroneo presupposto della sua natura "obbligatoria" che sarebbe conseguita alla entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 di dover procedere necessariamente al giudizio di comparazione tra la suddetta circostanza aggravante e la riconosciuta circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309/1990, per poi negare la possibilità di dichiarare prevalente quest'ultima richiamando il disposto dell'art. 69, comma 4 (anch'esso novellato con la citata legge n. 251/2005).

L'assunto della Corte territoriale di avvenuta (re)introduzione, da parte del legislatore del 2005, della obbligatorietà dell'aumento di pena nei casi di recidiva di cui al terzo ed al quarto comma del citato art. 99 è stato sorretto con il richiamo ad un argomento a carattere letterale, che è il seguente.

Mentre la dizione dei corrispondenti commi della norma nella loro formulazione antecedente la novellazione era quella "l'aumento di pena... può essere..." (indicativo, quindi, di facoltatività, come per le ipotesi di cui al primo ed al secondo comma della norma in esame), nel nuovo testo dei suddetti commi terzo e quarto si legge, rispettivamente, "Qualora ricorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l'aumento di pena è della metà", e "Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l'aumento di pena, nel caso di cui al primo comma, della metà e, nei casi previsti da secondo comma - di due terzi".

Tale argomento è stato condivisibilmente ritenuto non decisivo dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata nella presente sentenza, giurisprudenza la quale, nell'affermare - nell'ambito di quella lettura costituzionalmente orientata del dato normativo che è stata indicata nella citata sentenza della Consulta - il perdurante carattere di "facoltatività" della recidiva qualificata reiterata prevista nel terzo e nel quarto comma dell'art. 99 c.p. come sostituiti dalla legge n. 251 del 2005, ha sottolineato che;

1) una espressa affermazione di obbligatorietà dell'aumento di pena per la recidiva si rinviene nell'art. 99 c.p. come novellato dalla legge n. 251 del 2005 soltanto, significativamente, nel comma quinto dello stesso articolo di legge, ai sensi del quale "l'aumento di pena è obbligatorio" quando si tratti di uno dei delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p.;

2) l'uso della espressione verbale "è", in luogo di quella "può", non sta a significare obbligatorietà di applicazione dell'aumento di pena per la recidiva nei casi previsti dall'art. 99, commi 3 e 4, c.p., bensì semplicemente che, ave il giudice, all'esito in senso positivo della valutazione di significatività delle suddette forme di recidiva nel senso sopra illustrato, non possa applicare gli aumenti di pena l'aumento se non nelle misure fisse indicate ("è della metà... è di due terzi" e non già "fino a un terzo... fino alla metà" così come si legge, rispettivamente, nei commi 1 e 2 dell'articolo in esame).

Per le ragioni sin qui esposte la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente all'operato giudizio di comparazione ex art. 69, comma 4, c.p., ed il giudice del rinvio si atterrà, nel nuovo esame che sul punto gli viene qui demandato, ai seguenti principi di diritto:

1) il giudice applica l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata quando ritiene il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo;

2) allorché la recidiva reiterata concorra con una o più circostanze attenuanti (incluse quelle ad effetto speciale, nel novero delle quali rientra quella della lieve entità del fatto che è stata ritenuta sussistente nella fattispecie in esame) il giudice procede al giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p. soltanto ove ritenga la suddetta recidiva qualificata effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede; in caso contrario, non vi sarà luogo ad alcun giudizio di comparazione.

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari.


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