ORDINANZA
N. 186
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
- Alfonso QUARANTA
- Franco GALLO
- Luigi MAZZELLA
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE
- Maria Rita SAULLE
- Giuseppe TESAURO
- Paolo Maria NAPOLITANO
ORDINANZA
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto
che il giudice monocratico del Tribunale di Gela ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300);
che la disposizione impugnata prevede che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (comma 1); disciplina le modalità di costituzione dell’ente che intende partecipare al procedimento (comma 2), nonché la procura e le modalità di deposito della stessa; infine, stabilisce che, se non compare il rappresentante legale, l’ente costituito è rappresentato dal difensore (comma 4);
che, in particolare, la mancanza di una disciplina volta a garantire una adeguata difesa alla persona giuridica, «tratta in giudizio» in conflitto di interessi con il proprio legale rappresentante, mediante il superamento del conflitto (ad esempio secondo lo schema previsto dall’art. 71 del codice di procedura penale in materia di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato), oltre che l’assenza di un «regime processuale sanzionatorio» per l’ipotesi in cui «comunque, l’ente venga tratto a giudizio in persona del legale rappresentante in conflitto», violerebbero l’art. 24 Cost., a tenore del quale la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo;
che,infatti, non risulta di quali reati risponde in proprio il legale rappresentante e di quali reati risponde la società; né se la società si è costituita, ai sensi dell’art. 39 censurato, con il rappresentante legale imputato personalmente, ovvero con un nuovo rappresentante legale, o con un rappresentante nominato appositamente per il processo; oppure se la società non si è costituita ed è stata dichiarata contumace;
che, inoltre, il giudice lamenta:
b) «la mancata previsione di un regime processuale sanzionatorio» per l’ipotesi in cui «comunque, l’ente venga tratto a giudizio in persona del legale rappresentante in conflitto»;
che il giudice rimettente si limita a invocare una soluzione dei problemi denunciati, senza formulare alcuna domanda specifica, lasciando così indeterminato il possibile intervento di questa Corte, con conseguente manifesta inammissibilità della questione anche per tale profilo (ordinanza n. 35 del 2007).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300),sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal giudice monocratico del Tribunale di Gela con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.
Sabino CASSESE,Redattore
Depositata in
Cancelleria il 12 giugno 2007.