Cass. pen. Sez. II, 26 febbraio 2007, n. 10500
CONFISCA - SEQUESTRO PEN.
Cass. pen. Sez. II, 22 dicembre 2006, n. 10838
- In caso di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ove il danaro che ne è il profitto non sia stato rinvenuto nel contocorrente intestato alla società beneficiaria, può disporsi il sequestro a fini di confisca per equivalente in danno dell'indagato senza che sia necessario il previo assoggettamento della società beneficiaria dell'indebita erogazione al sequestro ai fini della confisca sanzione amministrativa ex artt. 19 e 53, D.Lgs. n. 231/2001.Tale sequestro non è incompatibile con la Decisione quadro 2005/212/GAI e può colpire, senza ordine di gradualità, uno qualunque degli indagati, fermo restando che il soggetto rimasto onerato dalla confisca potrà chiedere il rimborso pro quota del profitto locupletato da ciascuno dei concorrenti.
- Nel caso di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il cui profitto sia stato conseguito da una persona giuridica e non sia più individuabile nell'ambito del patrimonio della medesima, l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo di beni della persona fisica cui il reato sia stato addebitato, in vista della confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter cod. pen., non richiede la previa, infruttuosa esecuzione sui beni della persona giuridica. (Rigetta, Trib. lib. Lecce, 25 Luglio 2006)
Cass. pen. Sez. II, 12 dicembre 2006, n. 3629
TRUFFA
Cass. pen. Sez. II, 9 novembre 2006, n. 38803
Il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche si consuma all'atto della effettiva percezione di tali erogazioni ma, quando queste vengano effettuate in più rate, nel perdurante silenzio dell'interessato, ciò non può dar luogo alla configurabilità di più reati uniti dal vincolo della continuazione, realizzandosi invece un caso di consumazione "prolungata" che si esaurisce con la ricezione dell'ultima rata del finanziamento. In tale ipotesi, tuttavia, è da escludere l'applicabilità della confisca per equivalente, ai sensi dell'art. 640
quater c.p., introdotto dall'art. 3, comma 2, della legge 29 settembre 2000, n. 300, con riguardo alle somme percepite prima dell'entrata in vigore di tale legge.
Cass. pen. Sez. Unite, 25 ottobre 2005, n. 41936
Conformi
Cass. pen. Sez. II, 12-04-2007, n. 23425 (rv. 236784)
Cass. pen. Sez. II, 22-12-2006, n. 10838 (rv. 235829)
Cass. pen. Sez. I, 30-05-2006, n. 30790 (rv. 234886)
Cass. pen. Sez. VI Sent., 27-09-2007, n. 37556 (rv. 238033)
Cass. pen. Sez. II, 12-12-2006, n. 3629 (rv. 235814)
Cass. pen. Sez. VI, 13-03-2006, n. 17566 (rv. 234505)
MISURE CAUTELARI PERSONALI - SOCIETA'
Cass. pen. Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627
- In tema di misure cautelari interdittive applicabili all'ente per l'illecito dipendente da reato, la valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi deve essere riferita alla fattispecie complessa che integra l'illecito stesso. Pertanto l'ambito di valutazione del giudice deve comprendere non soltanto il fatto reato, cioè il primo presupposto dell'illecito amministrativo, ma estendersi ad accertare la sussistenza dell'interesse o del vantaggio derivante all'ente e il ruolo ricoperto dai soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231, verificando se tali soggetti abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi; inoltre, è necessario accertare la sussistenza delle condizioni indicate nell'art. 13 D.Lgs. n. 231, che subordina l'applicabilità delle sanzioni interdittive alla circostanza che l'ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità ovvero, in alternativa, che l'ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti; infine, anche nella fase cautelare il giudice deve fondare la sua valutazione in rapporto ad uno dei due modelli di imputazione individuati negli artt. 6 e 7 D.Lgs. cit., l'uno riferito ai soggetti in posizione apicale, l'altro ai dipendenti, modelli che presuppongono un differente onere probatorio a carico dell'accusa. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Bari, 27 Giugno 2005)
- In tema di responsabilità degli enti dipendente da reato, non è consentito al giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all'ente l'adozione coattiva di modelli organizzativi. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha ravvisato l'interesse dell'ente ad impugnare l'ordinanza con la quale era stata applicata nei suoi confronti la misura cautelare interdittiva di cui all'art. 45 D.Lgs. n. 231 del 2001, ancorchè la stessa fosse stata revocata nelle more del procedimento di impugnazione, poichè dal suo annullamento poteva derivare - come conseguenza diretta - anche l'immediata inefficacia degli adempimenti imposti con il provvedimento di revoca).
- In tema di responsabilità da reato degli enti, in considerazione della peculiarità del giudizio di gravità indiziaria per l'applicazione delle misure cautelari interdittive, fondato su presupposti e requisiti del tutto diversi da quelli per l'applicazione di misure cautelari nei confronti di persone fisiche, non è consentito il ricorso alla tecnica di motivazione del provvedimento "per relationem" con rinvio all'ordinanza cautelare personale, se non per assolvere l'onere della motivazione con riferimento al solo presupposto comune della sussistenza dei gravi indizi circa la commissione dei reati.
- La valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al "fumus commissi delicti", il presupposto per l'applicazione delle misure cautelari interdittive a carico dell'ente, implica l'esame di due tipologie di elementi: la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell'illecito e dalla entità del profitto; l'altra ha natura soggettiva ed attiene alla personalità dell'ente, e per il suo accertamento devono considerarsi la politica di impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell'ente. (La Corte ha precisato che, nell'ipotesi di responsabilità derivante da condotte poste in essere dai dirigenti dell'ente, la sostituzione o l'estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del "periculum", purchè ciò rappresenti il sintomo del fatto che l'ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati).
- L'applicazione in via cautelare di misure interdittive a carico di una società ex D.Lgs. n. 231/2001 è subordinata alla circostanza che l'ente o abbia reiterato gli illeciti, o ne abbia tratto un profitto di rilevante entità, sussiste infatti un principio di proporzionalità della misura in base al quale il giudice della cautela può disporre solo le misure che potrebbe irrogare il giudice della cognizione.
Cass. pen. Sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615
In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio", non contiene un'endiadi, perchè i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante", sicchè l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale.
Cass. pen. Sez. VI (Ord.), 22 settembre 2004, n. 37985
Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, non è ammissibile il ricorso immediato per cassazione avverso il provvedimento applicativo di misure cautelari interdittive.
Cass. pen. Sez. VI, 3 marzo 2004
La disciplina della responsabilità amministrativa degli enti prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 non si applica alle imprese individuali.