Il mandato di arresto Europeo
significativo traguardo nell’integrazione Comunitaria
Emanuele Lamberti
Avvocato, Foro di Genova
Con il contributo e la collaborazione di:
Maria Montemagno
Avvocato, Foro di Genova
Alessandro Torri
Dottorando, Univerersità di Genova
Sommario: I. Dalla collaborazione degli stati dell’Unione Europea al MAE;
II. Della consegna dei ricercati o condannati nella UE;
III. Della legge 12/4/2005 n. 69;
IV. Del MAE e dell’estradizione;
V. Dell’applicazione del MAE: attualità e prospettiva
§ 1 – Dalla collaborazione degli stati dell’Unione Europea al MAE
Il principio costituzionale di conformazione dell’ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10 C.) ha trovato una significativa attuazione con la pubblicazione sul n. 98/05 della G.U. della legge 69/2005, recante “disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo ed alle procedure di consegna tra gli Stati membri”.
La novella è frutto di una evoluzione giuridica, sociale e politica dell’Unione Europea, progettata alla fine della seconda guerra mondiale per scongiurare ulteriori conflitti fra gli Stati membri ed auspicata da tutti i loro rappresentanti1, che ha avuto inizio il 25 Marzo 1957 quando si istituì in Roma la CEE2, ( la Comunità Economica Europea) che estendeva le libertà della Ceca (Comunità Economica Carbone Acciaio, istituita il 18 Aprile 1951 a Parigi) a tutti i beni, muovendosi verso la creazione di una “unione doganale”3.
È iniziato, da quel primo passo, si è celebrato recentemente il cinquantenario, un lento e difficile cammino verso l’integrazione europea4 la cui meta non è, neppure oggi, così vicina, infatti, da quella primavera del ’57 si è dovuto attendere il 7 Febbraio 1992, per formalizzare, con la stipula del trattato di Maastricht, l’impegno degli Stati membri ad una collaborazione Europea non basata solo su interessi puramente commerciali ma, fondata su tre settori d’intervento, i pilastri:
- il primo a tutela dei tradizionali interessi economici (CE),
- il secondo per una politica estera e sicurezza comune (PESC),
- il terzo per il coordinamento e la collaborazione in tema di giustizia ed affari interni (GAI)5.
Il 2 Ottobre 1997, con il trattato di Amsterdam, il terzo pilastro venne “rimodellato” trasferendo alcune sue competenze nel primo, (come la materia dei visti, degli asili e delle politiche di immigrazione), così da renderlo più specializzato e mirato alla cooperazione giudiziaria, di polizia, all’armonizzazione delle leggi penali, tanto da comportarne una diversa e più specifica denominazione: Cooperazione di Polizia e Giudiziaria in materia Penale (CPGP).
La volontà di dare esecuzione al terzo pilastro è stata stimolata da episodi di terrorismo che hanno sconvolto l’opinione pubblica mondiale ( gli attentati: alle Twin Towers l’11 Settembre 2001, alla stazione ferroviaria di Madrid l’11 Marzo 2003 e alla metropolitana di Londra il 7 Luglio 2005) e si è esplicitata attraverso:
- una collaborazione di polizia per la prevenzione dei reati più gravi e la ricerca dei condannati od indagati, con la realizzazione dell’Europol6 e del Sis, Sistema Informatico di Shengen7, nel quale le unità nazionali, che immettono dati su beni da sequestrare o persone ricercate, non solo ne sono responsabili, ma hanno altresì l’obbligo di fornire quei dati supplementari che possono essere richiesti all’unità centrale; da qui il nome Sirene (Supplementary information request at the national entry).
Grazie a tale sistema qualsiasi agente di Polizia di un paese membro può richiedere informazioni supplementari riguardanti una persona iscritta nell’archivio Sis, ottenendo notizie maggiori rispetto a quelle già presenti nello stesso archivio.
b. Una cooperazione fra autorità giudiziarie degli Stati membri, a tale scopo sono stati costituiti:
b1. la Rete Giudiziaria Europea8, organismo che ha il compito di agevolare la cooperazione giudiziaria: in Italia il punto di contatto centrale è il Ministero della giustizia, ufficio II della direzione generale della giustizia penale, altri, in sede nazionale: il DNA (Direzione nazionale antimafia) ed il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), sono punti di contatto periferici quelli costituiti presso ciascuna Procura Generale;
b2. l’Eurojust9: è una struttura alla quale partecipano Pubblici Ministeri, distaccati dai loro Stati membri, con lo scopo di10:
- agevolare il coordinamento tra le autorità responsabili dell’azione penale;
- prestare assistenza nelle indagini su casi di criminalità organizzata;
- cooperare strettamente con la Rete giudiziaria.
In particolare Eurojust è chiamata a svolgere un’azione di coordinamento e di impulso investigativo, finalizzata a facilitare le indagini o le azioni penali nel caso di indagini riguardanti due o più Stati, sia per evitare inutili sovrapposizioni, sia per massimizzare il patrimonio conoscitivo, investigativo ed operativo.
c. il trattato di Tampere del 1999, con il quale si pervenne al reciproco riconoscimento delle sentenze pronunciate negli Stati membri, ribadito da quello di Nizza, del 26 Febbraio 2001, nel quale si è proceduto sulla strada della maggiore flessibilità ed efficacia delle procedure per il funzionamento delle istituzioni comunitarie11, adattandole all’Europa a 27 membri.
Il mandato d’arresto europeo che, lo si ribadisce, è fra le manifestazioni più significative della collaborazione in materia penale fra autorità giudiziarie dei paesi membri, ha quale presupposto sia il riconoscimento reciproco delle sentenze straniere, sia la cooperazione della polizia e delle autorità giudiziarie degli Stati membri.
In materia giudiziaria gli accordi di collaborazione fra i paesi della comunità si sono evoluti dal trattato internazionale di Bruxelles del 196812, che prevedeva la cooperazione giuridica in materia civile e commerciale, alla recente D.Q. n. 2002/584/GAI in tema di mandato di arresto europeo, particolarmente incisiva nella gestione di questioni penali.
§ 2 - Della consegna dei ricercati o condannati nella UE
La creazione del mercato unico europeo, la conseguente apertura delle frontiere interne e le crescenti libertà di movimento delle persone, hanno portato ad una maggiore aggressività ed estensività della criminalità, soprattutto se organizzata, rendendo inidoneo l’istituto dell’estradizione nei rapporti fra i paesi comunitari, comportando la necessità di realizzare più snelle modalità di consegna dei latitanti e dei ricercati.
In assenza di una Costituzione Europea, in stallo a seguito dei negativi risultati dei “referendum popolari di adesione” di Francia e Olanda, il modus operandi adottato dalla Comunità è stato quello di promulgare una decisione quadro per introdurre il Mandato d’Arresto Europeo (DQ) 2002/584/GAI, in esecuzione del disposto dell’art. 31 par. 1 lett. a) e b), art. 34 del trattato di Maastricht (T.U.E.), scelta legislativa obbligata che ha comportato la necessità per i singoli Stati membri di promulgare, a loro volta, leggi di ratifica per dare efficacia a tale istituto all’interno dei singoli Stati.
La decisione quadro, firmata dal Presidente del Consiglio M. Rajoy Breye, è formata da 35 articoli, divisi in quattro capi: principi generali, procedura di consegna, effetti della consegna, disposizioni generali e finali. La decisione contiene un preambolo, composto da “considerando”13, si tratta di 14 punti di natura programmatica ed esplicativa che sono applicabili dall’a.g. nazionale, vuoi direttamente, vuoi per l’interpretazione, l’ermeneusi delle leggi di ratifica dei singoli Stati, che dovrebbero conformarsi alle disposizioni comunitarie, cosa che si è verificata con qualche “distinguo”, sebbene la D.Q.:
- obbligasse alla consegna del ricercato al richiedente;
- imponesse ai “giudici nazionali, nella interpretazione delle norme interne, di uniformarsi alle disposizioni della decisione quadro”, secondo l’insegnamento della sentenza 16/6/2005 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (caso Pupino, v. Guida al Diritto n. 26/2005);
- prevedesse, pur riconoscendo l’autonomia delle normative nazionali, la possibilità di una verifica, dei competenti organi della U.E. (Corte di Giustizia delle Comunità Europee), sull’esatto adempimento di quanto imposto dalla DQ, (come nel caso di devoluzione di una richiesta di interpretazione pregiudiziale);
- presupponesse uno spazio giudiziario comune, ove le decisioni delle autorità giudiziarie nazionali circolassero liberamente sulla base di un riconoscimento reciproco fondato su principi di civiltà giuridica condivisi (in applicazione degli accordi di Tampere del 1999).
In particolare si segnalano alcune delle significative discrasie fra la decisione quadro e la legge italiana di recepimento, che meglio in seguito verrà descritta:
- i motivi di rifiuto: la DQ ne prevede di obbligatori e di facoltativi (artt. 3 e 4 DQ); la legge italiana di attuazione li prevede tutti obbligatori;
- fra le condizioni o presupposti per la consegna si ricorda che:
- l’art. 6 l. 69/2005 prevede che non si dia luogo alla consegna se non viene trasmesso, insieme con il MAE, il provvedimento restrittivo nazionale, mentre lo stesso adempimento non è previsto dalla DQ;
- l’art.17 co. 4 della legge italiana prevede che non si dia luogo alla consegna in assenza di gravi indizi di colpevolezza, condizione non prevista dalla DQ, che esclude l’esame sugli indizi di colpevolezza, essendo tale accertamento rimesso al giudice del fatto (cfr. art. 705 co. 1 e 696 c.p.p.);
- così come pure prevede il rifiuto in presenza di cause di giustificazione (v. art. 18 co. 1 lett. b e c l.69/2005) di cui non si parla nella decisione quadro.
- Nella DQ non è previsto quanto disposto dalla legge italiana di recepimento, nel caso di richiesta di consegna di un cittadino: la Corte d’Appello competente può inserire la condizione del (ri)trasferimento in Italia del consegnato per scontare l’eventuale condanna. Ove, invece, la richiesta poggi su una condanna definitiva, la consegna potrà essere rifiutata a condizione che la pena venga eseguita nello Stato. (art. 18 lett. r);
- anche la doppia incriminazione è prevista nella legge di recepimento ma non nella DQ, tuttavia tale preclusione14 non rappresenta un reale motivo di contrasto fra le due norme perché, a ben guardare, i reati elencati nella lista delle 32 categorie che appaiono nell’art. 2 paragrafo 2 della DQ (per gli altri resta tale verifica) costituiscono per l’Italia, come per tutti gli altri Stati membri dell’UE, ipotesi criminose, secondo una valutazione operata ex ante. Naturalmente il giudice dello Stato dell’esecuzione dovrà verificare l’esatta riconducibilità della fattispecie in esame ad uno dei reati di cui alla lista. Il punto, comunque, è assai controverso in dottrina.
§ 3 – Della legge 12/4/2005 n. 69
§ 3.1 – dell’art. 696 C.p.p.
La consegna dei latitanti e dei ricercati, nell’ordinamento italiano, è regolata dal disposto dell’art. 696 C.p.p., che prevede procedure diverse a seconda della natura dei “rapporti internazionali” con il paese richiedente o presso il quale si trova il ricercato:
- se si tratta di uno Stato Membro della UE trova applicazione la legge n.69/’05;
- se con il Paese interessato vigono convenzioni o trattati internazionali si applicano questi ultimi:
a) con gli Stati legati dalla convenzione europea del 1957, come ad es. la Svizzera, l’estradizione è regolata da tale convenzione;
b) con quelli legati da trattati bilaterali, come ad es. gli USA, si applicano questi ultimi;
- con i Paesi con i quali non vi è accordo internazionale, come ad es. l’Iran, trovano attuazione le disposizioni del libro XI del C.p.p..
§ 3.2- Legge 69/2005 Titolo I – Disposizioni di principio
La legge 12 aprile 2005 n. 69 sul MAE, che forma oggetto della nostra trattazione, è stata pubblicata in G.U. n. 98 solo il 29 aprile 2005 perché lo Stato Italiano è stato l’ultimo fra i Membri che allora componevano l’UE a recepire la decisione quadro (D.Q.), che è ben di tre anni precedente (13/6/’02).
L’esame della novella (si tratta di 40 articoli, divisi in tre titoli: disposizioni di principio, norme di recepimento interno e disposizioni finali e transitorie) presuppone, naturalmente, un costante riferimento alla DQ, alle scelte degli altri Paesi comunitari, ai principi fondamentali a cui si ispira il nostro ordinamento ed in particolare alle norme del libro XI del C.p.p. (che completa le carenze della legge 69/2005, considerata lex specialis in relazione al libro predetto e comunque al Codice di Procedura Penale, lex generalis.)
- Nel titolo primo si manifesta la volontà dell’Italia di dare esecuzione al mandato d’arresto europeo15, cioè alle “decisioni giudiziarie emesse da uno Stato membro dell’Unione Europea in vista dell’arresto di una persona al fine dell’esercizio di funzioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza” (art.1).
- L’esecuzione del MAE è, tuttavia, subordinata al rispetto sia dei principi garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU16), che di quelli della Costituzione dello Stato (diritti fondamentali, di libertà, di giusto processo); nel rispetto di tali direttive, il giudice procedente dovrà e potrà chiedere idonee garanzie allo Stato membro di emissione a tutela dei diritti del cittadino e dello straniero richiesto ed, in caso di grave o persistente violazione, dovrà rifiutare la consegna (art.2).
- Altro limite posto all’esecuzione del MAE è quello dell’esclusione dei reati “bagatellari”, cioè quelli per i quali è prevista, nella legislazione dello Stato emittente, una pena edittale inferiore a 12 mesi e, in caso di condanna qualora questa sia inferiore ai quattro mesi.
- Ed ancora non tutti i reati possono formare oggetto di richiesta di consegna, salvo quanto si dirà in seguito a proposito dell’art. 7 della legge in esame, ma solo quelli elencati ai capi 1 e 2 dell’art.2 della DQ n.2002/584/GAI17, che si ricorda erano già indicati nel comma secondo dell’art. 29 TUE.
- La Commissione Europea potrebbe inserire nuovi reati nell’elenco di quelli per cui è ammesso il MAE ma, in questo caso, la norma in esame prevede il vaglio del Parlamento italiano (principio della riserva parlamentare), al quale la modifica dovrà essere trasmessa e relazionata dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art.3).
- Le disposizioni di principio terminano individuando il Ministro di Giustizia quale autorità centrale per l’assistenza alle Autorità Giudiziarie competenti; dunque al Ministro spetta la trasmissione e la ricezione, condotte di natura amministrativa, dei mandati che, senza indugio, devono essere comunicati ai giudici procedenti, salvo accordi internazionali che permettono contatti diretti fra Autorità Giudiziarie (art.4).
- La legge poi, seguendo l’ordine della DQ, al titolo II tratta in tre diversi capitoli, della procedura passiva di consegna, di quella attiva, delle misure reali nonché delle spese.
§ 3.3 – Legge 69/2005 Titolo II – Recepimento interno
- La consegna passiva (3.3.1)
La richiesta di consegna allo Stato italiano ha sempre inizio con l’emissione di un mandato d’arresto europeo che dovrà pervenire, tradotto in lingua italiana, (settimo comma art. 6 legge 69/2005) e che dovrà contenere, oltre ai requisiti propri di qualsiasi misura cautelare (art. 292 C.p.p. in tema di misure cautelari) o ordine di esecuzione (art. 656 C.p.p. comma 3°) emesso dallo Stato italiano, gli altri indicati nell’art. 6 della legge in esame che sono significativi:
- in riferimento alla cittadinanza dell’interessato (particolarmente rilevante ai fini della lett. r art. 18 l. cit., in tema di rifiuto della consegna);
- per l’indicazione della natura e qualificazione del reato (particolarmente rilevante sia ai fini della doppia punibilità, art. 7 della legge citata, che a quelli della consegna obbligatoria, art.8 legge citata) ;
- per l’individuazione del massimo e del minimo edittale previsto nello Stato di emissione per il reato contestato ed eventuali pene accessorie.
Caratteristica della richiesta di consegna è la sua “completezza”: una delle cause più frequenti di rifiuto (art. 6 co. 6 l.cit.) delle Corti d’Appello è motivata dalla circostanza che, nonostante le sollecitazioni, la documentazione necessaria non pervenga tempestivamente (entro i 60 giorni dall’inizio dell’esecuzione della misura cautelare) ai sensi dell’art. 6 legge in esame. Tale documentazione si concretizza:
a. nella relazioni sui fatti addebitati (con indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione),
b. nel testo delle disposizioni di legge applicabili,
c. nella comunicazione del tipo e della durata della pena,
- nei dati segnaletici del ricercato.
La consegna del ricercato presuppone la c.d. “doppia punibilità” per cui “l’Italia darà esecuzione al Mandato d’Arresto Europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale” (art. 7) a cui si fa eccezione per i casi di “consegna obbligatoria” elencati nell’art. 8: i due istituti non trovano omologhi, in tema di estradizione, nel libro XI del C.p.p., dove si impongono alla Corte d’Appello limiti generali con l’art. 698 e il comma 2° dell’art. 705 C.p.p..
Il MAE, riassumendo, è eseguito in Italia solo in caso in cui il fatto18:
- sia previsto come reato dalla legge nazionale19;
- tale reato preveda una pena edittale e/o misura di sicurezza della durata massima non inferiori a 12 mesi (senza tenere conto delle circostanze aggravanti ma considerando quelle attenuanti, anche se il legislatore non indica in che misura);
- sia stato già valutato dall’a.g. dello Stato richiedente con sentenza di condanna definitiva a pena o la misura di sicurezza della durata non inferiore a 4 mesi (art. 7).
Si fa eccezione alla doppia punibilità, come si diceva, dando comunque luogo alla consegna del richiesto quando il reato per il quale si procede sia compreso nella cd. “lista positiva dei reati”: si tratta effettivamente di 32 fattispecie criminose elencate nell’art. 8 della legge (vedasi nota 14) a molte delle quali corrispondono nel diritto italiano più ipotesi di reato; così nella fattispecie dell’art. 8 co.1 let a), facendosi genericamente riferimento ai reati associativi, si ricomprendono le ipotesi criminose di cui agli artt. 416, 416 bis C.P., art. 74 legge Stupefacenti, art. 291 legge doganale. Sempre che la pena massima (escluse le aggravanti) comminata sia pari o superiore a tre anni secondo la legge dello Stato richiedente.
Nel caso di specie compito dell’autorità giudiziaria italiana sarà quello di accertare se l’ipotesi criminosa descritta dettagliatamente nel mandato d’arresto e nella documentazione allegata dallo Stato emittente rientri nella lista dei 32.
Non si farà luogo alla consegna solo nell’ipotesi in cui il fatto non sia previsto dalla legge italiana come reato e si accerti che il cittadino italiano, senza sua colpa, non abbia avuto conoscenza dell’esistenza di quel reato nell’ordinamento dello Stato membro di emissione per cui è stato emesso il MAE.
La sinossi della procedura fin qui descritta è riprodotta nell’allegato “SCHEMA 1 – contenuti del MAE”.
- La procedura di consegna passiva (3.3.2)
La consegna può avere inizio attraverso due diverse procedure:
a. quella conseguente alla ricezione del MAE da parte del Ministro di Giustizia e della sua trasmissione senza ritardo al Presidente della Corte d’Appello competente (art. 9),
- oppure quella conseguente all’arresto ad iniziativa della PG a seguito di segnalazione nel Sistema Informatico di Shengen. (art. 11)
Nel primo caso la richiesta dello Stato emittente giunge al Presidente della Corte d’Appello del distretto ove si presume che si trovi il ricercato per il tramite dell’autorità centrale e questi, accertata la sua competenza, e dato avviso al Procuratore Generale, acquisiti se necessari ulteriori documenti, riunita la Corte d’Appello ed eventualmente sentito il Procuratore Generale, pronuncia, se lo ritiene necessario, ordinanza motivata (a pena di nullità) con la quale applica la misura coercitiva in osservanza del titolo I del libro IV e dell’art. 719 del C.p.p..
Il presidente, quindi, entro 5 giorni dall’esecuzione della misura cautelare, interrogherà l’arrestato alla presenza del difensore (avvisato almeno 24 ore prima), e lo informerà: a) del mandato d’arresto europeo e della procedura esecutiva, b) della facoltà di acconsentire alla propria consegna, c) della facoltà di esercitare il diritto di specialità (art. 26), d) del diritto di informare familiari e/o consolato.
Lo stesso presidente poi, entro 20 giorni, emetterà decreto di fissazione dell’udienza camerale, disponendo che ne venga data notizia alle parti almeno 8 giorni prima della data fissata.
Nella seconda ipotesi, quando cioè il richiesto sia stato arrestato dalla Polizia su segnalazione del SIS (Sistema d’informazione di Shengen), l’ufficiale che procede all’arresto: a) entro 24 ore, lo comunicherà al Presidente della Corte d’Appello del distretto ove è avvenuto l’arresto ed al Ministro di Giustizia; (che a sua volta comunicherà l’arresto all’autorità centrale (art.4) dello Stato membro al quale chiederà l’invio del MAE e della documentazione necessaria ex art. 6), b) dovrà informare l’arrestato, in lingua per lui comprensibile sia dell’emissione e del contenuto del MAE, che della facoltà di non opporsi alla consegna, che del diritto di nominare un difensore.
Inoltre darà atto, a pena di nullità, sia dell’avvenuta informativa, che degli accertamenti effettuati per l’identificazione dell’arrestato.
Il Presidente della Corte d’Appello, entro le 48 ore successive alla ricezione del verbale d’arresto, qualora questo sia conforme alla legge (in caso contrario dovrà emettere decreto motivato di scarcerazione), procederà alla convalida dell’arresto che perderà efficacia se non giungerà la documentazione necessaria a completare la richiesta di consegna entro 10 giorni, la convalida dovrà essere applicata dopo aver sentito l’arrestato, avergli rappresentato il contenuto del MAE ed avergli chiesto se non si oppone alla sua consegna.
Di seguito si è predisposto uno schema di questa prima fase della procedura passiva di consegna: “SCHEMA 2 – MAE passivo parte prima”.
Il Presidente della Corte d’Appello, sia che il procedimento sia iniziato attraverso comunicazione al suo ufficio dal Ministero della Giustizia che nell’ipotesi di arresto del consegnando ad opera della PG, seguirà identica procedura20:
- se l’interessato ha acconsentito alla consegna21 fisserà l’udienza camerale entro 10 giorni;
- se si oppone alla consegna fisserà l’udienza camerale con decreto entro 20 giorni dall’esecuzione della misura cautelare disponendo il deposito della documentazione a corredo della richiesta di consegna e dando avviso al Procuratore Generale, alla difesa ed, eventualmente, al rappresentante dello Stato emittente (si applica il disposto dell’art. 702 C.p.p.) 8 giorni prima dell’udienza.
In sede di udienza camerale è riconosciuta alla Corte la facoltà (art. 16) di chiedere allo Stato membro emittente ulteriore documentazione (concedendogli un termine non superiore a 30 giorni) ed in caso di mancata risposta dovrà respingere la richiesta.
La Corte potrà, altresì, esperire d’ufficio o su richiesta di parte ogni altro accertamento ritenuto necessario.
Deciderà, quindi, con sentenza entro 60 giorni dall’inizio dell’esecuzione della misura cautelare (se non potrà rispettare detti termini, lo comunicherà al Guardasigilli che, anche tramite Eurojust, potrà concedergli altri 30 giorni).
La sentenza dovrà disporre: la consegna (se sussistono gravi indizi – tale requisito non è richiesto dalla decisione quadro – o vi è sentenza irrevocabile) oppure il rigetto della richiesta e, conseguentemente, revocare le misure cautelari: queste le ipotesi di cui agli artt. 2 -mancato rispetto delle garanzie costituzionali-, 17 -decisione sulla richiesta di esecuzione-, 18 -rifiuto della consegna, previsto in ventuno ipotesi e comunque nel caso di inottemperanza delle richieste della Corte.
Della sentenza è data lettura in camera di consiglio e comunicazione al Guardasigilli (che informa lo Stato emittente) e, se la sentenza è di accoglimento, al servizio per la cooperazione internazionale di polizia.
Contro la sentenza è proponibile Ricorso per Cassazione che ha natura sospensiva e devolutiva anche nel merito, è proponibile dalle parti entro 10 giorni dalla conoscenza del provvedimento. La Cassazione deciderà nelle forme dell’art. 127 C.p.p. entro 15 giorni dalla ricezione degli atti e darà lettura contestuale del dispositivo e della motivazione della sentenza, se ciò non fosse possibile, se ne dovrà dare atto nel verbale d’udienza e la motivazione potrà essere depositata entro i 5 giorni successivi. Sinossi di questa fase è riprodotta nello “SCHEMA 3 – MAE passivo parte seconda”.
La procedura si conclude con la materiale consegna all’autorità richiedente che dovrà realizzarsi entro 10 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 23).
Il Presidente della Corte d’Appello, dato avviso al Guardasigilli, potrà sospendere l’esecuzione per motivi umanitari, o per gravi ragioni che inducono a ritenere che la consegna possa mettere in pericolo la vita o la salute della persona.
Se, per fatto non imputabile alla Corte d’Appello, la consegna non avvenisse nei 10 giorni successivi al giudicato, l’arrestato dovrà essere scarcerato.
La Corte potrà rinviare la consegna, anche in caso di altra pendenza in Italia, salvo, se necessario, la consegna provvisoria dell’arrestato.
La consegna, infine, non avrà luogo in caso di:
- carenza delle garanzie richieste allo Stato membro di emissione (art. 19);
- concorso di richieste di consegna (art. 20);
- divieto di consegna od estradizione successiva (art. 25);
- applicazione del principio di specialità (art. 26), condizione sempre posta e che si concretizza nell’impegno dello Stato ricevente a non sottoporre ad espiazione della pena o misura di sicurezza la persona consegnata per un fatto anteriore o diverso rispetto a quello per il quale la consegna è stata concessa a meno che non si verifichino le circostanze di cui al comma secondo dello stesso art. 26: permanenza volontaria del consegnato per oltre 45 giorni dopo la sua definitiva liberazione, reato punibile con sanzione non privativa della libertà personale, rinuncia dell’interessato al principio di specialità.
- Nell’ipotesi di transito del richiesto sul territorio dello Stato, la richiesta è rivolta al Guardasigilli che può:
- rifiutarla (per carenza di documentazione);
- condizionarla, se vi è anche condanna in Italia, alla consegna dell’interessato all’autorità Italiana per scontare la pena inflitta dopo aver scontato quella per cui è in transito.
Sinossi di questa fase è riprodotta nello “SCHEMA 4 – MAE consegna”
- La procedura di consegna attiva (3.3.3)
È trattata nel Capo II del Titolo II della legge in esame in soli sei articoli che riconoscono la competenza di spiccare il MAE al giudice che ha emesso la misura cautelare, nel caso di procedimento pendente, od al PM presso il giudice dell’esecuzione, se si tratta di dare attuazione ad una sentenza definitiva.
Si applicano i limiti dei commi 3 e 4 dell’art. 7: la pena deve essere non inferiore a 4 mesi ed in caso di misura cautelare o di sicurezza il fatto deve prevedere una pena edittale non inferiore ai 12 mesi e non deve operare alcuna sospensione dell’esecuzione.
Sotto il profilo procedurale l’autorità che ha emesso il MAE lo trasmetterà al Guardasigilli e ne darà comunicazione al Servizio per la cooperazione internazionale di polizia e al SIS, curando il rispetto dell’art. 30 della legge (cioè l’indicazione: dell’identità e cittadinanza del ricercato, dei dati anagrafici, dell’esistenza della misura in esecuzione, della natura e qualificazione giuridica del reato, della descrizione completa del fatto, della pena inflitta, delle altre conseguenze del reato). Il mandato d’arresto perderà efficacia quando il provvedimento restrittivo sulla base del quale è stato emesso sia revocato, annullato o divenuto inefficace.
Per completezza si ricorda che il principio di specialità trova applicazione con i limiti dell’art. 26 e che della custodia cautelare all’estero si tiene conto, ai fini del computo ex art. 303 C.p.p. ma solo per i termini massimi, non per quelli di fase.
Sinossi della procedura attiva è riprodotta nello “SCHEMA 5 – MAE procedura attiva”.
- Misure reali (3.3.4)
Le misure reali sono trattate nel Capo III del Titolo II: operano sia nella procedura attiva (art. 34) che in quella passiva (art. 35) di consegna.
Nella prima (art. 34) il Procuratore Generale può chiedere con il MAE all’autorità giudiziaria dello Stato membro d’esecuzione anche la consegna dei beni per i quali è stata emessa confisca o sequestro.
Nella seconda (art. 35), a fronte della richiesta dello Stato emittente, la Corte d’Appello competente può disporre, d’ufficio o su richiesta, il sequestro dei beni necessari ai fini della prova oppure suscettibili di confisca, previa acquisizione della documentazione necessaria.
Se concorre confisca in Italia e confisca o sequestro richiesto da uno Stato membro, prevale il provvedimento italiano, ma può essere disposta una consegna temporanea dei beni a fini probatori (art. 36).
Sinossi di questo capo della legge è contenuta nello “SCHEMA 6 – MAE misure reali”.
- disposizioni finali e transitorie (3.3.5)
Nelle disposizioni finali di rito si ricordano ancora una volta gli obblighi internazionali dello Stato italiano ed il rispetto del principio di specialità e si ribadisce che il MAE deve considerarsi una lex specialis che, laddove non provvede, viene completata dalle norme del Codice di procedura Penale e delle leggi complementari. La legge termina con due significative note: ricordando che non si applica la normativa in tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (l. 742/1969) e che la legge si applica ai soli mandati d’arresto emessi o ricevuti dopo la data della sua entrata in vigore.
§ 4 - Del mandato e dell’estradizione
Il MAE22, ha stretti rapporti con l’istituto dell’estradizione, sia perché questa, lex generalis, completa le lacune della legge 69/2005, sia perché permane la sua validità per fatti antecedenti all’operatività della nuova legge: la consegna dovrà essere richiesta dallo Stato membro attraverso l’estradizione quando si tratti di episodi antecedenti al 2002 o quando la domanda sia pervenuta prima del 14 maggio 2005.
Avendo delineato l’istituto del MAE, come previsto nella legge del 2005, sarà agevole sottolinearne le peculiarità nei confronti dell’estradizione23. Si tratta di differenze di impostazione (individuabile nei rapporti tra autorità giudiziarie nel caso del MAE e fra Stati in quello dell’estradizione) e di operatività (il MAE è caratterizzato da maggiore agilità della procedura e dalla necessità del rispetto di termini perentori).
I due istituti, inoltre, convivono, si pensi ad una richiesta di consegna a seguito dell’emissione di un MAE ed alla contestuale richiesta di estradizione dello stesso latitante da parte di Paese terzo, fattispecie possibile anche nell’ambito dello stesso processo (la DQ e la legge, regolando questo punto, riconoscono la competenza del Ministro per le decisioni da assumere).
Il Ministro della Giustizia, in virtù dei poteri attribuitigli dalla legge in materia di estradizione, si è sempre uniformato al principio secondo cui venivano avanzate domande di estradizione solo nel caso di condanne recanti una pena definitiva non inferiore a quattro anni di reclusione. Considerati invece i limiti di pena previsti per l’emissione del MAE e tenuto conto del fatto che sovente i due sistemi del mandato d’arresto europeo e dell’estradizione convivranno, da alcuni è stato suggerito che le autorità giudiziarie dell’esecuzione continuino a richiedere la consegna solo nell’ipotesi di gravi reati o importanti condanne da espiare al fine di evitare l’inoltro di un numero eccessivo di mandati di arresto, che inevitabilmente finirebbero per pregiudicare o ritardare l’esecuzione di quelli cui si sia ritenuto di annettere primaria rilevanza.
§ 5 - Dell’applicazione del MAE: attualità e prospettive
L’applicazione del nuovo istituto non è stata agevole, nonostante la predisposizione della modulistica utilizzabile tanto per l’inoltro al SIS che per la richiesta all’A.G. straniera tramite il Ministero di Giustizia e la realizzazione di un sito per il MAE in formato elettronico word dove è possibile reperire detti modelli.
La maggiore celerità del MAE rispetto all’estradizione, infatti, non è sfuggita alla regola del ubi comoda ibi incomoda. I minori tempi del mandato d’arresto europeo, che lo rendono più agile rispetto all’estradizione, rappresentano, anche, le ragioni più frequenti del rigetto delle domande di consegna degli Stati emittenti24, che talvolta non rispettano il termine per l’invio della documentazione richiesta (di 30 gg) e permettono il trascorrere dei sessanta giorni dal momento dell’inizio dell’esecuzione che comporta il rifiuto della consegna. Secondo le statistiche offerte nella 2732° sessione del consiglio giustizia affari interni tenutasi in Lussemburgo il 1 giugno 2006, delle 1526 persone arrestate in forza del MAE ben 1295 sono state effettivamente consegnate allo Stato membro e fra queste 309 erano cittadini dello Stato richiesto. La Corte d’Appello di Genova ha ricevuto le seguenti richieste di consegna da parte degli Stati emittenti: 5 per l’anno 2005; 11 per l’anno 2006, e 3 fino al febbraio 2007; di queste, ne sono state accolte 16; fra quelle respinte una è stata motivata dalla mancata tempestiva acquisizione della documentazione richiesta e necessaria mentre un’altra è stata semplicemente inviata al giudice territorialmente competente e per l’ultima, formulata dal Belgio, si trattava di un errore di persona.
Il quesito che si è posto è stato quello della riproponibilità, da parte dello Stato emittente, della richiesta di consegna, adeguatamente corredata, nel caso di rifiuto della Corte per mancato invio della documentazione richiesta. La legge 69/2005 nulla dice in proposito, ma soccorre, il disposto dell’art. 707 c.p.p., in tema di estradizione, che preclude una nuova richiesta dello Stato emittente su identici presupposti. Questa interpretazione, che appare allo stato l’unica proponibile, comporta che la nuova documentazione non rappresenti un presupposto nuovo alla richiesta di consegna.
È una facile profezia il prevedere che i MAE aumenteranno con la recente espansione dell’UE a 27 membri; è lecito domandarsi, qualora le frontiere Comunitarie dovessero espandersi ulteriormente, a stati come la Turchia25, che conta circa 67 milioni di abitanti di cui il 99% di religione musulmana, quali inevitabili ulteriori problemi interpretativi si verificherebbero considerando che la lotta alla criminalità internazionale organizzata comporta per gli Stati una naturale, quanto sgradita, perdita di una parte della loro sovranità.
In conclusione pare quindi che il MAE sia uno strumento indispensabile per l’integrazione fra gli Stati europei per bilanciare la libera circolazione della popolazione con una parallela libera circolazione delle sentenze, ora non più solo civili-commerciali ma anche penali e che, se è vero che il suo utilizzo dovrà diventare sempre maggiore con l’espansione dei confini comunitari, certo dovranno apportarsi le opportune modifiche per adeguare l’ordinamento a realtà sociali e giuridiche estremamente diverse.