DI TUTELA PENALE.
LA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE E IL NODO DELLA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE NELLA UE.
2-1 GLI OBBLIGHI COMUNITARI DI TUTELA PENALE: LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE (C-176/03).
Con la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee del 13.09.2005 n. C-176/03 e‘ stata annullata la Decisione-Quadro 2003/80/GAI, relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale. L’annullamento vi e’ stato per violazione del principio di indivisibilita’ sancito dall’art.47 Tue.
Infatti, secondo la sentenza in commento, la Decisione-Quadro avrebbe sconfinato nelle competenze che l’art.175 Tce attribuisce alla Comunita’ atteso che la tutela dell’ambiente costituisce obiettivo normativo essenziale per la Comunita’. L’art. 2 Tce dispone che la Comunita’ Europea ha il compito di promuovere un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualita’ di quest’ultimo; l’art.174 Tce sancisce la politica ambientale della Comunita’ Europea conferendole l’obiettivo di perseguire la salvaguardia, la tutela ed il miglioramento della qualita’ dell’ambiente, la protezione della salute umana, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.
Nonostante l’ampia sfera di azione attribuita alla competenza della Comunita’ Europea in materia ambientale, la tutela penale del bene giuridico ambientale pareva pacificamente attribuita, soltanto in via di previsione dei principi guida per gli Stati membri Ue, alla competenza programmatica-politica della Unione Europea. Nella prospettiva di una stretta cooperazione tra le autorita’ giudiziarie e di polizia dei paesi membri Ue e nell’ottica di un sensibile riavvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale (art.29 Tue), l’art.34 Tue attribuisce al Consiglio la competenza ad adottare Decisioni-Quadro per la armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
Le Decisioni-Quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorita’ nazionali in merito alla forma ed ai mezzi; le Decisioni-Quadro, soprattutto, non hanno e non possono avere efficacia diretta.
Dalla introduzione del c.d. Terzo Pilastro dell’Unione la materia penale veniva vagliata dal Consiglio della UE soltanto in via programmatica secondo il metodo della predisposizione di principi base. Cosi’ per la protezione dell’ambiente era stata adottata Decisione-Quadro 2003/80/GAI.
La DQ e’ stata annullata dalla sentenza sopra evidenziata che apporta, per quanto concerne i profili di maggiore interesse, delle innovazioni sostanziali nella suddivisione dei compiti normativi degli organi comunitari. Gli organi comunitari, nelle materie loro attribuite dal Tce, possono adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri allorche’ l’applicazione di misure sanzionatorie penali, effettive, proporzionate e dissuasive, da parte delle competenti autorita’ nazionali costituisca una misura indispensabile di lotta contro le violazioni ambientali. Nella scia di tale ragionamento si e’ giunti a sostenere che la Commissione Europea, nell’ambito delle competenze attribuitele dal Tce, abbia la facolta’ di obbligare uno Stato membro ad imporre sanzioni penali al livello nazionale qualora cio’ risulti necessario ai fini del raggiungimento di un obiettivo comunitario.
La Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee, sebbene affermi che in via di principio la legislazione penale non rientra nelle competenze della Comunita’, si contraddice dal momento che afferma che il legislatore comunitario puo’ adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri, provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia delle norme che emana nelle materie di sua stretta competenza.
Pertanto, a fronte di misure quali la Decisione-Quadro che “invita” gli Stati membri ad adottare sanzioni di natura penale, con il dictum della Corte di Giustizia si attribuisce alle Istituzioni Comunitarie, in particolare alla Commissione Europea, la potesta’ di adottare provvedimenti e quindi, in astratto, di prevedere specifiche e dettagliate fattispecie incriminatrici.
E’ evidente il contrasto con l’art. 25 Cost. ed il suo corollario della riserva assoluta di legge in materia penale. La sentenza in commento avrebbe ammesso o meglio imposto alla Comunita’ Europea, ed attraverso gli strumenti propri della stessa, ossia regolamento e direttiva, obblighi di tutela penale degli interessi e beni di rilevanza strettamente comunitaria.
Cosi’, proprio in virtu’ del fatto che l’ambiente rientra ex art.174 Tce tra le competenze comunitarie, e’ stata gia’ prodotta una proposta di direttiva comunitaria relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale.
Vale la pena evidenziare che l’ “imposizione” degli obblighi di tutela comunitaria muta, nello scenario delle fonti di diritto comunitario, la gerarchia nell’utilizzazione dello strumento piu’ valido di contrasto agli illeciti penali. Dalla Decisione Quadro, strumento principe del Terzo Pilastro previsto dall’art.34 Tue, si passa a quello molto piu’ pregnante ed invasivo della direttiva o, probabilmente nel prossimo futuro, del regolamento.
Tale modificazione sostanziale creera’ nuovi dubbi sulle capacita’ di primazia del diritto comunitario su quello nazionale atteso che in una ipotesi siffatta, e limitando l’osservazione al diritto penale nazionale italiano, lo strumento impositivo della direttiva urta con il principio di legalita’ e con il suo corollario della riserva assoluta di legge. In tale ottica si dovrebbe chiarire, ulteriormente, quali siano i rapporti tra l’art.117 Cost. Ital. e l’intero comparto delle fonti nazionali in materia penale. Si ricorda, a titolo esemplificativo, che la direttiva impone obblighi di attuazione molto piu’ pregnanti di quelli derivanti da una Decisione Quadro, da molti ritenuta una mera condivisione di intenti; e che, se si dovesse passare ad utilizzare lo strumento della direttiva self-executing o del regolamento, l’incidenza sul diritto penale nazionale sarebbe diretta.
Da fonti di eterointegrazione del precetto penale gli strumenti comunitari diverrebbero strumenti di normazione primaria.2-2 DIRITTO COMUNITARIO E PRINCIPIO DI LEGALITA’ IN MATERIA PENALE.
Al diritto comunitario e’ unanimemente riconosciuta la primazia sul diritto nazionale dei singoli Stati membri della UE. In Italia gli artt. 11 e 117 Cost., nel prevedere limitazioni di sovranita’ necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, sono la fonte normativa della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale. Il diritto comunitario, stante la sua dimensione sovranazionale prevale, quindi, sul diritto interno degli Stati membri UE quantomeno nell’obbligare gli stessi Stati a conformare il proprio diritto alle imposizioni legislative dettate dal legislatore comunitario, pena la violazione della c.d. fedelta’ comunitaria e l’irrogazione di sanzioni a quegli Stati poco attenti alle richieste del diritto comunitario.
Cio’ posto, va sottolineato che la primazia del diritto comunitario e l’apertura del sistema giuridico interno a fonti di matrice comunitaria non e’ principio incondizionato, perlomeno nel sistema costituzionale italiano. Infatti, nel campo penale, vige il principio di legalita’ –art.25 Cost.- ed il suo corollario della riserva assoluta di legge, che, in buona sostanza, assicurano che la produzione della normativa a carattere penale sia di derivazione diretta dal corpo elettorale e che abbia quindi una legittimazione democratica quanto alla produzione. In altre parole fonte del diritto penale puo’ essere soltanto una legge dello Stato italiano, oppure, come noto, un atto avente forza di legge (decreto legge e decreto legislativo), e non potra’ mai rinvenirsi una valida fonte nella matrice europeista e nei provvedimenti di normazione comunitaria. Le fonti normative c.d. derivate – ossia i regolamenti, le direttive e le raccomandazioni – provengono dal Consiglio e dalla Commissione che sono organi privi di una legittimazione democratica diretta, in quanto sono organi non elettivi. Questa considerazione sgombra il campo circa la perplessita’, sollevata in dottrina, che la Comunita’ Europea possa avere una propria competenza in materia penale: e’ lo stesso Trattato Istitutivo della Comunita’ (Tce) ad escludere siffatta competenza. La normazione penale costituisce, a tutt’oggi, una prerogativa esclusiva dello Stato italiano.
Cio’ non esclude che il diritto comunitario incida ugualmente sul diritto penale nazionale potendo generare certamente una espansione dello stesso. La nascita di beni giuridici strettamente comunitari (valori tutelati dalla Comunita’, aventi valore sovranazionale) e l’esigenza di disciplinare in maniera armonizzata alcune materie di competenza della Comunita’ hanno indotto una progressiva espansione del diritto penale nazionale. Le scelte di politica legislativa della Comunita’, lungi dall’essere direttamente incidenti sulle singole scelte di tutela penale effettuate dal legislatore interno, hanno, tuttatavia, un forza espansiva indiretta e riflessa: la produzione legislativa della Comunita’, anche se inidonea a creare il precetto penale e la sanzione per la sua violazione, puo’ esplicare un incidenza espansiva od anche restrittiva sul campo del penalmente rilevante per il diritto interno.
Si avra’ una efficacia espansiva nelle ipotesi in cui l’incidenza del diritto comunitario sull’ambito operativo di singole fattispecie penali avvenga attraverso il c.d. modello dell’assimilazione che implica una equiparazione, sul piano della salvaguardia, tra il bene giuridico nazionale ed un corrispondente bene giuridico tutelato da una fonte comunitaria. Si pensi alle norme a tutela del bilancio comunitario, alla proliferazione di fattispecie penali, in Italia, a tutela degli interessi economici della Comunita’ (cfr. artt. 640 bis e 316 ter c.p.): queste fattispecie penali sono una dilatazione delle norme gia’ esistenti e che tutelavano interessi propri dello Stato interno. C’e’ stato chi ha sottolineato come questa forma di dilatazione, attraverso la assimilazione di tutela del bene giuridico di fonte comunitaria, abbia in realta’ introdotto, indirettamente, una potesta’ legislativa in capo all’organo comunitario che abbia diretta incidenza nel diritto interno; tale pericolo sembra maggiormente accentuato nell’ipotesi in cui la clausola di assimilazione sia contenuta in un regolamento comunitario, che come vedremo, ha diretta efficacia nel diritto interno degli Stati membri della UE. Tuttavia, in un caso siffatto, non sara’ possibile richiamare la clausola di assimilazione quando cio’ comporterebbe l’applicazione della fattispecie nazionale “dilatata” sino alla applicazione al caso singolo della analogia in malam partem. In tale caso lo sbarramento deriva dal principio di legalita’ e dalla frammentarieta’ delle modalita’ di aggressione e di tutela del bene giuridico: la assimilazione di tutela di un bene giuridico comunitario viola il divieto di interpretazione analogica in malam partem.
L’incidenza del diritto comunitario sul diritto penale nazionale non e’ soltanto estensiva della punibilita’, seppur con i limiti individuati, ma nulla osta sull’ammissibilita’ di un effetto, a seconda dei casi scriminante, esimente o scusante, introdotto dalla fonte comunitaria. In tale caso la fonte comunitaria operera’ in bonam partem con la conseguenza di una sua conciliabilita’ con la riserva assoluta di legge ispirata, anch’essa, al principio del favor libertatis. Nel merito la fonte comunitaria incidera’ sul diritto interno attraverso la disapplicazione della norma interna contraria a quella prevista in sede comunitaria. Si pensi a quelle norme derivanti direttamente dal Tce, in quanto tali, norme dotate di legittimazione democratica, che hanno introdotto diritti nuovi per i cittadini della CE (si pensi al diritto di stabilimento, il diritto di soggiorno etcc.) e quindi reso incompatibili con gli stessi taluni reati posti a tutela proprio di quei diritti riconosciuti dalla Comunita’. Le fattispecie incriminatrici degli Stati membri non vengono abrogate per contrasto con la primazia del diritto comunitario ma vengono soltanto disapplicate.
Diversamente dall’ambito di operativita’ in bonam delle scriminanti, esimenti e scusanti di matrice europeistica, deve giungersi a diverse conclusioni quando l’intenzione delle fonti comunitarie sia di estendere la portata incriminatrice di una norma interna.
Allorche’ venga utilizzato lo schema della direttiva, attraverso la quale la Comunita’ sollecita, melius impone, l’adozione della norma penale interna, non si avra’ alcuna violazione del principio della riserva assoluta di legge atteso che la mancata adozione della legge interna comporta una mera violazione dell’obbligo di fedelta’comunitaria. Lo Stato membro UE e’ solo vincolato allo scopo prefissato dalla Comunita’ ma resta libero di poterlo attuare seguendo proprie forme e mezzi (art.249 Tce). Lo stesso discorso fatto per la direttiva, anche se con le complicazioni dovute alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee C-176/03, che come detto introduce nuovi e ben piu’ pregnanti obblighi di tutela comunitaria, vale per lo strumento della Decisione-Quadro che, in base all’art.34 del Tue, seppure considerata come condivisione di intenti politici-crminali da parte degli Stati membri UE, obbliga soltanto alla attuazione lasciando ampia discrezionalita’ al legislatore quanto ai mezzi e forme da adottare in concreto. In definitiva non sara’ possibile far valere a carico del singolo cittadino una direttiva comunitaria, anche se self-executing, che non abbia ricevuto trasposizione nell’ordinamento interno dello Stato membro UE.
Diverse caratteristiche ha invece la fonte comunitaria del regolamento. Come noto l’art.189 Tce prevede tale fonte normativa i cui caratteri sono da rinvenirsi nella obbligatorieta’, in ogni suo elemento, per tutti i cittadini. In altre parole il regolamento comunitario e’ direttamente applicabile negli Stati membri UE e produce i suoi effetti senza che sia necessario trasporlo in una normativa interna di attuazione. Si dve concludere che il regolamento non potra’ contenere in se’ il precetto o la sanzione penale, ma potra’ al piu’ ampliare il raggio applicativo della fattispecie incriminatrice attraverso il fenomeno di eterointegrazione del precetto penale. E’ questo il fenomeno per il quale l’elemento normativo della fattispecie viene ad essere colmato dal richiamo, non gia’ a diverse norme dell’ordinamento giuridico interno, bensi’ a norme di derivazione comunitaria, quali appunto il regolamento. L’eterointegrazione del precetto penale, in tal misura, non si discosta dal medesimo meccanismo di interazione, che e’ gia’ operante tra i diversi rami dell’ordinamento statale, e che ha la funzione di chiarire all’interprete il senso normativo di alcuni elementi del fatto tipico di reato. La natura assoluta della riserva di legge non esclude che alcuni elementi del fatto tipico vengano specificati da fonti diverse dalla legge. E’ frequente, data la proliferazione di regolamenti comunitari, che sia proprio la fonte europea ad integrare il precetto penale. L’integrazione del precetto penale deve pero’ essere limitata alla specificazione di taluni elementi normativi che abbisognano di spiegazioni tecniche e particolareggiate, altrimenti, indirettamente, rimetteremmo al regolamento comunitario la funzione di creare il precetto penale. Se il regolamento partecipa alla funzione precettiva della norma penale vi sarebbe un evidente contrasto con l’art.25 Cost. ed il corollario della riserva assoluta di legge, mentre diviene compatibile con i principi interni costituzionali se la norma regolamentare rivesta un ruolo meramente specificativo di elementi gia’ definiti nel loro quadro generale o comunque sia espressione di scelte di valore gia’ effettuate dal legislatore nazionale.
Il regolamento comunitario e’ anche fonte dell’obbligo di attivarsi per impedire l’evento ai sensi dell’art.40 cpv.?Puo’ una fonte di matrice europeistica introdurre nell’ordinamento interno la posizione di garanzia propria del reato omissivo improprio?
La risposta affermativa a tale quesito sarebbe contrastante con l’opinione di coloro che non attribuiscono al regolamento alcuna funzione precettiva della norma penale. La fonte extrapenale integratrice della clausola aperta dell’art.40 cpv. non potrebbe rinvenirsi nel regolamento comunitario pena la violazione della riserva assoluta di legge. Non va dimenticato che se ammettessimo l’integrazione dell’art.40 cpv. ad opera del regolamento comunitario, quest’ultimo finirebbe per creare direttamente la fattispecie “estensiva” del reato omissivo improprio, senza che una legge dello Stato abbia conferito, quantomeno, un quadro normativo al cui interno possa spingersi il regolamento comunitario.
Caso diverso si avra’ se la fattispecie interna richiama specificamente la normativa comunitaria, attraverso la tecnica del rinvio. Il rinvio, in tale ipotesi, e’ assimilabile alla norma penale in bianco che attribuisce, non ad una fonte secondaria interna, bensi’ al regolamento comunitario la determinazione del precetto penale, quanto ai suoi elementi tecnici.
LA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL 09.02.2007 DI PROTEZIONE DELL’AMBIENTE ATTRAVERSO IL DIRITTO PENALE.
In ottemperanza a quanto statuito dalla Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee con la sentenza del 15 settembre 2005 (causa C-176/03), il 09.02.2007 e’ stata presentata dalla Commissione europea una proposta di direttiva volta ad assicurare protezione all’ambiente attraverso una normativa comune europea. La Commissione ha preso atto della circostanza che una seria politica ambientale comunitaria deve necessariamente ricollegarsi alla predisposizione di misure minime di tutela dell’ambiente che siano comuni ai paesi membri della UE.
L’Italia, dal suo canto, non ha ancora previsto una tutela penale codicistica dell’ambiente, limitandosi, nel tempo, a creare delle tipologie di reato poco consone al grave fenomeno dell’inquinamento ambientale, dotate di sanzioni del tutto insufficienti e poco deterrenti.
La proposta di direttiva parte dalla considerazione che le sanzioni previste per la violazione dei precetti a tutela dell’ambiente devono essere adeguate, efficaci e dissuasive. Il reato ambientale, infatti, oltre ad avere effetti devastanti sull’ambiente, genera un grave danno alla salute umana, ed e’ proprio nell’ottica della duplice tutela, diretta dell’ambiente ed indiretta della salute, che la proposta i muove nella costruzione della direttiva.
I reati perseguibili in base alla direttiva saranno:1) lo scarico, l’emissione o l’introduzione di una quantita’ di materie o radiazioni ionizzanti nell’atmosfera, nel suolo o nell’acqua, che provochino la morte o gravi lesioni alle persone;
2) lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di una quantita’ di materie o di radiazioni nell’atmosfera, nel suolo o nell’acqua, che provochino o possano provocare la morte o gravi lesioni alle persone, o nuocciano alla qualita’ dell’aria, del suolo o dell’acqua o al patrimonio della fauna o della flora;
Dalla lettura di queste due fattispecie si evidenzia un dato incontrovertibile: la tutela dell’ambiente e’ finalizzata alla tutela della salute umana: il bene giuridico ambientale, solo nella seconda ipotesi, risulta oggetto di tutela principale ...o nuocciano alla qualita’ dell’aria, del suolo etc.....
In riferimento alla prima delle due fattispecie vi e’ da rilevare che il reato si consuma anche quando l’inquinamento ambientale non sia illecito, ma cio’ che integra il reato e’ la produzione di un danno grave alla salute delle persone. Viene quindi prevista una sorta di responsabilita’ oggettiva per la posizione rivestita da colui che immette nell’ambiente le materie inquinanti se ne derivi la morte o grave lesione alle persone.
Problematica appare la prova della colpa in capo al soggetto agente e del nesso causale tra l’inquinamento ambientale e la lesione alla salute umana. Sul punto la recente giurisprudenza italiana ha risolto il problema facendo confluire nel concetto di prevedibilita’ del danno cagionato la prova non solo della colpa ma anche, opinando in tal maniera, dello stesso nesso di causalita’.
Il nesso di causalita’ abbisogna, comunque, della prova che la introduzione della materia inquinante abbia concretizzato il rischio del verificarsi dell’evento dannoso.
Il reato de quo potra’ essere previsto tanto nella forma dolosa quanto nella forma colposa.La seconda fattispecie, invece, a differenza della prima, prevede la illecita introduzione di materie inquinanti nell’ambiente e per tale via sanziona la violazione della regola cautelare quando cio’ comporta anche il mero pericolo di lesioni gravi alla salute umana. Tale fattispecie si caratterizza per essere costruita sul modello del reato di pericolo, quando l’inquinamento illecito possa provocare danni alla salute umana, e sul modello del reato di danno, quando invece si concretizza il danno alla salute umana o il danno all’ambiente o alle singole componenti dello stesso (aria, suolo, acqua, flora, fauna).
La proposta di direttiva prevede anche il reato di trattamento e traffico illecito di rifiuti pericolosi. Si sanziona infatti il trattamento illecito, ivi compreso l’eliminazione, lo stoccaggio, il trasporto, l’esportazione o importazione illecite, di rifiuti pericolosi, che provochino o possano provocare la morte o gravi lesioni alle persone, o danni rilevanti alla qualita’ dell’aria, del suolo o dell’acqua o del patrimonio della fauna e della flora.Anche tale reato e’ finalizzato alla salvaguardia, in primis, del bene salute umana, per poi coincidere, in tutto, con la fattispecie di inquinamento ambientale illecito prospettato alla lettera b) della proposta di direttiva. Infatti, anche in tal caso, ci troviamo di fronte ad una fattispecie che contempla il trattamento illecito e il trasporto illecito di rifiuti pericolosi, con cio’ evidenziandosi che vi e’ violazione della regola cautelare posta a base del trattamento e trasporto del rifiuto pericoloso. Anche qui il proponente comunitario costruisce la fattispecie sia sullo schema del reato di pericolo “possano provocare” che sul modello del reato di danno “provochino” . Giova sottolineare che, soprattutto, nel caso del trasporto illecito di rifiuti, il pericolo deve essere inteso nella sua forma astratta e non in quella concreta, atteso che appare improbabile la prova della concretizzazione del rischio nell’ipotesi di rifiuti, che in base alla presunzione iuris et de iure, devono essere considerati lesivi dell’ambiente.
E’ prevista inoltre, in materia nucleare, una specifica fattispecie che sanziona: la fabbricazione, il trattamento, lo stoccaggio, l’impiego, il trasporto, l’esportazione o l’importazione illecite di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose, che provochino o possano provocare, fuori da questo impianto, la morte o gravi lesioni alle persone, o danni rilevanti alla qualita’ dell’aria, del suolo o dell’acqua o al patrimonio della fauna e della flora.
Le pene previste si dividono a seconda che il reato sia stato doloso o colposo. La pena prevista per quei fatti di inquinamento che hanno provocato danni soltanto ambientali, per negligenza grave, vanno da 1 a 3 anni di carcere.
La pena prevista per il caso in cui alla negligenza grave sia seguito un danno grave anche alla salute delle persone va dai 2 ai 5 anni di carcere.L’ipotesi dolosa e’ invece sanzionata con pene che vanno dai 5 ai 10 anni di carcere.
2.4 EFFICACIA DELLA DECISIONE-QUADRO: LA SENTENZA PUPINO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE DEL 16.06.2005 (C-105/03)
Nel pronunciarsi in merito ad questione pregiudiziale sollevata dal GIP presso il Tribunale di Firenze, in merito alla interpretazione degli artt.2, 3 e 8 della Decisione-Quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, la Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee ha chiarito le finalita’ dello strumento “normativo” della Decisione-Quadro e delle conseguenze sulla ‘ordinamento giuridico degli Stati membri della UE.
Il primo principio statuito dalla Corte e’ quello secondo il quale, al pari delle direttive comunitarie, anche la Decisone-Quadro impone all’autorita’ giudiziaria dello Stato membro UE una interpretazione della propria normativa conforme al dettato della D-Q. Si statuisce, in altre parole, che la Decisione-Quadro esplica effetti nell’ordinamento interno nonostante la propria fonte normativa sia da rinvenirsi nell’art.34 lett.b del Trattato UE. Tale efficacia di conformazione, pero’, non puo’ comportare una interpretazione contra legem della normativa nazionale ne’ puo’ comportare un aggravamento della posizione di un singolo nell’ambito di un procedimento penale.
Il fatto che le competenze interpretative della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee siano meno estese quando si occupa dell’analisi delle norme del Trattato UE (cfr. art.35 Tue) rispetto a quelle attribuitele dalla CE, non osta a che le Decisioni-Quadro vincolino ad una interpretazione conforme della normativa interna. Applicando il diritto nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretare quest’ultimo e’ tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della Decisione-Quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa e conformarsi cosi’ all’art.34, lett.b) Tue.Permangono, tuttavia, differenze con lo strumento della direttiva: pur dovendo ammettere un sostanziale annullamento di differenze tra i due strumenti e la comunitarizzazione del Terzo Pilastro, nel cui ambito rientra la cooperazione giudiziaria e di polizia della Ue, si sottolinea come l’aver escluso una efficacia diretta della Decisone-Quadro e l’averle attribuito una mero effetto di conformazione interpretativa lascia permanere una importante differenza di cogenza tra i due sistemi. Dall’affermazione dell’obbligo di interpretazione conforme non possono trarsi indicazioni immediate circa l’efficacia dell’atto.
Tale sentenza solo apparentemente si pone in contrasto con quella analizzata nel par. 2-1 che ha annullato la D-Q 2003/80/GAI e che ha posto obblighi di tutela comunitaria penale in capo alla Comunita’ Europea. Infatti la sentenza Pupino va letta nell’ottica della comunitarizzazione del Terzo Pilastro e di una progressiva attribuzione di competenze penali alla CE attraverso l’assorbimento di tutta la materia, sino ad oggi intergovernativa, della cooperazione in materia penale e disciplinata nel Trattato UE.Alla luce di queste considerazioni la Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee, nel sottolineare che la Decisione-Quadro deve essere interpretata in maniera tale che siano rispettati i diritti fondamentali, tra i quali quello ad un processo equo, cosi’ come sancito dall’art.6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, statuisce la possibilita’ per il giudice del rinvio di autorizzare l’incidente probatorio per l’ascolto immediato dei minori vittime dei maltrattamenti. Spetta al Giudice del rinvio valutare, nel merito, che l’ascolto dei minori all’esterno del dibattimento non pregiudichi il diritto dell’imputata a godere di un processo equo. Per tale via, le norme della Decisione-Quadro, relative alla protezione delle vittime del reato, devono essere interpretate nel senso di garantire ai minori un livello adeguato di tutela, e quindi ad esempio anche attraverso il ricorso al loro ascolto fuori udienza, sempre che sia rispettato il diritto dell’imputata ad una difesa piena e ad un processo equo.
Andrea SATTA,
avvocato - dottore di ricerca nella Università degli Studi di Salerno.
Note
Cfr. punto 21 sentenza della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee:...la Commissione menziona, in particolare, due atti comunitari che prevederebbero l’obbligo per gli Stati membri di comminare sanzioni di natura necessariamente penale, ancorche’ tale qualificazione non sia stata espressamente utilizzata (v. art.14 della direttiva del Consiglio 10.06.1991, 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita’ illecite, e artt. 1-3 della direttiva del Consiglio 28.11.2002, 2002/90/CE, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali.
Sul punto in dottrina cfr. BARTONE, Il Diritto Penale Italiano. Sistema e Valori. Giurisprudenza ed Ottica Europea, Milano, 2007;AA. VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Milano 2006; PACIOTTI-AMATO (a cura di), Verso l’Europa dei diritti – Lo Spazio europeo di liberta’, sicurezza e giustizia, Bologna, 2005; CANESTRARI-FOFFANI (a cura di), Il diritto penale nella prospettiva europea, Milano 2005; MUSACCHIO, Diritto Penale dell’Unione Europea – Questioni controverse e prospettive future, Padova, 2005; DE AMICIS-IUZZOLINO, Lo spazio comune di liberta’, sicurezza e giustizia nelle disposizioni penali del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, in Cass. Pen. 2004, 3067;.
Cfr. sent. 5 marzo 1978 della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee, in Giur. Cost., 1978, I, “le disposizioni del Trattato e gli atti delle Istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche –in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri- di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero in contrasto con norme comunitarie”
Cfr. PEDRAZZI, L’influenza della produzione giuridica della CEE nel diritto penale, in AA.VV., L’influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano, 1982; RIONDATO, Competenza penale della Comunita’ europea, Padova, 1996; TIEDEMANN, Diritto comunitario e diitto penale, in riv. trim. dir. pen. econ., 1994; GRASSO, Comunita’ Europee e diritto penale, Milano, 1989; SGUBBI, Diritto penale comunitario, in Dig. pen., IV, 1990.
Cfr. sentenza C-243/01 del 6 novembre 2003 della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee con la quale si riconosce al diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, cosi’ come disciplinati dagli artt. 43 e 49 Tce ( diritto per ciascun cittadino della UE di impiantare o gestire una attivita’ imprenditoriale in qualsiasi territorio UE), efficacia esimente del reato previsto dall’art.4 della legge 401/1989, con il quale si sanziona l’attivita’ di ricevimento scommesse sportive in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative. La Corte di Giustizia ha decretato che a prevalere sia la norma comunitaria e cio’ comporta la disapplicazione della normativa nazionale ad essa contrastante, attesa la prevalenza del nuovo diritto comunitario sulle restrizioni nazionali. Per la Cassazione, pronunciatasi a Sezioni Unite (cfr. Cass. Pen. Sez. Un. 23272/2004), prevale, invece, la normativa italiana posto che la stessa e’ diretta a tutelare il bene giuridico dell’Ordine Pubblico e le esigenze di sicurezza per contrastare la criminalita’ organizzata nel recepimento di somme di danaro. La normativa italiana si propone cioe’ di canalizzare la domanda e l’offerta di gioco in circuiti controllabili al fine di prevenire la possibile degenerazione criminale. In occasione di tale pronuncia la Cassazione a Sezioni Unite ribadisce la discrezionalita’ politica del legislatore nazionale nella disciplina penale, sottratta alla valutazione del giudice e alla Cote di Giustizia delle Comunita’ Europee, la quale avrebbe solo il monopolio interpretativo del diritto comunitario, ma non avrebbe alcuna competenza sul diritto nazionale e pertanto non potrebbe procedere alla valutazione o alla qualificazione della fattispecie concreta e delle relative norme di diritto interno.
Cfr. Cass. Pen .Sez. Un. n.4675/06 ha stabilito che ai fini dell’elemento soggettivo della colpa, occorre accertare, con valutazione ex ante, la prevedibilità dell’evento, giacché non può essere addebitato all’agente di non avere previsto un evento che, in base alle conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva prevedere. Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con il costruire una forma di responsabilità oggettiva. Quanto all’apprezzamento del parametro della prevedibilità, con specifico riguardo alla individuazione del momento cui occorre fare riferimento per pretendere che l’agente riconoscesse i rischi della sua attività e i potenziali sviluppi lesivi, è da ritenere che l’agente abbia in proposito un obbligo di informazione in relazione alle più recenti acquisizioni scientifiche, anche se non ancora patrimonio comune ed anche se non applicate nel circolo di riferimento, a meno che si tratti di studi isolati ancora privi di conferma. Quanto al contenuto della prevedibilità, è da ritenere, inoltre, che vi rientri anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni, sia pure indistinta ma potenzialmente derivante dal suo agire, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare più sicure regole di prevenzione. In altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione.
Piu’ specficamente la Cassazione analizza il contenuto della colpa ascrivibile all’agente sostenendo che ai fini dell’elemento soggettivo della colpa e, in particolare, dell’apprezzamento della prevedibilità dell’evento dannoso rispetto alla condotta dell’agente, ossia quanto alla rappresentazione in capo all’agente della potenzialità dannosa del proprio agire, da intendere come rischio o pericolo delle conseguenze lesive della propria condotta, è da ritenere che questa possa riconnettersi anche alla probabilità o anche solo alla possibilità (purché fondata su elementi concreti e non solo congetturali) che queste conseguenze dannose si producano, non potendosi limitare tale rappresentazione alle sole situazioni in cui sussista in tal senso una certezza scientifica. Ne consegue che, allorquando si discuta di prevenzione di rischi alla salute, l’obbligo prevenzionale a carico dell’agente di eliminare o ridurre tali rischi sussiste anche solo laddove la mancata adozione delle cautele preventive possa indurre il dubbio concreto della verificazione dell’evento dannoso. Non può infatti limitarsi l’obbligo preventivo ai rischi riconosciuti come sussistenti dal consenso generalizzato della comunità scientifica e alla adozione delle misure preventive generalmente praticate.
Ai fini dell’elemento soggettivo della colpa, per potere formalizzare l’addebito colposo, non basta soffermare l’attenzione sulla violazione della regola cautelare, ma è necessario verificare che questa sia diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi. Diversamente l’agente verrebbe punito per la mera infrazione anche se la regola cautelare aveva tutt’altro scopo, cioè verrebbe sanzionato il mero versari in re illicita con la previsione di una sorta di responsabilità oggettiva. A tal fine occorre procedere a verificare la cosiddetta “concretizzazione del rischio” (o “realizzazione del rischio”), che si pone sul versante oggettivo della colpevolezza, come la prevedibilità dell’evento dannoso si pone invece più specificamente sul versante soggettivo. La relativa valutazione deve prendere in considerazione l’evento in concreto verificatosi ed è diretta ad accertare se questa conseguenza dell’agire rientrava tra gli eventi che la regola cautelare inosservata mirava a prevenire. In proposito, dovendosi precisare che la prevedibilità dell’evento dannoso va accertata con criteri ex ante e va valutata dal punto di vista dell’agente (non di quello che ha concretamente agito, ma dell’agente modello) per verificare se era prevedibile che la sua condotta avrebbe potuto provocare quell’evento; il criterio della concretizzazione del rischio, invece, è una valutazione ex post che consente di avere conferma, o meno, che quel tipo di evento effettivamente verificatosi rientrasse tra quelli che la regola cautelare mirava a prevenire, tenendo conto che esistono regole cautelari per così dire “aperte” nelle quali la regola è dettata sul presupposto che esistano o possano esistere conseguenze dannose non ancora conosciute, ed altre ”rigide”, che prendono in considerazione solo uno specifico e determinato evento.
A ben vedere, prevedibilità e concretizzazione riguardano il medesimo problema, anche se da punti di vista differenti. La prevedibilità viene valutata ex ante facendo riferimento all’agente modello, mentre la concretizzazione del rischio richiede una verifica ex post sul rapporto tra evento concreto e norma cautelare: in altri termini, mentre la prevedibilità è prevedibilità in astratto, la concretizzazione è prevedibilità in concreto, trattandosi di una prevedibilità oggettiva che va verificata a posteriori.Si tratta del procedimento penale instaurato a carico di Maria Pupino, insegnante di scuola elementare, alla quale viene contestato di essersi resa responsabile del reato di abuso dei mezzi di disciplina e di lesioni aggravate nei confronti di alcuni dei suoi alunni di eta’ inferiore, all’epoca dei fatti, degli anni cinque. Nell’evidenziare che il combinato disposto degli artt. 392, 392 n.1bis e 398 n.5bis c.p.p. consente al GIP la possibilita’ di autorizzare l’incidente probatorio relativo all’ascolto dei minori infrasedicenni, il Giudice per le Indagini Preliminari chiedeva rigettarsi la richiesta del Pubblico Ministero di ascoltare anticipatamente al dibattimento i minori per contrasto della detta richiesta con gli artt. 2, 3 e 8 della Decisione-Quadro 2001/220/GAI. Il GIP chiedeva alla Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee di pronunciarsi sulla interpretazione da dare alla detta D-Q.
cfr. punti 44 e 45 della sentenza “Pupino” ....l’obbligo per il giudice nazionale di far riferimento al contenuto di una Decisione-Quadro quando interpreta le norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e non retroattivita’. Questi principi ostano a che il detto obbligo possa condurre a determinare od aggravare, sul fondamento di una Decisione-Quadro e indipendentemente da una legge adottata per l’attuazione di quest’ultima, la responsabilita’penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni.