lunedì 23 giugno 2008

AGGRAVANTE DELLA CONDIZIONE DI STRANIERO ILLEGALMENTE PRESENTE NEL TERRITORIO DELLO STATO:TRACCE DI INCOSTUZIONALITA’ A PRIMA LETTURA.

AGGRAVANTE DELLA CONDIZIONE DI STRANIERO ILLEGALMENTE PRESENTE NEL TERRITORIO DELLO STATO:TRACCE DI INCOSTUZIONALITA’ A PRIMA LETTURA.
di Fabio Maria Ferrari , avvocato del Foro di Napoli


Quelli che seguono intendono essere dei sommari spunti di riflessione in merito alle torsioni costituzionali provocate dall’introduzione della circostanza aggravante contenuta nell’art. 1 lett. f) del D.l. n.92 del 23.5.08 (attualmente in corso di conversione); novella che ha aggiunto ,al catalogo delle aggravanti comuni, l’art. 61 n.11 bis.
L’inedita disposizione prevede un aggravamento della pena “ se il fatto è commesso da un soggetto che si trova illegalmente nel territorio nazionale”.
All’indomani dell’entrata in vigore della disposizione, si sono immediatamente sollevate, nella comunità dei giuristi, non poche perplessità circa la sua compatibilità con le norme costituzionali ( tra gli altri, si è espresso in questo senso il Presidente dell’Unione delle Camere Penali, avv.prof. Oreste Dominioni).
In questa sede, non ci si soffermerà sulla sin troppo scontata antinomia del dettato dell’aggravante con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), che ai più è parso naturale dedurre; ciò con riguardo alla irragionevole discriminazione che la norma introduce tra cittadini stranieri in possesso di regolare titolo di soggiorno, e c.d. clandestini.
I profili che paiono degni di maggior interesse sono, invece, relativi alla dissonanza della disposizione con il principio di offensività (art. 25 Cost.), con gli obblighi internazionali (art. 117 Cost.), con il principio di colpevolezza e con quello di rieducazione della pena (art. 27 Cost.).
Quanto al primo versante di analisi, non vi è dubbio che l’offensività concerna anche gli accidentalia delicti, dal momento che il fatto-reato, per effetto della eterointegrazione operata dalla circostanza, da reato semplice diviene “circostanziato”, determinando un aggravamento della sanzione.
La circostanza in esame ha carattere squisitamente soggettivo; essa è ricompresa tra quelle che “concernono l’intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole” (art. 70 c.1, n.2 c.p.).
La peculiarità della circostanza prevista dall’art. 1 del D.L. 92/08 starebbe nell’esprimere un quid pluris del disvalore del fatto tipico che ad essa, di volta in volta, si riconnette. Disvalore collegato ad uno status ed ad un illecito amministrativo: la qualità di straniero e l’essere privo, al momento della commissione del fatto, della necessaria autorizzazione amministrativa a risiedere nel territorio nazionale ( permesso di soggiorno o carta di soggiorno).
Se si guarda alle previgenti circostanze di segno soggettivo, non potrà non rilevarsi che, in generale, l’aggravamento di pena deriva:1) da una peculiare modalità dell’azione inerente la qualità dell’agente (l’ abuso di autorità o relazioni domestiche o la qualifica di pubblico ufficiale);2) da un particolare nesso psicologico, consistente nella causa psichica della condotta- a proposito dell’aver agito per motivi abietti e futili- e nella previsione dell’evento, seppure con la speranza di evitarne la realizzazione, nella colpa cosciente).
Nel caso che ci occupa, l’inasprimento della sanzione non è collegata a moventi dell’azione delittuosa, a relazioni interpersonali agevolatrici della commissione del fatto tipico (art. 61 n.11 c.p.) o alla natura della funzione rivestita ( art. 61 n.9 c.p.); ma all’essere l’autore un migrante (spesso per ragioni di sussistenza), entrato illegalmente nei confini nazionali, a prescindere dalla comminatoria di un provvedimento di espulsione. L’aggravante parrebbe applicarsi, secondo il tenore letterale della norma, persino ad un soggetto in precedenza legalmente residente in Italia, cui sia stato revocato o non rinnovato il precedente permesso . E’ una condizione che sembrerebbe essere più prossima a quelle che riguardano la persona del colpevole, ovvero alla recidiva (art. 70 c.2 c.p.): in tal senso, sembrerebbe denotare, secondo l’ intentio legis, una capacità a delinquere presunta.
Ed è proprio su tale presunzione di pericolosità, sganciata da un parametro obiettivo di riferimento, offerto quantomeno da un precedente accertamento giudiziale, eventualmente rivelatore dell’inclinazione a delinquere (come nel caso della recidiva), che si incentra il focus della mancanza di offensività, con conseguente vulnus dell’art. 25 Cost.
E’ noto che il principio di offensività prevede che non possa esservi reato senza violazione di un bene giuridico.
Sul punto, si condividono le osservazioni di F. Bricola ( Scritti di diritto penale, Giuffrè) circa la necessità che la privazione della libertà personale in cui si concreta la sanzione postuli un nesso tra pena e beni di rilievo costituzionale. L’inflizione della pena, secondo l’insigne Autore, esige un rapporto di proporzione tra il male minacciato (la privazione della libertà personale) e ciò che la forza dissuasiva dello strumento punitivo intende evitare (l’offesa contenuta nel reato). In altri termini, la sanzione deve colpire un’offesa significativa (connessa a valori costituzionali) e non risentire delle valutazioni di opportunità politica del Legislatore o, peggio, delle ondate emotive in tema di esigenze di prevenzione e sicurezza. A meno di non ricadere nelle nefandezze della colpevolezza d’autore, coniata dai giuristi del periodo nazista, secondo cui andava repressa la mera disobbedienza non solo alle leggi dello Stato, ma anche al sentimento del popolo,espressione di quel regime autoritario.
Tra i beni costituzionalmente garantiti non è incluso il controllo sui flussi di immigrazione, di tal che l’aggravante non trova un solido aggancio nella gerarchia dei valori costituzionali.
A proposito di proporzionalità dell’offesa, la Corte Cost. ha espunto dal catalogo delle incriminazioni di parte speciale (con la sentenza n.370/96) un reato di mero sospetto, quale il possesso ingiustificato di valori. In detta sentenza, la Consulta censurava la discriminazione che colpiva gli autori della contravvenzione in esame, solo a causa dell’essere gravati da precedenti penali. Discriminazione che penalizzerebbe anche gli stranieri, tuttavia stavolta in merito ad un illecito amministrativo (talvolta neppure accertato), conseguente alla violazione delle disposizioni concernenti la disciplina dell’ingresso degli stranieri in Italia. Sulla stessa lunghezza d’onda, va rammentato anche il precedente di Corte Cost. n.354/02, con il quale si è pervenuti alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 688 c.2 c.p. (che puniva lo stato di manifesta ubriachezza di chi era stato condannato per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale.
Osserva la Corte : <L’avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale. Divenuta elemento costitutivo del reato di ubriachezza, la precedente condanna assume le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che vale a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale..Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato>.
Traslando tali argomentazione all’aggravante in esame, non è revocabile in dubbio che anche la condizione di “straniero irregolare” assume la natura di “marchio” indelebile, pur non essendo espressiva di alcun ulteriore disvalore riferibile al reato-base.
Un ulteriore rilievo di incostituzionalità concerne la violazione dell’art. 117 Cost., a riguardo dell’osservanza dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
Sino all’entrata in vigore della riforma del titolo V della Costituzione, si riteneva che le norme pattizie non riconducibili ai precetti comunitari non fossero direttamente operanti nell’ordinamento. Le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,ad esempio, non erano mai state utilizzate come parametro dell’illegittimità delle norme ordinarie, pur essendo ( secondo C.Cost. n.10/93) espressione di una “fonte atipica e, come tali insuscettibili di abrogazione o modificazioni da parte di una legge ordinaria”. Il novellato testo dell’art. 117 Cost. consente, attualmente, di ritenere applicabili, attraverso l’interposizione dello scrutinio di costituzionalità, i principi pattizi configgenti con le norme ordinarie.
Ciò posto, non può disconoscersi che l’art. 61 n.11 bis c.p. possa configurare una violazione dell’art. 11 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU in data 16.11.66, che recita : “ Tutti sono uguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia”.
Tale disposizione potrebbe prefigurare un’eguaglianza non solo nell’accesso alla giustizia e nell’esercizio dei diritti di difesa, ma anche un divieto di discriminazioni nell’applicazione delle sanzioni; la cui gravità non può dipendere da una condizione casuale , del tutto avulsa dalle accuse oggetto della pretesa punitiva statuale, nella specie l’aver violato o meno le disposizioni amministrative in materia di immigrazione.
C’è da chiedersi, inoltre, se la previsione dell’aggravante violi il divieto di retroattività delle sanzioni previsto dall’art. 15 del Patto e dall’art. 7 della Convenzione Internazionale dei diritti dell’Uomo; ciò laddove l’ inasprimento della sanzione sia provocato da un ingresso o un trattenimento illegali antecedenti al fatto reato cui accede l’aggravante ( analogo problema si pone in relazione all’art. 25 c.2 Cost.)
Quanto alla violazione del principio di colpevolezza sancito dall’art. 27 comma 1 Cost., deve ritenersi che non sia rispettato, nella previsione della circostanza, il legame tra fatto ed autore. Infatti, secondo il vigente art. 59 c.p. la circostanza in esame verrebbe imputata allo straniero irregolare se da questi conosciuta o ignorata per colpa. Tuttavia, è arduo immaginare che l’autore del fatto criminoso possa rappresentarsi un siffatto fattore di aggravamento della pena, o ignorarlo colposamente, trattandosi di elemento non radicato nella psiche del reo ( come ad esempio, il motivo abietto e futile), né facilmente intellegibile, perché fondato su una condizione esistenziale (ancorchè illegale) non percepita in rapporto di causa-effetto con la commissione di un fatto-reato ( dal quale è completamente slegata).
Infine, il contrasto con il principio di rieducazione della pena, ex art. 27 u.c. Cost.
A tal proposito, è opportuno precisare che l’introduzione dell’aggravante implica una funzione di prevenzione generale della pena che è estranea alla previsione costituzionale, la quale invece opta per una visione di prevenzione speciale che è orientata, nella fase esecutiva, alla finalità di risocializzazione.
Non sembra, quindi, costituzionalmente adeguata, ai principi di colpevolezza e di rieducazione della pena, la previsione, ( e l’irrogazione) di una sanzione più grave, per certi versi esemplare e, per così dire, promozionale,nel quadro di un giro di vite sull’immigrazione irregolare.
In definitiva, una disposizione che presenta non poche frizioni con il dettato costituzionale, e che parrebbe costituire una tappa intermedia verso l’ altrettanto opinabile introduzione del reato di immigrazione clandestina ( contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza all’esame del Senato). Non resta che auspicare un ripensamento in sede di conversione del D.l. 92/08,, prima che la Consulta si ritrovi alle prese con una prevedibile valanga di incidenti di costituzionalità.


Fabio Maria Ferrari